Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24480 del 04/11/2020

Cassazione civile sez. III, 04/11/2020, (ud. 10/07/2020, dep. 04/11/2020), n.24480

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36345/2018 proposto da:

M.C., M.P., M.A., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA MARIO FASCETTI, 5, presso lo studio

dell’avvocato GIANLUCA CAPOROSSI, rappresentati e difesi

dall’avvocato MAURIZIO DELLA COSTANZA;

– ricorrenti –

contro

COMUNE PESARO, rappresentato e difeso dagli avv.ti MARIANGELA

BRESSANELLI, e ANDREA GALVANI, ed elettivamente domiciliato in ROMA,

Piazza Cavour presso la CORTE DI CASSAZIONE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1636/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 03/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/07/2020 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario;

udito l’Avvocato.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 10 dicembre 2007 M.A., M.P. e M.C. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Pesaro il Comune di Pesaro chiedendo il risarcimento del danno nella complessiva misura di Euro 481.542,50. Esposero gli attori, comproprietari di immobile sito nel Comune convenuto, che le unità immobiliari componenti l’immobile avevano subito diversi allagamenti di acqua meteorica fuoriuscita dalle fogne comunali e che a seguito di CTU disposta in sede di procedimento per denuncia di danno temuto, conclusosi con ordine di esecuzione lavori impartito al Comune rimasto inadempiuto, era stato accertato che la causa degli allagamenti era l’insufficienza del collettore fognario per lo smaltimento delle acque piovane. Previa CTU, il Tribunale adito, esclusa la responsabilità del Comune per l’evento del giorno (OMISSIS), ascritto a caso fortuito, ed escluso il riconoscimento delle ulteriori voci di danno, accolse parzialmente la domanda, condannando il convenuto al pagamento della somma di Euro 1.548,80 per la sostituzione di bruciatore dell’impianto di riscaldamento ed Euro 26.740,00 per mancata percezione del canone di locazione per quattordici mesi, oltre rivalutazione ed interessi. Avverso detta sentenza proposero appello i M.. Con sentenza di data 3 novembre 2017 la Corte d’appello di Ancona rideterminò in Euro 28.869,15 la somma dovuta per la mancata percezione del canone di locazione, ricomprendendovi i canoni successivi all’evento atmosferico dell'(OMISSIS), e rigettò per il resto l’appello, con compensazione delle spese per il doppio grado (sulla base del “notevole ridimensionamento della domanda”).

Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, con riferimento al motivo di appello relativo al mancato riconoscimento della perdita della locazione per il periodo successivo al 1 ottobre 2007 a causa dell’inerzia dei proprietari (i quali dopo l’ultimo allagamento avrebbero potuto eseguire il ripristino dei locali), che, benchè non potesse esigersi l’esecuzione di opere che avrebbero potuto rivelarsi in attesa del completamento della nuova fognatura del tutto inutili a fronte di nuovi eventi atmosferici (così era stato invece ritenuto dal Tribunale), per il periodo in discorso non poteva essere riconosciuto alcun importo non essendo giustificabile la condotta degli attori che avevano continuato ad accettare la mancata corresponsione del canone da parte della società conduttrice nonostante questa non fosse receduta dal contratto ed avesse dunque, verosimilmente, continuato ad utilizzare l’immobile, sicchè, pur a ritenere che non vi fosse stato pagamento del canone, non poteva risolversi in danno per il Comune l’incuria degli appellanti nella gestione del rapporto contrattuale, avendo gli stessi consentito l’utilizzazione dell’immobile da parte della conduttrice senza ricevere alcun corrispettivo. Aggiunse, quanto al periodo successivo alla ultimazione dei lavori di rifacimento della fognatura, che pretestuosa era l’istanza risarcitoria, trattandosi di esborso (per gli interventi sull’immobile) non rilevante ed in relazione al quale si sarebbe potuto chiedere il relativo rimborso al Comune, neppure sussistendo un’effettiva necessità di non immutare lo stato dei luoghi, nè apparendo idonea a giustificare la mancanza di esecuzione degli interventi risultanti dal preventivo una pretesa esecuzione non a regola d’arte dei lavori di realizzazione della nuova fognatura.

