Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24486 del 30/10/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 24486 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: DI PALMA SALVATORE

h

SENTENZA

sul ricorso 24676-2006 proposto da:
MASCIA GIAMPAOLO (c.f. MSCGPL38A01D334V), nella
qualità di titolare dell’omonima impresa edile,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTA

Data pubblicazione: 30/10/2013

PINCIANA 6, presso l’avvocato D’AMELIO PIERO, che
lo rappresenta e difende, giusta procura a margine
2013

del ricorso;
– ricorrente-

1323

contro

MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro

1

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI
12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che
lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente contro

– intimata –

avverso la sentenza n. 4619/2005 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 31/10/2005;
udita la relazione della causa

svolta nella

pubblica udienza del 18/09/2013 dal Consigliere
Dott. SALVATORE DI PALMA;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato PIERO D’AMELIO
che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO

che ha

concluso per il rigetto del ricorso con

condanna

alle spese.

TORO ASSICURAZIONI S.P.A.;

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Ritenuto

che

Giampaolo Mascia

titolare

dell’omonima impresa edile – con ricorso monitorio
dell’8 settembre 1999 al Presidente del Tribunale di
Roma, chiese ed ottenne, nei confronti del Ministro della
difesa, decreto ingiuntivo per la somma di £.

186.980.027, somma a suo dire dovutagli a titolo di
indennizzo per la rescissione di quattro contratti di
appalto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 47,
secondo comma, del Capitolato generale di appalto dei
lavori del Genio militare e 345 della legge 20 marzo
1865, n. 2248, All. F (pagamento del corrispettivo per i
lavori eseguiti, del valore dei materiali utili esistenti
in cantiere, oltreché del decimo dell’importo delle opere
non eseguite);
che, con citazione del 17 dicembre 1999, il
Ministro della difesa propose opposizione avverso il
decreto ingiuntivo, deducendo, tra l’altro, che i
contratti

de quibus

erano stati rescissi in danno del

Mascia, ai sensi dell’art. 48 di detto Capitolato
generale, in quanto il Mascia, ancorché fosse stata
effettuata la consegna dei lavori, non aveva mai iniziato
l’esecuzione dei lavori stessi;
che, costituitosi, il Mascia dedusse che il
comportamento illegittimo tenuto dall’Amministrazione in
altri rapporti contrattuali, ancora in corso al momento
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della stipula di quelli de quibus

(revoca di ordinativi

di pagamento ed emissione di due provvedimenti di fermo
amministrativo, pretestuosa rescissione di due dei
contratti in questione), aveva avuto un effetto
pregiudizievole per l’impresa, impedendo
de

l’autofinaziamento per l’esecuzione dei contratti

quibus, con la conseguenza che il comportamento medesimo,
da interpretare come volontà di risolvere
illegittimamente i contratti in questione, comportava il
suo diritto al risarcimento del danno subito, pari al
decimo delle opere non eseguite, da calcolarsi secondo il
criterio degli artt. 57 del Capitolato generale di
appalto dei lavori del Genio militare e 345 della legge
20 marzo 1865, n. 2248, All. F;
che il Tribunale adito – con l’intervento della
s.p.a. Toro Assicurazioni, garante degli obblighi assunti
dal Mascia -, con la sentenza n. 22575/2002 del 4 giugno
2002, dichiarò inammissibile l’intervento della s.p.a.
Toro, revocò il decreto ingiuntivo e condannò il Mascia
al pagamento delle spese processuali;
che, in particolare – come sottolineato dalla
sentenza oggi impugnata (pagg. 3-4) -, «il giudice di
primo grado ha posto in luce che [il Mascia] nel ricorso
per l’emissione del decreto ingiuntivo ha chiesto il
compenso dovuto all’appaltatore nel caso in cui la P.A.
4

eserciti la facoltà di recesso mentre, nel corso del
giudizio di opposizione, ha chiesto il risarcimento del
danno subito per effetto dell’illegittimo comportamento
della P.A. che avrebbe impedito al Mascia di portare a
compimento i rapporti contrattuali già instauratisi e di

costituirne altri. Ha, poi, sottolineato come ciò
costituisca domanda nuova attesa la diversità del petitum
e della

