Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24483 del 17/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 17/10/2017, (ud. 29/03/2017, dep.17/10/2017),  n. 24483

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3500/2013 proposto da:

C.A., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA ETTORE ROMAGNOLI, 70, presso lo studio dell’avvocato ANDREA

EMILIO FALCETTA, rappresentata e difesa dall’avvocato DAVIDE

MONGATTI;

– ricorrente –

contro

T.M., (OMISSIS), M.G. (OMISSIS), M.M.

(OMISSIS) e F.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliati

in ROMA, PIAZZALE CLODIO 61, presso lo studio dell’avvocato MATTEO

MOCHI ONORI, rappresentati e difesi dall’avvocato SERGIO ROSSI;

– c/ricorrenti e ricorrenti incidentali –

e contro

A.G., T.I., T.D., CA.AL.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 472/2012 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 26/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/03/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;

udito l’Avvocato DAVIDE MONGATTI, difensore della ricorrente

principale, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale ed

il rigetto del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato SERGIO ROSSI, difensore dei controricorrenti e

ricorrenti incidentali, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso

incidentale ed il rigetto del ricorso principale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DEL CORE Sergio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale e per l’assorbimento del ricorso incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione notificata l’8-11/2/2003 C.A. ha convenuto innanzi al tribunale di Perugia – sez. dist. di Città di Castello – A.G., T.D., T.I., T.M. e Ca.Al., chiedendo accertarsi l’usucapione in proprio favore di una zona di terreno nel comune di Città di Castello mediante accessione nel possesso di durata complessiva di oltre 40 anni di suoi danti causa quanto alle particelle da lei acquistate con atti per notar F. del 1/4/1993 e Caróne del 30/5/1994, con trasmissione di diritti anche su altra particella; sulla particella n. 71 il padre e dante causa dell’attrice, C.G.B., aveva anche sottoscritto con ca.na. una scrittura privata, denominata “compromesso di transazione”, con cui il piazzale corrispondente alla particella fondiaria veniva tra essi ripartito in quanto frontistante i rispettivi fabbricati.

2. Si è costituita in giudizio T.M., nella contumacia degli altri convenuti; sono intervenuti volontariamente M.G., M.M. e F.S., condomini della corte comune di mq. 260. Essi hanno dedotto essere insussistenti i presupposti per l’usucapione della particella e, in via riconvenzionale, avendo ampliato C.A. il proprio fabbricato senza il rispetto delle distanze legali per costruzioni e vedute, hanno chiesto condannarsi l’attrice alla rimozione delle opere e al risarcimento del danno.

3. Con memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5, C.A. ha precisato la domanda di accertamento dell’usucapione, indicando come oggetto di essa non tutto il piazzale di mq. 260 ma solo la porzione oggetto della scrittura privata del 1959, di circa mq. 32, con diritto a mantenerne la recinzione. Espletate prove orali e consulenza tecnica d’ufficio, da quest’ultima è emerso come l’esame dei titoli di provenienza avesse evidenziato che per atto per notar Ce. del 5.12.1946 era stata venduta a ca.gi. e O.M. casa con un piccolo “sciolto” (vocabolo locale usato per indicare una porzione di fondo con funzione di uscita o passaggio) di mq. 25, e che per atto per notar Ce. del 18.5.1948 era stato venduto a C.G.B. casa con piccolo “piazzaletto o sciolto”, per cui l’area su cui l’attrice aveva vantato l’usucapione era la somma dei due “sciolti”. All’udienza di precisazione delle conclusioni del 14.10.2008 le stesse sono state rassegnate nell’interesse dell’attrice come volte all’accoglimento della domanda come in citazione e memoria ex art. 183 c.p.c. e, in via subordinata, per l’accertamento della proprietà sui due “sciolti” in base agli atti d’acquisto per notar Ce., atteso che le due case erano poi all’attrice pervenute per rogiti per notar F. del 1/4/1993 e c. del 30/5/1994.