Osservò ancora, quanto ai danni da esborso di somme indicate nei preventivi della ditta G.C. & R.L. s.n.c. – a prescindere dalla circostanza che l’effettiva esecuzione delle opere sarebbe stata in contrasto con la dedotta perdita dei canoni -, che gli appellanti avevano dedotto di avere effettuato esborsi per lavori non risultati eseguiti, sicchè la domanda non poteva trovare accoglimento per costi futuri la cui entità non poteva essere apoditticamente desunta dai preventivi prodotti. Aggiunse infine, quanto alla domanda di risarcimento del danno da svalutazione dell’immobile nella misura di Euro 300.000 dal Tribunale ritenuta tardiva in quanto proposta per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni, che, in condivisione della conclusione del giudice di primo grado, nell’atto introduttivo del giudizio gli attori avevano analiticamente indicato le componenti di danno di cui avevano chiesto il ristoro, con la condanna del Comune al pagamento della somma di Euro 94.053,56, con evidente riferimento alle dette componenti non comprensive del pregiudizio derivante dalla svalutazione dell’immobile, senza che rilevasse l’ulteriore riferimento alla “maggiore o minore somma che sarà provata e/o ritenuta di giustizia”, dovendosi tale inciso riferire alla quantificazione degli indicati danni e non alla loro ontologica individuazione.

Hanno proposto ricorso per cassazione M.A., M.P. e M.C. sulla base di dieci motivi e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. E’ stata presentata memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 111 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osservano i ricorrenti che la motivazione è di carattere apparente perchè costituisce affermazione apodittica, priva di illustrazione delle prove ed argomentazioni per giungere alla conclusione, l’avere ritenuto esigibile l’obbligo di richiedere il canone dal conduttore sulla base del verosimile utilizzo dei locali dipendente dal mancato recesso del medesimo conduttore.

Il motivo è inammissibile. Dietro le spoglie di una denuncia di motivazione apparente, invero non percepibile stante la chiara enunciazione della ratio decidendi (l’inerzia del locatore nell’esigere il canone dal conduttore), la censura tradisce la non condivisione del giudizio di fatto contenuto nella decisione impugnata e concerne pertanto un piano sottratto al sindacato di legittimità.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osservano i ricorrenti che non poteva esigersi dai conduttori il pagamento del canone solo perchè non receduti dal contratto perchè l’accertata non fruibilità dell’immobile non consentiva al locatore di chiedere il canone.

Il motivo è inammissibile. Il contenuto della censura, benchè formulato in termini di violazione dell’art. 1227 c.c., comma 2, attiene al giudizio di fatto in ordine all’esigibilità del canone di locazione, per il giudice di merito dovuto in base alla vigenza del contratto e sulla base di una valutazione di utilizzabilità (verosimile) dell’immobile proprio per il mancato recesso del conduttore. La censura resta pertanto nell’alveo del giudizio di fatto, non sindacabile nella presente sede di legittimità.

Con il terzo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osservano i ricorrenti che l’immobile era inutilizzabile sulla base dei seguenti mezzi di prova: la documentazione fotografica sullo stato dei luoghi in occasione dell’allagamento; il riferimento all’allagamento sia nella CTU del procedimento ai sensi dell’art. 1172 c.c., sia nella CTU di cui al presente giudizio (nella quale si evidenzia l’incidenza sul godimento del bene e sulla sua sicurezza); la testimonianza di G.C., che ebbe a dichiarare, fra l’altro, che era stata ravvisata l’opportunità che gli interventi di ripristino fossero eseguiti a distanza di alcuni mesi per consentire alle pareti di asciugarsi (rilievo risultante anche dal preventivo di spesa per il ripristino dello stato delle superfici danneggiate dall’allagamento); le ulteriori testimonianze aventi ad oggetto l’allagamento. Aggiungono che, sulla base di tali elementi probatori, evidente era lo stato di inutilizzabilità dell’immobile, con la conseguenza che non poteva pretendersi il pagamento del canone da parte del conduttore.