causa petendi

(indennizzo per atto ‘legittimo e

danno per inadempimento contrattuale) ma ha ritenuto di
dover pronunciare su detta domanda, disattendendola, ed
ha – altresì – rilevato l’infondatezza anche di quella
proposta nel monitorio per mancanza dei requisiti formali
del recesso della P.A. che non può desumersi da alcun
comportamento pretesamente concludente»;
che avverso la sentenza di primo grado il Mascia
propose appello principale dinanzi alla Corte di Roma,
ribadendo l’illegittimità del comportamento tenuto dalla
P.A. e specificando che la sua azione si fondava su un
illecito commesso dalla stessa P.A. per colpa grave,
quale titolo per il risarcimento dei danni subiti a
séguito della illegittima risoluzione dei quattro
contratti posti a base del decreto ingiuntivo;
che, il Ministro della difesa, nel contestare i
motivi del gravame, spiegò appello incidentale, chiedendo
che le domande proposte dal Mascia in sede di
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costituzione

nel

giudizio

di

opposizione

fossero

dichiarate inammissibili;
che la Corte adita – in contraddittorio anche con
la s.p.a. Toro Assicurazioni -, con la sentenza n.
4619/05 del 31 ottobre 2005, ha rigettato l’appello

principale, ha accolto l’appello incidentale e, in
parziale riforma della sentenza appellata, ha dichiarato
inammissibile la domanda risarcitoria proposta dal Mascia
nel giudizio di primo grado;
che, in particolare, la Corte di Roma:

a)

dopo

aver richiamato le su trascritte motivazioni del Giudici

di primo grado, ha affermato che manca ogni censura del
Mascia sia sull’affermata infondatezza della domanda di
pagamento proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo,
per mancanza dei requisiti formali del recesso della
P.A., che non può desumersi da alcun comportamento
pretesamente concludente, sia sull’affermata “novità”
della domanda di risarcimento del danno proposta con
l’atto di costituzione nel giudizio di opposizione,
valutazione quest’ultima conforme alla giurisprudenza di
legittimità (viene richiamata la sentenza della Corte di
cassazione n. 2080 del 2001);

b)

ha accolto l’appello

incidentale proposto dal Ministro della difesa – volto
alla dichiarazione di inammissibilità della predetta
domanda risarcitoria sia perché la pacifica
6

circostanza che l’Amministrazione convenuta (opponente al
decreto ingiuntivo) non aveva eccepito alcunché alla
proposizione della domanda risarcitoria non è idonea a
conferire a tale silenzio la valenza di accettazione del
contraddittorio (vengono richiamate le conformi sentenze

della Corte di cassazione nn. 3159 del 2001, 192 e 4769
del 2002), sia perché l’inammissibilità della domanda
“nuova” proposta dall’opposto nel giudizio di opposizione
a decreto ingiuntivo può essere rilevata d’ufficio anche
nel giudizio di legittimità (vengono richiamate le
conformi sentenze della Corte di cassazione nn. 11415 del
2004, 13445 e 11053 del 2001, 6238 e 4531 del 2000); c)
ha affermato che la rilevata inammissibilità della
domanda risarcitoria determina l’assorbimento dei motivi
d’appello principale concernenti il merito della domanda
stessa;
che avverso tale sentenza Giampaolo Mascia ha
proposto ricorso per cassazione, deducendo due profili di
un unico motivo di censura;
che resiste, con controricorso, il Ministro della
difesa, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato;
che il Procuratore generale ha concluso chiedendo
il rigetto del ricorso con condanna alle spese.