4. Con sentenza del 20/10/2009 il tribunale ha ritenuto nuove, e quindi inammissibili, le domande proposte con la memoria ex art. 183 c.p.c. e in sede di precisazione delle conclusioni, su cui le controparti non avevano accettato il contraddittorio; ha rigettato la domanda di accertamento dell’usucapione; ha accolto la domanda riconvenzionale ordinando l’eliminazione delle recinzioni sulla p.lla (OMISSIS), disponendo l’arretramento delle costruzioni alla distanza legale (m. 5 dai confini, di cui all’art. 41 del regolamento di Città di Castello – cfr. c.t.u.) e la chiusura delle vedute a distanza non legale; ha rigettato la domanda riconvenzionale di risarcimento del danno.

5. Ha proposto appello principale C.A. e, sulla resistenza delle controparti costituite in primo grado che hanno proposto appello incidentale in ordine al diniego dei danni, contumaci le altre, la corte d’appello di Perugia con sentenza depositata il 26/11/2012 ha rigettato entrambe le impugnazioni.

5.1. A sostegno della decisione, la corte d’appello ha considerato che, pur essendo la domanda in sede di conclusioni connotata dal medesimo petitum rispetto alla domanda originaria, “vi è un mutamento palese di causa petendi” tra acquisto a titolo originario e a titolo derivativo, ciò “che ne giustifica il carattere di mutatio libelli e la conseguente inammissibilità”.

6. Ha proposto ricorso per cassazione di tale sentenza Antonella Celestini, su cinque motivi (quello indicato come sesto essendo in effetti il quinto), cui resistono T.M., M.G., M.M. e F.S. con controricorso contenente ricorso incidentale su tre motivi. Le parti ricorrente principale e incidentale hanno depositato memoria. Sono rimasti intimati A.G., T.D., T.I. e Ca.Al..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione di norma sostanziale, in riferimento all’art. 948 c.c., in quanto con l’impugnata sentenza la corte d’appello avrebbe errato nel ritenere, confermando la sentenza del tribunale, inammissibile la domanda in quanto fondata in via subordinata o alternativa, all’udienza di conclusioni, su titoli derivativi invece che, come con la citazione originaria, sull’usucapione.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione di norma processuale individuata nell’art. 189 c.p.c., in quanto in tema di diritti reali la preclusione indicata da detta norma non sussisterebbe, per essere i diritti in questione autodeterminati per cui il titolo non caratterizza la causa petendi: la domanda quindi non muterebbe a seconda del titolo posto a suo fondamento.

3. Con il terzo motivo, da altro punto di vista, la ricorrente denuncia ulteriore violazione di disciplina processuale, affermando essere incorsa la corte d’appello in un’omessa pronuncia o in alternativa nell’omessa sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., ai fini dell’esame del sussistere dei presupposti dell’acquisto a titolo derivativo.

4. Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta l’erroneità della declaratoria di inammissibilità della domanda fondata su titoli derivativi, dal diverso angolo visuale dell’omesso esame di fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

5. I primi due motivi del ricorso principale sono strettamente connessi e vanno esaminati congiuntamente. Essi sono fondati e il loro accoglimento determina l’assorbimento del terzo e del quarto motivo, in quanto attinenti alla medesima statuizione a cassarsi.

5.1. Effettivamente la corte d’appello ha, con la sentenza impugnata, ritenuto che la domanda come articolata in sede di conclusioni, in via subordinata, sulla base di titoli derivativi, fosse connotata dal medesimo petitum rispetto alla domanda originaria, ma che vi fosse “un mutamento palese di causa petendi” tra acquisto a titolo originario e a titolo derivativo, ciò che secondo i giudici di merito “ne giustifica il carattere di mutatio libelli e la conseguente inammissibilità”.

