Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24498 del 21/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 21/11/2011, (ud. 27/10/2011, dep. 21/11/2011), n.24498

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7271-2007 proposto da:

D.G.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

EUCLIDE 47 PIANO 2 INT. 4, presso lo studio dell’avvocato LA PORTA

CARLO FERRUCCIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

LIZZIO ADA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

COM SAINT VINCENT, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio

dell’avvocato VESCI GERARDO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato CARINCI FRANCO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1610/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 30/11/2006 r.g.n. 567/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2011 dal Consigliere Dott. FILABOZZI Antonio;

udito l’Avvocato LA PORTA CARLO FERRUCCIO;

udito l’Avvocato GIOVANNI ANGELOZZI per delega VESCI GERARDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’inammissibilità in via

principale in subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.G.L. ha chiesto il riconoscimento del proprio diritto alla corresponsione di una indennità per le funzioni di direttore generale svolte a favore del Comune di Saint-Vincent a far data dal 18.5.1997 – data di entrata in vigore della L. n. 127 del 1997, che ha ridefinito i compiti del segretario comunale, prevedendo che ad esso, nei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti, possano essere conferite le funzioni di direttore generale – fino al 30.9.1999.

Il Tribunale di Aosta ha accolto la domanda con sentenza che è stata riformata dalla Corte d’appello di Torino, che ha respinto la domanda ritenendo che, essendo del tutto pacifico che non vi era stato alcun formale conferimento al D.G. delle predette funzioni da parte del Sindaco del Comune di Saint-Vincent, la domanda non poteva trovare fondamento neppure nelle disposizioni della L.R. n. 46 del 1998, posto che essa aveva sì attribuito ai segretari comunali le funzioni attribuite ai dirigenti regionali dalla L.R. n. 45 del 1995, ed in particolare la funzione di direzione amministrativa di cui alla L.R. n. 45 del 1995, art. 5, ma tali funzioni non corrispondevano a quelle che caratterizzavano la figura del direttore generale, cosi come delineate dall’art. 51 bis, introdotto dalla L. n. 127 del 1997, art. 6 nel corpo della L. n. 142 del 1990.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione D.G.L. affidandosi a quattro motivi di ricorso cui resiste con controricorso il Comune di Saint-Vincent.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo si lamenta violazione della L. n. 267 del 1997, art. 6, comma 10, D.Lgs. n. 77 del 1995, art. 11 e D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 169, assumendo che la Corte territoriale avrebbe errato nell’interpretare la normativa nel senso di ritenere necessario per il godimento dell’indennità un atto di nomina a direttore generale (il cd. city manager), mentre ciò non sarebbe necessario per i comuni con meno di 15.000 abitanti in cui le relative funzioni possono essere attribuite dal Sindaco o da Presidente della provincia. Inoltre, o svolgimento di fatto delle funzioni di direttore generale avrebbe dovuto indurre comunque la Corte a riconoscere il beneficio economico richiesto.

2.- Con il secondo motivo si denuncia la violazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost., in quanto il ricorrente avrebbe ricevuto un trattamento diverso rispetto ai segretari comunali ai quali i Comuni hanno corrisposto la relativa indennità pur in assenza di un atto formale di nomina.

3.- Il terzo motivo denunzia la violazione delle L.R. Valle d’Aosta n. 46 del 1998, L.R. n. 45 del 1998 e L.R. n. 54 del 1998 – che, secondo il ricorrente, avrebbero accorpato in un unico soggetto le funzioni di segretario comunale e di direttore generale, con attribuzione ope legis di tali funzioni a tutti ì segretari comunali della Regione -, lamentando che la Corte territoriale non abbia minimamente tenuto conto della normativa regionale e della circolare regionale illustrativa della stessa.

4.- Con il quarto motivo si lamenta, sullo stesso punto, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

5.- Il ricorso deve ritenersi inammissibile per mancanza dei requisiti prescritti dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame.

6.- Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, e quindi anche al ricorso in esame, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, che deve essere idoneo a far comprendere alla S.C., dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cass. 8463/2009). Per la realizzazione di tale finalità, il quesito deve contenere la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito, la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal giudice a quo e la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuto applicare alla fattispecie. Nel suo contenuto, inoltre, il quesito deve essere caratterizzato da un sufficienza dell’esposizione riassuntiva degli elementi di fatto ad apprezzare la sua necessaria specificità e pertinenza e da una enunciazione in termini idonei a consentire che la risposta ad esso comporti univocamente l’accoglimento o il rigetto del motivo al quale attiene (Cass. 5779/2010, Cass. 5208/2010). Anche nel caso in cui venga dedotto un vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione del motivo deve contenere, a pena d’inammissibilità, la “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”. Ciò comporta, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. Al riguardo, inoltre, non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente dedicata (cfr.

ex plurimis, Cass. 8555/2010, Cass. sez. unite 4908/2010, Cass. 16528/2008, Cass. 8897/2008, Cass. 16002/2007).

7.- Questa Corte ha più volte ribadito che, nel vigore dell’art. 366 bis c.p.c., non può ritenersi sufficiente – perchè possa dirsi osservato il precetto di tale disposizione – la circostanza che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso, nè che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie. Una siffatta interpretazione della norma positiva si risolverebbe, infatti, nella abrogazione tacita dell’art. 366 bis, secondo cui è invece necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la S.C. è chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 ha inteso valorizzare (Cass. 5208/2010, Cass. 20409/2008). E’ stato altresì precisato che il quesito deve essere formulato in modo tale da consentire l’individuazione del principio di diritto censurato posto dal giudice a quo alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del principio, diverso da quello, la cui auspicata applicazione da parte della S.C. possa condurre a una decisione di segno inverso; ove tale articolazione logico-giuridica mancasse, infatti, il quesito si risolverebbe in una astratta petizione di principio, inidonea sia a evidenziare il nesso tra la fattispecie e il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio a opera della S.C. in funzione nomofilattica. Il quesito, pertanto, non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello alla S.C. in ordine alla fondatezza della censura, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la S.C. in condizione di rispondere a esso con la enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (Cass. sez. unite 27368/2009).

8.- Nella specie, il ricorso è del tutto carente nella formulazione del quesito per quanto riguarda i primi tre motivi, con i quali viene denunciata la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, e che devono pertanto ritenersi inammissibili.

9.- D’altro canto, anche le carenze motivazionali dedotte con il quarto motivo non appaiono sufficientemente individuate e precisate con il motivo di impugnazione nel senso che si è sopra indicato, ovvero mediante la necessaria indicazione del fatto controverso in una parte del motivo che costituisca un momento di sintesi del complesso degli argomenti critici sviluppati nell’illustrazione dello stesso motivo e delle ragioni per le quali tali carenze dovrebbero rendere la motivazione inidonea a giustificare la decisione; dovendo rimarcarsi, peraltro, che, come questa Corte ha costantemente ribadito, il controllo sulla motivazione non può risolversi in una duplicazione del giudizio di merito e che alla cassazione della sentenza impugnata può giungersi non per un semplice dissenso dalle conclusioni del giudice di merito – poichè in questo caso il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento dello stesso giudice di merito, che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione – ma solo in caso di motivazione contraddittoria o talmente lacunosa da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto alla base della decisione (cfr.

ex plurimis Cass. 10657/2010, Cass. 9908/2010, Cass. 27162/2009, Cass. 13157/2009, Cass. 6694/2009, Cass. 18885/2008, Cass. 6064/2008).

10.- Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

11.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 40,00 oltre L. 3.000,00 per onorari, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2011

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