Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24486 del 04/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/11/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 04/11/2020), n.24486

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5478-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

PASTORINO SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI PAISIELLO, 15,

presso lo studio dell’avvocato PIETRO DAVIDE SARTI, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIUSEPPE ANTONUCCIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3122/4/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA SEZIONE. DISTACCATA di SIRACUSA, depositata

il 10/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio nor

partecipata del 24/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE

CAPOZZI.

 

Fatto

RILEVATO

che l’Agenzia delle entrate riscossione propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR della Sicilia, sezione staccata di Siracusa, di rigetto dell’appello da essa proposto avverso una sentenza della CTP di Siracusa, che aveva accolto il ricorso della contribuente s.r.l. “PASTORINO” avverso avviso di accertamento IRES, IVA ed IRAP 2008.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione art. 109 TUIR, comma 5, e art. 2967 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto l’avviso di accertamento impugnato conteneva diffusi elementi di conoscibilità dell’imposizione fiscale, si da non potersi ritenere non motivato, avendo esso fatto riferimento ad elementi di fatto risultanti da un altro documento, collegato all’atto notificato e riportato nel suo contenuto essenziale; il documento collegato era, in particolare, un pvc della gdf, ben conosciuto dalla società contribuente, che conteneva l’indicazione dei recuperi effettuati; e gravava sulla società contribuente l’onere di dimostrare le componenti negative del reddito, sia per la loro esistenza, sia per la loro inerenza, secondo il principio generale contenuto nell’art. 2967 c.c.; nella specie l’ufficio aveva ritenuto non inerenti 26 fatture, emesse dalla s.a.s. “FOTI LUIGI & C.” e recanti tutte la descrizione “per prestazioni di servizi relativi ad attività di cui alla vs. lettera d’incarico del 1.9.2000 e successive proroghe”, che non avevano trovato riscontro effettivo nelle operazioni commerciali riferite all’anno dell’accertamento (2008);

che la società contribuente si è costituita con controricorso;

che l’unico motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate riscossione è fondato;

che, invero, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 20416 del 2018), ai fini della motivazione di un avviso di accertamento, non è necessaria l’allegazione del pvc redatto dalla gdf, sulla cui base è stato emesso l’avviso, e che risulta peraltro, nella specie, essere stato regolarmente notificato alla società contribuente, essendo sufficiente la riproduzione del suo contenuto essenziale nel corpo dell’avviso; e la motivazione per relationem di un avviso di accertamento è da ritenere legittima non solo quando l’atto richiamato sia allegato all’avviso, ma anche quando, come nel caso in esame, di tale atto sia stato riprodotto nell’avviso il contenuto essenziale;

che, inoltre, la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 10114 del 2017; Cass. n. 21184 del 2014; Cass. n. 403 del 2015; Cass. n. 9784 del 2019) è concorde nel ritenere che ricade sul contribuente l’onere di provare l’inerenza dei beni o servizi acquistati per lo svolgimento della propria attività imprenditoriale; è cioè il contribuente tenuto a provare che si tratti di spese riferibili all’attività svolta e da cui derivino ricavi o proventi, che concorrano a formare il reddito d’impresa e di provare, altresì, la coerenza economica dei costi sostenuti nel quadro complessivo dell’attività d’impresa svolta;

che non è pertanto condivisibile la sentenza impugnata, secondo la quale era onere dell’Agenzia delle entrate indicare perchè i costi per servizi recuparati a tassazione non erano inerenti all’attività d’impresa; invero dal contesto dell’avviso di accertamento impugnato, riprodotto dall’Agenzia resistente ai fini dell’autosufficienza del ricorso, emerge che i costi per servizi ritenuti non inerenti erano costituiti da 26 fatture, emesse da tale s.a.s. “POTI LUIGI & C.” e descritte dalla gdf nel pvc posto a fondamento dell’avviso di accertamento impugnato; era pertanto onere della società contribuente dimostrare l’inerenza di detti costi e la loro congruenza rispetto all’attività imprenditoriale svolta nell’anno di riferimento (2008);

che, pertanto, il ricorso dell’Agenzia delle entrate va accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTR della Sicilia, sezione staccata di Siracusa, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Sicilia, sezione staccata di Siracusa, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

 

 

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