Il motivo è inammissibile. Va premesso che, benchè il giudizio di appello sia stato introdotto allorquando era già entrato in vigore l’art. 348 ter c.p.c., non può farsi applicazione di tale disposizione perchè la decisione sul motivo di ricorso è fondata su ragioni, inerenti alle questioni di fatto, diverse da quelle alla base della decisione di primo grado.

La denuncia di vizio motivazionale si basa su una serie di mezzi istruttori che, diversamente dalla conclusione del giudice di merito, farebbero propendere, secondo l’assunto dei ricorrenti, per la non utilizzabilità dell’immobile (da cui, si afferma, la non esigibilità del canone di locazione). L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053). La circostanza dell’utilizzabilità dell’immobile è stata valutata dal giudice di merito, il quale ne ha desunto l’esistenza sulla base del fatto che il contratto di locazione era rimasto in vigore e non vi era stato recesso da parte del conduttore. E’ appena il caso di aggiungere che il rilievo di vigenza del contratto non risulta impugnato dai ricorrenti (nè dagli stessi risulta allegata un’eccezione di inadempimento opposta dal conduttore ad una loro richiesta di pagamento del canone, o quanto meno l’intervento di un diverso accordo fra le parti circa le reciproche obbligazioni), profilo che renderebbe, al di là di quanto osservato, priva di decisività la censura.

Con il quarto motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osservano i ricorrenti, con riferimento al non riconoscimento del risarcimento per il periodo successivo di ultimazione dei lavori di rifacimento della fognatura, che la circostanza del non completamento dei lavori di rifacimento della fognatura risultava in modo chiaro dalla CTU.

Il motivo è inammissibile. Con riferimento a tale motivo viene in rilievo la ragione di inammissibilità della doppia conforme di cui all’art. 348 ter c.p.c.. Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 26774 del 2016, n. 20994 del 2019). L’onere processuale non risulta assolto dai ricorrenti.

Ad ogni buon conto va evidenziato che il non riconoscimento del risarcimento per il periodo successivo di ultimazione dei lavori di rifacimento della fognatura si fonda su due rationes decidendi: la natura non rilevante dell’esborso, ed in relazione al quale si sarebbe potuto chiedere il relativo rimborso al Comune; l’inidoneità a giustificare la mancanza di esecuzione degli interventi risultanti dal preventivo una pretesa esecuzione non a regola d’arte dei lavori di realizzazione della nuova fognatura. I ricorrenti hanno impugnato solo la seconda ratio decidendi, da cui la non decisività della censura.

Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2051,2043,2056 e 1223 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osservano i ricorrenti, quanto al mancato riconoscimento dei danni da esborso di somme indicate nei preventivi per lavori non risultati eseguiti, che l’affermazione del giudice di appello contrasta con il principio di diritto secondo cui il danno non consta solo degli esborsi monetari già materialmente intervenuti e concreta invece una posta passiva del patrimonio che legittima il danneggiato ad allocarla sul danneggiante.

Il motivo è inammissibile. La censura non coglie la ratio decidendi. Il giudice di appello ha escluso la risarcibilità dei costi futuri non in quanto tali, ma perchè la loro entità non può essere “apoditticamente desunta dai preventivi prodotti”. Il risarcimento non è stato quindi riconosciuto non per una ragione di diritto ma per l’inidoneità dei preventivi a provare il danno denunciato. La censura non è formulata con riferimento a tale ratio decidendi, ma per una ragione di diritto di cui non vi è traccia nella motivazione. Non intercettando il fondamento della decisione, il motivo è privo di decisività.

Con il sesto motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osservano i ricorrenti che il giudice di appello, nel ritenere l’impossibilità di desumere l’entità del danno dai preventivi prodotti, ha omesso di considerare sia che tali preventivi erano stati confermati in contraddittorio con il Comune di Pesaro dal compilatore degli stessi sia le numerose fotografie e le risultanze della CTU. Aggiungono che tali riscontri dimostravano quanto meno in via presuntiva l’adeguatezza dei lavori preventivati.

