Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24491 del 30/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 30/11/2016, (ud. 21/10/2016, dep. 30/11/2016), n.24491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18094-2015 proposto da:

ANAS S.P.A., C.F. (OMISSIS), già Ente Nazionale per le Strade, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DI il PORTOGH1S1 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.L., P.G., PR.GI., elettivamente

domiciliati in ROMA, viale BRUNO BUOZZI 51 presso l’Avvocato

MARCELLO VERNOLA rappresentati e difesi dall’avvocato MARIO SPINELLI

i giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2029/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

emessa il 02/12/2014 e depositata il 11/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO ANTONIO

GENOVESE.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 20 luglio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.:

“Con sentenza in data 11 dicembre 2014, la Corte d’Appello di Bari, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta da ANAS SpA, nei confronti dei sigg. P. ( L., G. e Gi.), contro la sentenza del Tribunale di quella stessa città, con la quale era stata condannata al pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno, in conseguenza di occupazione acquisitiva di un fondo.

Secondo il giudice distrettuale, avendo l’ANAS dichiarato, anteriormente all’impugnazione, di voler “ottemperare al pagamento degli importi indicati in sentenza”, e successivamente ad essa (ed alla richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza), avendo corrisposto le somme dovute in base alla decisione di prime cure, avrebbe chiaramente posto in essere un comportamento incompatibile con la volontà di proporre impugnazione e di avvalersi di quella proposta dall’Avvocatura distrettuale dello Stato., che sarebbe stata tenuta all’oscuro dell’acquiescenza prestata.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso per cassazione l’ANAS SpA, con atto notificato il 1 luglio 2015, sul presupposto dell’effettività della volontà d’impugnare la sentenza del Tribunale, sulla base di due motivi, con cui denuncia violazione e falsa applicazione di varie norme di legge processuale (art. 329, 115 e 116 c.p.c.).

I sigg P. hanno resistito con controricorso.

Il ricorso (nei suoi due mezzi, tra loro connessi e perciò esaminabili congiuntamente) appare manifestamente fondato, giacchè:

a) E’ orientamento consolidato di questa Corte quello di escludere che il pagamento del dovuto, sulla base della sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege, sia indice di acquiescenza tacita alla decisione, essendosi affermato il principio secondo cui “L’adeguamento alle statuizioni di una sentenza esecutiva non costituisce acquiescenza alla stessa e pertanto non si configura come comportamento idoneo ad escludere l’ammissibilità dell’impugnazione” (nella specie, è stato ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione della parte già soccombente in grado d’appello che aveva ottemperato alla sentenza di condanna al pagamento di somme, dovendosi presumere da tale comportamento unicamente la finalità di evitare l’esecuzione forzata ed altri più gravi pregiudizi.)” (Sez. 3, Sentenza n. 18187 del 2007; Sez. 3, Sentenza n. 13429 del 2010);

b) Con riguardo alla motivazione addotta dai giudici del gravame, inoltre, va rilevato che la Corte territoriale ha ignorato le deduzioni svolte dall’ANAS in comparsa conclusionale, con le quali si indicava l’avvenuta notificazione di copia della sentenza da parte dei creditori ed il carattere logicamente connesso dell’avvenuto pagamento (per quanto preceduto da dichiarazione di voler adempiere), cosicchè la doglianza (svolta principalmente con il secondo mezzo) colpisce fondatamente anche la carenza motivazionale (che è vizio di violazione di legge, indipendentemente dalla sua qualificazione fatta dal ricorrente), non avendo la corte spiegato se e come la notificazione della decisione da parte dei creditori vittoriosi fosse o meno da considerare in rapporto all’operatività della presunzione di pagamento, eseguito dalla parte soccombente, a fini di prevenzione dell’esecuzione forzata (così come affermata dagli univoci precedenti di questa Corte, sopra esemplificati).

In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., n. 5, apparendo il ricorso manifestamente fondato.”.

Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione della controversia contenuta nella relazione di cui sopra, non potendo dare riscontro alle osservazioni critiche svolte dalla parte resistente;

che, infatti, in punto di diritto (come inequivocabilmente argomentato con i due mezzi di cassazione della ricorrente), questa Corte, in ordine alla corretta interpretazione delle disposizioni di legge richiamate nel ricorso (in particolare, riguardo all’ermeneusi dell’art. 329 c.p.c.) ha ulteriormente rimarcato il carattere eccezionale della rinuncia tacita all’impugnazione, in quanto espressione del diritto costituzionale di azione (art. 24 Cost.);

che, ancora di recente, è stato ribadito il principio applicabile al caso in esame secondo cui “L’acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 c.p.c. (configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame, giacchè successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all’impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge), consiste nell’accettazione della pronuncia, ossia nella manifestazione, da parte del soccombente, della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita, potendo, in quest’ultimo caso, ritenersi sussistente soltanto quando l’interessato abbia posto in essere atti assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione e dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia. Ne consegue che la spontanea esecuzione della decisione di primo grado favorevole al contribuente da parte della P.A. non comporta acquiescenza alla sentenza, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione.” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13293 del 2014);

che tale orientamento, in perfetta continuità con i tracciati giurisprudenziali già richiamati nella Relazione sopra riportata, impone l’accoglimento del ricorso, con la cassazione del decreto impugnato e il rinvio della causa, anche per le spese di questa fase, alla Corte d’appello di Bari che, in diversa composizione, nel decidere nuovamente della vertenza, si atterrà al principio di diritto sopra richiamato.

PQM

La Corte,

Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato, e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase, alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione sesta civile – 1 della Corte di cassazione, dai magistrati sopra indicati, il 21 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2016

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