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Considerato che, con il primo e con il secondo

profilo dell’unico motivo (con cui deduce: «Violazione e
falsa applicazione degli artt. 183, comma 4, 345, comma
329

e

346

c.p.c.,

nonché

del

principio

dell’accettazione del contraddittorio. Erroneità e
i quali possono

insufficienza della motivazione») –

essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro
stretta connessione -, il ricorrente critica la sentenza
impugnata, anche sotto l’aspetto dei vizi di motivazione,
sostenendo che:

a)

anche a voler ammettere che nel

giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo l’odierno
ricorrente ha effettivamente modificato la originaria
domanda formulata con il ricorso monitorio,
l’accettazione del contraddittorio da parte
dell’Amministrazione – con il non aver eccepito alcunché
al riguardo – ha superato la questione dell’ammissibilità
della domanda di risarcimento del danno sia nel giudizio
di primo grado sia nel giudizio d’appello; ciò, tenuto
conto che detta modificazione si è resa necessaria in
conseguenza delle deduzioni (domande ed eccezioni) svolte
dall’Amministrazione con l’atto di citazione in
opposizione (viene richiamata la sentenza di questa Corte
n. 3991 del 2003); b)

contrariamente a quanto affermato

dalla Corte d’appello, l’odierno ricorrente ha censurato
anche la ritenuta (dai Giudici di primo grado) “novità”
della domanda risarcitoria, in quanto tale domanda – da
8

intendersi correttamente come mera specificazione di
quella originaria, in risposta alle deduzioni avversarie,
e quindi come emendati° libelli

si fonda sui medesimi

fatti posti a base del ricorso per decreto ingiuntivo,
cioè il comportamento illegittimo tenuto

ancora in corso al momento della stipula di quelli

dall’Amministrazione in altri rapporti contrattuali,
de

quibus (revoca di ordinativi di pagamento ed emissione di

provvedimenti di fermo amministrativo, pretestuosa
rescissione di due dei contratti in questione), con
conseguenti effetti pregiudizievoli per l’impresa, quale
quello dell’autofinaziamento per l’esecuzione dei
contratti de quibus;
che il ricorso non merita accoglimento;
che, innanzitutto, deve essere sottolineato che
sul rigetto della domanda di pagamento dell’indennizzo,
di cui all’art. 345 della legge 20 marzo 1865, n. 2248,
All. F (pagamento del corrispettivo per i lavori
eseguiti, del valore dei materiali utili esistenti in
cantiere, oltreché del decimo dell’importo delle opere
non eseguite), azionata con il ricorso monitorio, si è
formato il giudicato, a séguito della pronuncia di
infondatezza della stessa domanda «per mancanza dei
requisiti formali del recesso della P.A. che non può
desumersi da alcun comportamento pretesamente
9

concludente», emessa dai Giudici di primo grado e non
impugnata con l’atto di appello;
che, quanto alla affermata inammissibilità della
domanda risarcitoria – proposta dal Mascia con la
comparsa di costituzione nel giudizio di opposizione

dell’Amministrazione al pronunciato decreto ingiuntivo,
sul rilievo che il comportamento illegittimo tenuto dalla
stessa Amministrazione in altri rapporti contrattuali,
ancora in corso al momento della stipula di quelli

de

quibus (revoca di ordinativi di pagamento ed emissione di
due provvedimenti di fermo amministrativo, pretestuosa
rescissione di due dei contratti in questione), aveva
avuto un effetto pregiudizievole per l’impresa, impedendo
l’autofinaziamento per l’esecuzione dei contratti

de

quibus, con la conseguenza che il comportamento medesimo,
da interpretare come volontà di risolvere
illegittimamente i contratti in questione, comportava il
suo diritto al risarcimento del danno subito, pari al
decimo delle opere non eseguite, da calcolarsi secondo il
criterio degli artt. 57 del Capitolato generale di
appalto dei lavori del Genio militare e 345 della legge
20 marzo 1865, n. 2248, All. F -, tale affermazione non
merita le censure formulate dall’odierno ricorrente;
che, infatti, deve darsi continuità al principio
di diritto, secondo il quale, nel vigore del regime delle
10

preclusioni di cui agli artt. 183 e 184 cod. proc. civ. come formulati dalla legge 26 novembre 1990, n. 353, ed
applicabili alla fattispecie

ratione temporis,

la

questione circa la novità delle domande è del tutto
sottratta alla disponibilità delle parti e ricondotta

