Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24480 del 30/10/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 24480 Anno 2013
Presidente: CARNEVALE CORRADO
Relatore: BISOGNI GIACINTO

Data pubblicazione: 30/10/2013

R.G.N. 17782/06
SENTENZA

c ron Z (Mg

sul ricorso proposto da:

Antonio Oggiano, elettivamente domiciliato in Roma, Rei).
via G. Ferrari 4, presso lo studio dell’avv. Sergio Ud. 4/07/13
Smedile che con l’avv. Mario Riviezzo lo rappresenta e
difende per procura speciale in calce al ricorso;
_ c_y, “hf p-rg (41-Tog- 449e1 – ricorrente contro

Ministero della Pubblica Istruzione, in persona del
Ministro pro tempore, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura dello Stato e domiciliato presso i suoi

I ZPS

uffici in Roma, via dei Portoghesi 12;

10 13
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 318/05 della Corte d’appello di
Cagliari emessa il l luglio 2005 e depositata il 16
settembre 2005, R.G. n. 570/03;
sentito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Lucio Capasso che ha concluso per il

Rilevato che:
1. Antonio Oggiano ha chiesto con citazione davanti al
Tribunale di Cagliari la condanna del Ministero della
Pubblica Istruzione al rimborso ex art. 18 del D.L. n.
67/1997 delle spese legali sostenute per difendersi nel
processo penale celebrato nei suoi confronti, per i
reati di falso e peculato, che si era concluso con
assoluzione in primo grado dall’imputazione di falso e
assoluzione in cassazione per il reato di abuso di
ufficio non patrimoniale, così modificata l’originaria
imputazione di peculato, perché il fatto non era più
previsto dalla legge come reato.
2. Si è costituito il Ministero e ha chiesto il rigetto
della domanda perché i fatti contestati nel
procedimento

penale

non

erano

connessi

con

l’espletamento del servizio o l’assolvimento di
obblighi

da

istituzionali

parte

dell’Oggiano

(responsabile amministrativo presso l’Istituto
professionale per l’industria e l’artigianato di
Alghero che avrebbe costretto, in orario di ufficio,
alcuni dipendenti dell’Istituto a effettuare il

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rigetto del ricorso;

trasloco dei mobili della sua abitazione falsificando
il registro delle presenze del personale), non era mai
intervenuta una sentenza che escludesse la commissione
dei fatti, l’Oggiano non aveva provato il pagamento
delle spese legali né la sottoposizione della parcella
al parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato.

Corte di appello ha confermato la sentenza di primo
grado.
4. Ricorre per cassazione Antonio Oggiano affidandosi a
nove motivi di impugnazione.
5. Si difende con controricorso il Ministero.
Ritenuto che
6. Con il primo motivo di ricorso si deduce la mancata
assunzione di una prova decisiva

(la nota

dell’Avvocatura Generale dello Stato n. 113889 del 7
novembre 2011) sull’erroneo presupposto della sua
tardiva produzione in giudizio.
7. Il motivo è infondato perché la Corte di appello ha
preso in considerazione il contenuto del documento e
non lo ha ritenuto qualificabile come parere di
congruità ai fini dell’applicabilità dell’art. 18 del
D.L. n. 67/1997 convertito in L. n. 135/1997.
8.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce

extrapetizione riconducibile all’art. 112 c.p.c. in
quanto

sulla

base

della

posizione

assunta

dall’Avvocatura si doveva ritenere pacificamente
riconosciuto l’an

6c7-f

débeatur

e quindi non chiamata la

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3. Il Tribunale di Cagliari ha respinto la domanda e la

Corte di appello a pronunciarsi sull’applicabilità
della normativa indicata.
9. Il motivo, oltre ad essere stato formulato in modo
ambiguo e non autosufficiente quanto al contenuto del
parere dell’Avvocatura e alla indicazione della sede
processuale in cui esso sarebbe stato prodotto, è

in alcun modo il contenuto della decisione dei giudici
c\JARAv

di merito sulla questione,Si c

peraltro costituente

motivo di impugnazione, della applicabilità del citato
art. 18 alla fattispecie in esame.
10. Con il terzo motivo di ricorso si deduce omessa
all’art.

riconducibile

pronuncia
relativamente

alla

112

correttezza e buona

c.p.c.,
fede

nell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria sub

specie

di

contraddittorietà

tra

comportamenti

antecedenti (ammissione del debito) e comportamento
successivi (resistenza in giudizio sul presupposto
dell’insussistenza del debito).
11. Il motivo non specifica se e quando tale questione
sia stata posta nel giudizio di merito. Si tratta in
ogni caso di una questione del tutto infondata dato che
l’Amministrazione era libera di assumere la posizione
processuale ritenuta corrispondente a diritto in merito
alla questione della sussistenza dei presupposti per
l’applicazione dell’art. 18 in favore dell’odierno
ricorrente.
12.