5.2. Tale statuizione è errata in diritto, in quanto essa si pone contro il consolidato principio affermato da questa corte secondo cui la proprietà appartiene alla categoria dei diritti autodeterminati, individuati cioè in base alla sola indicazione del loro contenuto, rappresentato dal bene che ne costituisce l’oggetto, sicchè nelle azioni a essi relative, a differenza delle azioni accordate a tutela dei diritti di credito, la causa petendi si identifica con i diritti stessi, piuttosto che con i fatti o gli atti allegati a loro fondamento, mentre il titolo, necessario alla prova del diritto, non ha alcuna funzione di specificazione della domanda. Ne consegue che nel corso del giudizio iniziato sulla base di un titolo (ad es. usucapione o contratto) è sempre possibile l’allegazione di un titolo diverso rispetto a quello posto precedentemente a fondamento della domanda, e ciò anche nei gradi successivi (e salvo il coordinamento del principio con le regole del giudicato, da un lato, e con l’impossibilità, limitatamente al giudizio in cassazione, di procedere ad accertamenti di fatto, dall’altro – v. rispettivamente Cass. 18/02/1991, n. 1682 e 10/05/2013, n. 11211). La deduzione in questione costituisce infatti una mera difesa integrativa, con conseguenze limitate al piano probatorio (per cui spetterà al giudice valutare se la domanda sia stata provata dal diverso angolo visuale, in base alle preclusioni operanti su tale piano), non potendo però mai ravvisarsi in tale integrazione una domanda nuova, nè una implicita rinuncia alla valutazione del diverso titolo dedotto in precedenza (v. tra le molte, le più recenti Cass. 08/01/2015, n. 40, 17/11/2014, n. 24400, 24/11/2010, n. 23851 05/11/2010, n. 22598, 23/12/2010, n. 26009).

Conseguentemente, all’udienza di conclusioni di primo grado essendo ciò possibile anche in appello – la parte ben poteva, come ha fatto, dedurre in via subordinata o alternativa un diverso titolo a sostegno dell’affermato diritto autodeterminato di proprietà.

Per completezza, va osservato che diversa questione è quella relativa alla circostanza della mancata deduzione sul piano probatorio del titolo diverso (nel caso di specie, essendo stati gli atti di provenienza acquisiti in sede di c.t.u.); eventuali questioni al riguardo dovranno essere risolte dal giudice del rinvio alla luce delle molteplici coordinate processuali delle stesse (quali ad es. il sussistere di una eccezione tempestiva di nullità degli accertamenti peritali, l’esigenza di deduzione della questione in appello, la nozione di indispensabilità della prova nuova nella vigenza dell’art. 345 c.p.c., ratione temporis vigente, su cui si attendono gli esiti dell’ordinanza di rimessione alle Sez. U n. 22602/2016).

6. Con il quinto motivo (nel ricorso erroneamente numerato come sesto) si deduce violazione di legge in riferimento all’art. 41 del regolamento edilizio di Città di Castello, in quanto integrativo della disciplina civilistica delle distanze legali per le costruzioni (art. 873 c.c.).

6.1. Anche la disamina di tale motivo resta – per altra via rispetto ai precedenti – assorbita. Invero, come si legge nell’impugnata sentenza ed esposto dalla stessa ricorrente nell’ambito della censura, la presunta violazione delle norme sulle distanze è legata “all’ipotesi in cui fosse accertata l’inesistenza dell’acquisto della proprietà da parte dell’attore” (rectius, attrice). Dovendo rinnovarsi la valutazione della questione da parte del giudice del rinvio, il riesame della situazione in tema di distanze sarà conseguenziale.

6.2. Resta quindi esentata questa corte dal considerare la questione, che pare porsi nel caso di specie, del regime delle distanze assolute dai confini di fondo non altrui, ma comune (anche) al costruttore.

7. Per analoghe ragioni resta assorbito l’esame del primo motivo del ricorso incidentale, con cui da opposto punto di vista si è dedotta violazione di legge in riferimento agli artt. 832,871 ss. e 2043 c.c., per ritenuto erroneo diniego del risarcimento dei danni, e del secondo motivo, per vizi motivazionali riscontrati nella decisione impugnata nella parte concernente detto diniego.

8. Pure assorbito è l’esame del terzo motivo del ricorso incidentale, con cui si deduce omessa pronuncia e quindi violazione della norma processuale dell’art. 112 c.p.c., per non avere la corte d’appello esaminato la domanda di rimessione in pristino. Tale domanda, invero, è strettamente consequenziale alla rideterminazione dell’ambito proprietario di C.A. giusta quanto emergente nei motivi accolti.

9. Va dunque disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti del ricorso principale, con assorbimento degli altri dello stesso ricorso principale e di quelli del ricorso incidentale, con rinvio alla corte d’appello di Perugia, in composizione diversa da quella che ha pronunciato la sentenza cassata, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

La corte accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri e assorbiti i motivi del ricorso incidentale; cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 29 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2017

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