Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2449 del 31/01/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 2449 Anno 2018
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: VALLE CRISTIANO

ORDINANZA

sul ricorso 24459-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.E. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAllINI 134, presso lo
studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2017

DI GAETANO AMEDEO, DI GAETANO LUIGI, RUSCITTI LUIGI;
– intimati –

3214

Nonché da:
RUSCITTI LUIGI, DI GAETANO LUIGI in proprio e in
qualità di erede di DI GAETANO AMEDEO deceduto in

Data pubblicazione: 31/01/2018

corso di causa, DI GAETANO MASSIMO in qualità di
erede di DI GAETANO AMEDEO deceduto in corso di
causa, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GUIDO
ALFANI 29, presso lo studio dell’avvocato GIANMARCO
PANETTA, rappresentati e difesi dall’avvocato FABIO

controricorrenti e ricorrenti incidentali contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585;
– intimata –

avverso la sentenza n. 7801/2012 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/11/2012 R.G.N.
10856/2008.

MASSIMO FAUGNO, giusta delega in atti;

Udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio non
partecipata del 12 luglio 2017, dal consigliere relatore Cristiano Valle
Rilevato che:
la Corte di appello di Roma, sezione lavoro, con sentenza, pubblicata il
5 novembre 2012, ha accolto l’appello proposto da Amedeo Di Gaetano,

che aveva rigettato la domanda di Amedeo Di Gaetano, Maria Rita
Palmucci, Luigi Di Gaetano e Luigi Ruscitti – assunti con contratti a
t ermine ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. dipendenti postali del 26 novembre

1994 – dichiarando la nullità dei termini apposti ai contratti stipulati tra
i suddetti e Poste italiane s.p.a. successivamente al 30 aprile 1998, con
conseguente ripristino del rapporto e condanna della detta società alla
corresponsione, in favore degli appellanti, di un’indennità, ai sensi
dell’art. 32, comma 5, I. n. 183 del 2010, pari a quattro mensilità
dell’ultima retribuzione di fatto percepita, oltre interessi dalla
costituzione in mora;
Poste italiane s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione avverso detta
pronuncia, nei confronti di Amedeo Di Gaetano, Luigi Di Gaetano e Luigi
Ruscitti, censurandola con plurimi motivi di cui all’art. 360, comma 1,
nn. 3 e 5, c.p.c., in relazione all’art. 1372 c.c., all’art. 23 della I. n. n. 56
del 1927, dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 e dei vari accordi
sindacali del 25 settembre 1997, del 16 gennaio 1998, del 27 aprile
1998, del 2 luglio 1998, del 24 maggio 1999 e del 18 gennaio 2001 in
connessione con l’art. 1362 c.c. e chiedendo, in ogni caso, l’applicazione
dell’art. 32, comma 5, della I. n. 183 del 2010, in ordine alla decorrenza
degli accessori;
Amedeo Di Gaetano, Luigi Di Gaetano e Luigi Ruscitti hanno resistito con
controricorso contenente ricorso incidentale, con il quale censurano la
determinazione dell’indennità di cui all’art. 32, della I. n. 183 del 2010,
in quattro mensilità;
3

Luigi Di Gaetano e Luigi Ruscitti avverso la sentenza del locale Tribunale

ritenuto che
il motivo di ricorso attinente l’omesso esame della circostanza relativa
allo scioglimento dei rapporti per mutuo consenso è inammissibile, non
avendo Poste italiane s.p.a. dedotto specificamente la nullità della
decisione derivante dall’omissione di pronuncia (si veda Cass. Sez. U. n.

oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360,
comma 1, c.p.c.., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili
in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di
impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria
adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una
delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti
l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una
delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia
esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del
comma 1 dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c., purché il
motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante
dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il
gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o
insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge);
il secondo motivo del ricorso principale è infondato, risultando
incontestato che Amedeo e Luigi Di Gaetano e Luigi Ruscitti sono stati
assunti – come affermato dalla sentenza gravata – con contratti a
termine, decorrenti, per i primi due, dal 27 ottobre 2000 e per il terzo
dal 1 marzo 2000, con causale di cui all’art. 8 del c.c.n.l. del 26
novembre 1994, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di
ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso,
in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi,
sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del
progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”:

17931 del 2013: “…posto che il ricorso per cassazione, avendo ad

questa Corte ha, con orientamento costante (Cass. n. 24281 del 2011,
seguita da numerose altre), dal quale non si ravvisano ragioni per
discostarsi, affermato che:

“in materia di assunzione a tempo

determinato di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25
settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e
con il successivo accordo attuativo, sottoscritto il 16 gennaio 1998, le

straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente e alla
conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti
occupazionali, fino alla data del 30 aprile 1998. Ne consegue che deve
escludersi la legittimità delle assunzioni a termine effettuate dopo 30
aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con
l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a
tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della I. n. 230 del 1962”;
nel caso di specie i contratti a tempo determinato sopra richiamati,
essendo stati stipulati tutti dopo il 30 aprile 1998, data di scadenza
dell’autorizzazione alla stipula riveniente dalla legge e dalla fonte
contrattualcollettiva, non risultano sorretti da valida causale con
conseguente infondatezza del relativo motivo del ricorso principale;
è, viceversa, fondato il motivo di ricorso incentrato sulla decorrenza degli
accessori sull’indennità di cui all’art. 32, comma 5, della I. n. 183 del
2010, stante l’orientamento di questa Corte che afferma che detta
indennità non ha natura retributiva e pertanto su di essa non competono
gli accessori di cui all’art. 429, comma 3, c.p.c., se non dalla data della
pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola
appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (Cass. n. 7458
del 2014), cosicché, nel caso di specie, deve cassarsi senza rinvio – non
essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto – la sentenza di appello
in relazione a detto motivo e statuirsi che gli accessori di cui all’art. 429,
comma 3, c.p.c. sull’indennità di cui all’art. 32 della I. n. 183 del 2010
sono dovuti dalla data della stessa sentenza di appello;
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parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione

il ricorso incidentale è, viceversa, infondato, in quanto (si veda per tutte
Cass. n. 6122 del 2014) la determinazione, tra il minimo e il massimo,
della misura dell’indennità prevista dall’art. 32, comma 5, della I. n. 183
del 2010 – che richiama i criteri indicati dall’art. 8 della I. n. 604 del 1966
– spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo
per motivazione assente, illogica o contraddittoria, il che, nel caso di

provveduto a valutare i criteri di cui all’art. 8 della I. n. 604 del 1966,
richiamato dall’art. 32, comma 5, della I. n. 183 del 2010, prendendo in
esame sia la brevità del periodo lavorativo prestato alle dipendenze di
Poste italiane s.p.a. sia le rilevanti dimensioni dell’impresa;
in conclusione, deve, quindi, accogliersi il motivo di ricorso relativo alla
decorrenza degli accessori di cui all’art. 429, comma 3, c.p.c. e disattesi
i restanti, nonché il ricorso incidentale, la sentenza va cassata senza
rinvio, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., non essendo necessari
ulteriori accertamenti in fatto, con decorrenza di interessi e
rivalutazione, sull’indennità pari a quattro mensilità della retribuzione di
fatto percepita, dalla data della sentenza di appello;
tenuto conto dell’esito della lite si ritiene conforme a diritto confermare
le statuizioni dei giudici di merito in tema di spese processuali e
compensare per 1/4 fra le parti le spese del giudizio di legittimità,
ponendo la restante quota a carico di Poste italiane s.p.a., con
liquidazione nell’intero come da dispositivo e distrazione in favore del
difensore dichiaratosi antistatario;
stante l’integrale rigetto del ricorso incidentale deve darsi atto dei
presupposti, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d. P.R. n. 115 del
2002, per il versamento da parte dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso
incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

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specie, non è dato riscontrare, avendo la sentenza impugnata

P.Q.M.

La Corte così provvede:
accoglie il terzo motivo del ricorso principale, rigettati i restanti motivi
ed il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel
merito condanna Poste italiane al pagamento di interessi e rivalutazione
monetaria sull’indennità di cui all’art. 32 I. n. 183/2010 dalla data della

conferma la statuizione di merito sulle spese di merito e condanna Poste
al pagamento dei 3/4 delle spese del presente giudizio, che si liquidano,
nell’intero in euro 4.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d. P.R. n. 115 del 2002, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei
ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis
dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di
Cassazione, sezione IV lavoro, in data 12 luglio 2017.

sentenza di appello;

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