Con il quarto motivo di ricorso si deduce la

inidoneità del canone logico del giudizio (fatto

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palesemente infondato, non potendo il parere vincolare

controverso per il giudizio) e violazione di norma di
diritto sostanziale. Il ricorrente ritiene che il
giudizio richiesto alla Corte di appello era
finalizzato a una valutazione complessiva del
comportamento amministrativo e come tale rendeva
insostenibile il rilievo della genericità della censura

produzioni documentali tempestive e piena disponibilità
dei fascicoli d’ufficio di primo grado. Ritiene inoltre
che sia illogica la valutazione di genericità
effettuata dalla Corte di appello delle difese
dell’odierno ricorrente, quanto alla mancata prova del
pagamento delle spese legali, difese che, secondo la
Corte di appello, si sono limitate a richiamare
genericamente l’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972 senza
spiegare il significato di tale richiamo in relazione
alla previsione dell’art. 18 del D.L. n. 67/1997.
Secondo il ricorrente tale richiamo valeva e doveva
essere interpretato come giustificativo della mancata
produzione delle fatture in quanto rilasciabili in base
alla disposizione normativa richiamata solo al saldo.
13. Il motivo oltre ad essere stato formulato in modo
del tutto oscuro, relativa alla sua prima parte, non
indica chiaramente quale violazione di legge né quale
incongruenza logica della motivazione intenda
censurare. Si ribadisce comunque che l’Amministrazione,
sentita l’Avvocatura, ha assunto la posizione che ha
ritenuto corrispondente a diritto e l’ha prospettata
nel corso del giudizio. Non si vede quindi come possa

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effettuato dalla Corte di appello peraltro a fronte di

censurarsi la decisione dei giudici di appello facendo
genericamente riferimento a una prospettata richiesta
di valutazione del comportamento complessivo
dell’amministrazione. Quanto alla mancata prova del
pagamento delle fatture la Corte di appello ha rilevato
che sul punto l’appellante non ha censurato la

D.P.R. n. 633/1972 deve ritenersi del tutto fuor di
luogo a fronte di una disposizione quale l’art. 18 del
D.L. n. 67/1997 che richiede la prova del pagamento
delle somme di cui si chiede il rimborso. Prova che il
giudice di primo ha riscontrato non essere stata
fornita e che l’appellante non ha dedotto di aver dato.
14.

Con il quinto motivo di ricorso si deduce

genericamente la violazione di norme sostanziali e si
trae la conclusione che, prevedendo l’art. 18 la
possibilità per l’amministrazione di

concedere

anticipazione del rimborso, egli non fosse tenuto a
dimostrare in giudizio con l’esibizione di fattura
quietanzata

l’avvenuto

pagamento

delle

spese

processuali rispetto alle quali ha chiesto
l’accertamento del diritto al rimborso.
15. La tesi del ricorrente è palesemente infondata. Non
può infatti dedursi da una possibilità di anticipazione
riservata alla valutazione discrezionale della
amministrazione la deroga generale al regime probatorio
delle spese per le quali si agisce al fine di ottenerne
il rimborso che è insito nella natura stessa di
rimborso della previsione normativa. Alla dimostrazione

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decisione di primo grado. Il richiamo dell’art. 21 del

del pagamento è del resto subordinata la valutazione
dell’Avvocatura generaleVche infatti non è stata resa
nel caso in esame.
16. Con il sesto motivo si deduce vizio logico della
decisione e motivazione dato che la Corte di appello
nonostante

avesse

constatato

l’assoluzione del

sussiste quanto ad alcuni dei fatti contestati e per
non aver commesso il fatto quanto ad altri non ha
accolto la domanda.
17. Con il settimo motivo di ricorso si deduce un
ulteriore vizio logico che colpisce la parte della
motivazione con cui la Corte di appello afferma che
obiettivamente l’imputazione e l’accertamento dei fatti
contenuto nelle sentenze di merito, esclude l’esistenza
di qualsiasi collegamento tra l’espletamento del
servizio da parte dell’Oggiano e il fatto oggetto
dell’imputazione senza tenere invece conto dei titoli
dei reati per cui il ricorrente fu processato (in
particolare falso materiale e abuso di ufficio) e che
attribuiscono la qualificazione di reati propri del
pubblico amministratore.
18.

