Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2449 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/02/2020, (ud. 22/10/2019, dep. 04/02/2020), n.2449

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29284-2018 proposto da:

G.U., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DI NOVELLA 1,

presso lo studio dell’avvocato MARIO LUCCI, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA, 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPINA

GIANNICO, LUIGI CALIULO, SERGIO PREDEN, ANTONELLA PATTERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 188/2018 del TRIBUNALE di VITERBO, depositata

il 06/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa LEONE

MARGHERITA MARIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Il Tribunale di Viterbo con sentenza n. 188/2018, resa in sede di procedimento ex art. 445 bis c.p.c., aveva rigettato la domanda di G.U. diretta al riconoscimento del requisito sanitario utile per ottenere la prestazione di cui alla L. n. 222 del 1984, art. 1.

Il tribunale aveva ritenuto, all’esito delle indagini peritali svolte, che, pur accertate le patologie denunciate, non fosse presente una invalidità utile alla prestazione richiesta.

Avverso tale decisione il G. proponeva ricorso affidato ad un solo motivo cui resisteva l’Inps con controricorso.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1) Con unico motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. n. 222 del 1984, art. 1 e art. 149 dis attuaz. c.p.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.), nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per aver, il Tribunale erroneamente recepito acriticamente il risultato dell’indagine peritale ed aver ignorato l’esame delle “occupazioni confacenti alle attitudini”;

Il motivo risulta inammissibile;

Questa Corte ha in più occasioni chiarito che “E’ inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito”(Cass.n. 8758/017-Cass.n. 18721/2018).

Nel caso in esame, al di là della indicazione formale del vizio denunciato, parte ricorrente rileva, in sostanza, l’errata valutazione di merito svolta dal tribunale proponendo una differente interpretazione dei fatti del processo e richiedendo, in concreto, una nuova valutazione degli stessi non consentita in sede di legittimità. Deve a riguardo rilevarsi che il tribunale ha espresso la sua valutazione dando conto dell’indagine peritale, degli esiti della stessa, condividendone i risultati e confrontandosi con gli stessi, giungendo, con riguardo al caso concreto, al giudizio di assenza delle condizioni utili per la prestazione richiesta.

La censura inerente la mancata valutazione delle “occupazioni confacenti alle attitudini”, risulta infine inammissibile. Trattasi, infatti, di censura che, proposta ai sensi del testo vigente dell’art. 360 c.p.c., n. 5 presuppone la specifica indicazione di un fatto storico emergente dagli atti di causa oggetto di discussione tra le parti ed avente rilievo decisivo, non esaminato nella sentenza impugnata. A tale onere la parte non ha adempiuto, contrapponendo, piuttosto, alle valutazioni del ctu, fatte proprie dal giudicante, un diverso apprezzamento delle medesime patologie, corrispondente alle proprie aspettative (Cass. n. 7886/2019).

Il ricorso risulta pertanto inammissibile.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore della controricorrente nella misura di cui al dispositivo.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2.200,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis,.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 4 febbraio 2020

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