in forza del principio secondo cui il

esclusivamente al rilievo d’ufficio da parte del giudice,
thema decidendum

non è più modificabile dopo la chiusura della prima
udienza di trattazione o dopo la scadenza del termine
concesso dal giudice ai sensi dell’art. 183, quinto
comma, con la conseguenza che, ove una domanda non sia
stata proposta in primo grado nei termini perentori
previsti dalla legge, essa deve essere dichiarata
inammissibile anche in appello, a causa dell’inderogabile
divieto di domande nuove di cui all’art. 345 del codice
di rito (cfr.,

ex plurimis,

le sentenze nn. 947 del 2012

e 14625 del 2010);
che, inoltre, nel regime anteriore alla novella
del 1990, il divieto di introdurre una domanda nuova nel
corso del giudizio di primo grado risulta posto a tutela
della parte destinataria della domanda, con la
conseguenza che la violazione di tale divieto – pur
rilevabile d’ufficio, non essendo riservata alle parti
l’eccezione di novità della domanda – non è tuttavia
sanzionabile in presenza di un atteggiamento non
oppositivo della parte medesima, consistente
11

nell’accettazione esplicita del contraddittorio o in un
comportamento concludente che ne implichi l’accettazione,
sicché a tal fine, l’apprezzamento della concludenza del
comportamento della parte, riservato al giudice di
merito, va compiuto attraverso una seria indagine sulla

significatività dello stesso, senza che assuma rilievo
decisivo il semplice protrarsi del difetto di reazione
alla domanda nuova, o – qualora questa sia formulata
all’udienza di precisazione delle conclusioni – il mero
silenzio della parte contro la quale la domanda è
proposta, sia essa presente o no detta udienza, mentre il
regime di preclusioni introdotto dalla novella di cui
alla legge n. 353 del 1990 deve ritenersi inteso non solo
a tutela dell’interesse di parte ma anche dell’interesse
pubblico al corretto e celere andamento del processo, con
la conseguenza che la tardività di domande, eccezioni,
allegazioni e richieste deve essere rilevata d’ufficio
dal giudice indipendentemente dall’atteggiamento
processuale della controparte al riguardo (cfr., ex
plurimis,

le sentenze nn. 25242 del 2006 e 21228 del

2009);
che, infine, questa Corte, con la sentenza n.
25598 del 2011, nel ribadire tali principi, in
applicazione degli stessi, ha cassato senza rinvio la
sentenza impugnata, dichiarando inammissibile la domanda
di pagamento delle opere extra contratto proposta
12

dall’opposto con la comparsa di costituzione in un
giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo relativo al
pagamento del corrispettivo di un appalto per
l’esecuzione di lavori edili e negando ogni rilievo
all’avvenuta accettazione del contraddittorio di

controparte, ciò senza contare che nel giudizio di
cognizione introdotto dall’opposizione a decreto
ingiuntivo solo l’opponente, in virtù della sua posizione
sostanziale di convenuto, è legittimato a proporre
domande riconvenzionali, e non anche l’opposto, che
incorrerebbe, ove le avanzasse, nel divieto (la cui
violazione è rilevabile d’ufficio anche in sede di
legittimità) di formulazione di domande nuove, salvo il
caso in cui, per effetto di una riconvenzionale proposta
dall’opponente, la parte opposta venga a trovarsi, a sua
volta, nella posizione processuale di convenuta (cfr.,
plurimis,

ex

le sentenze nn. 13086 del 2007 e 5071 del

2009);
che i Giudici

a quibus

hanno correttamente

applicato tutti tali princípi, affermando che il Mascia,
con il ricorso monitorio, ha chiesto il compenso dovuto
all’appaltatore nel caso in cui la P.A. eserciti la
facoltà di recesso, mentre, nel corso del giudizio di
opposizione, ha chiesto il risarcimento del danno subito
per effetto del dedotto illegittimo comportamento della
stessa P.A., e sottolineando che ciò costituisce domanda
13

nuova in ragione della diversità del
causa petendi

petitum

e della

(indennizzo per atto legittimo e danno per

inadempimento contrattuale);
che le spese seguono la soccombenza e vengono

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese,
che liquida in complessivi E 5.000,00, oltre alle spese
prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della
Prima Sezione Civile, il 18 settembre 2013
Il Consi liere relatore ed estensore

liquidate nel dispositivo.

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