I due motivi, che possono essere esaminati

unitariamente per la loro stretta connessione,

si

fondano su una erronea interpretazione dell’art. 18 del
D.L. n. 67/1997. Va premesso che le imputazioni, come
trascritte dalla Corte di appello nella motivazione,
riguardavano il fatto dell’appropriazione delle energie
lavorative di alcuni collaboratori, nel periodo in cui

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ricorrente dal reato di falso perché il fatto non

l’Oggiano

svolgeva

amministrativo

l’incarico

dell’Istituto

di

coordinatore

Professionale

per

l’Industria e l’Artigianato di Alghero, che vennero
destinate dall’Oggero all’effettuazione durante
l’orario di servizio di un suo trasloco privato. Venne
altresì contestato all’Oggero di aver corretto,

registri di presenza del personale non docente
alterando gli orari di entrata e uscita. Secondo la
Corte di appello le imputazioni escludevano qualsiasi
collegamento fra i fatti contestati e l’espletamento
del servizio da parte dell’Oggiano e individuavano un
abuso della qualità di coordinatore amministrativo al
fine di effettuare e utilizzare un’attività del tutto
estranea al rapporto di servizio. Non essendo
l’attività imputabile all’amministrazione essa non
poteva dare luogo al rimborso delle spese legali in
quanto esclusivamente attinente alla sfera privata del
soggetto e estranea al rapporto di servizio.
19. L’interpretazione concorde dei giudici di merito è
corretta in quanto è stato ritenuto che
l’amministrazione è legittimata a contribuire alla
difesa del suo dipendente imputato in un procedimento
penale sempreché sussista un interesse specifico
dell’amministrazione al riguardo e tale interesse deve
individuarsi qualora sussista imputabilità
dell’attività

che

costituisce

l’oggetto

dell’imputazione all’amministrazione e una diretta
connessione dell’attività stessa con i fini della

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nell’esecuzione di un medesimo disegno criminoso,

pubblica amministrazione. Elementi palesemente mancanti
nella fattispecie in esame in cui veniva contestata
all’Oggiano la violazione di doveri del suo ufficio al
fine di perseguire un utile privato e indebito mediante
lo sviamento a fini propri di risorse da destinare allo
svolgimento delle attività istituzionali. Un’ipotesi in

dell’amministrazione a veder sanzionate le eventuali
attività abusive compiute dal soggetto svolgente un
servizio alle sue dipendenze.
20.

Con l’ottavo motivo di ricorso si deduce

un’ulteriore inidoneità del canone logico di giudizio
rilevando che la Corte di appello ha ritenuto che il
fatto materiale contestato in sede penale sia stato
incontestabilmente accertato mentre lì accertamento
• compiuto in sede penale e più pienamente in sede
disciplinare ha portato ad affermare che il
comportamento addebitato all’Oggiano non aveva
comportato alcuno sviamento di personale ma solo
l’espletamento del diritto ad avvalersi di un orario
flessibile consolidato nella prassi dell’ufficio.
21. Le deduzioni del ricorrente sono irrilevanti ai
fini della decisione perché il fatto della assoluzione
dell’Oggiano è incontroverso ma non ha alcuna incidenza
rispetto

al

giudizio

di

non

attribuibilità

all’amministrazione dell’attività in contestazione e di
irriconducibilità ai suoi fini istituzionali.
22. Infine con il nono motivo di ricorso si contesta
nuovamente l’inidoneità del canone logico di giudizio.

cui sussiste, al contrario, l’interesse

Il ricorrente ritiene che in relazione alla complessità
della

fattispecie

e

alla

criticabilità

del

comportamento dell’amministrazione dovesse pervenirsi
perlomeno a una compensazione delle spese processuali.
23. Il motivo è inammissibile. La Corte di appello ha
applicato il principio legale della soccombenza e una

compensazione delle spese processuali di merito è del
tutto preclusa in questa sede.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione liquidate in complessivi euro 4.000 oltre
spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
4 luglio 2013.

valutazione sulla possibilità e opportunità di una

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