Il motivo è inammissibile, sotto un duplice profilo: in primo luogo, in relazione alla “doppia conforme”, non risulta assolto l’onere processuale indicato a proposito dell’esame del quarto motivo; in secondo luogo trattasi di censura che resta sul piano del giudizio di fatto, insindacabile nella presente sede di legittimità.

Con il settimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osservano i ricorrenti che il giudice di appello ha violato l’art. 115, per avere omesso di considerare che i preventivi della ditta G.C. & R.L. trovavano riscontro nella testimonianza del compilatore ( G.C.), nonchè nella documentazione fotografica e nella CTU, la quale accertava anche le conseguenze degli allagamenti.

Il motivo è inammissibile. Va rammentato che una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 27000 del 2016).

Va altresì rammentato che in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (fra le tante Cass. n. 13485 del 2014).

Con l’ottavo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,2051,2043,2056 e 1223 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Espongono i ricorrenti, trascrivendo il relativo documento, che nell’atto di citazione erano stati dedotti, quali voci di danno, i canoni di locazione non ricevuti, le materie prime ed i prodotti distrutti dall’allagamento, i lavori per pulizia dei locali, il danneggiamento di un’autovettura e del bruciatore di impianto di riscaldamento e che, allo scopo di “ottenere l’integrale risarcimento dei danni per le causali sopra indicate”, era stato chiesto nel petitum l’accertamento dei danni ammontanti ad Euro 94.053,56, “o quella maggiore o minore” somma risultante dall’istruzione probatoria, con la relativa condanna di pagamento, con richiesta in sede istruttoria di CTU per l’accertamento, fra l’altro, “del pregiudizio che il complesso immobiliare degli attori ha subito a causa dello stato di pericolo in oggetto”. Aggiungono che nella memoria ai sensi dell’art. 183, comma 2, era stata chiesta CTU in ordine alla svalutazione commerciale dell’immobile in relazione al pericolo di allagamento, che il CTU aveva quantificato la svalutazione nell’importo di Euro 300.000,00 e che in sede di precisazione delle conclusioni era stato chiesto il risarcimento nella misura di Euro 300.000,00 per svalutazione commerciale dell’immobile. Osservano quindi che il giudice di appello, in violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., non ha interpretato l’atto nel suo complesso e sulla base della comune intenzione delle parti, senza limitarsi al senso letterale delle parole, e che nella domanda originaria doveva intendersi inclusa l’istanza avente ad oggetto la svalutazione commerciale dell’immobile.

Il motivo è inammissibile. Secondo il prevalente e più recente orientamento di questa Corte ai fini della interpretazione della domanda giudiziale non sono utilizzabili i criteri di interpretazione del contratto dettati dall’art. 1362 c.c. e segg., in quanto non esiste una comune intenzione delle parti da individuare, e può darsi rilevo alla soggettiva intenzione della parte attrice solo nei limiti in cui essa sia stata esplicitata in modo tale da consentire al convenuto di cogliere l’effettivo contenuto della domanda formulata nei suoi confronti, per poter svolgere una effettiva difesa; l’interpretazione della domanda si risolve in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in cassazione solo sotto il profilo del vizio di motivazione e non per violazione di legge (Cass. n. 25853 del 2014, n. 24847 del 2011, n. 4754 del 2004 – recessivo è invece l’orientamento, per il quale si veda Cass. n. 20325 del 2006, che riteneva applicabili alla domanda giudiziale le norme di ermeneutica contrattuale).

Va aggiunto che la censura non ha ad oggetto la cattiva, o non conforme a diritto, interpretazione della domanda, ma l’illegittimità del rilievo di tardività della domanda ed in definitiva la denuncia di omessa pronuncia sulla domanda. Per tale vizio ciò che deve essere denunciato è l’error in procedendo.

Con il nono motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osservano i ricorrenti che il giudice di appello ha omesso di esaminare le circostanze, come evidenziate nel motivo precedente, da cui desumere che la domanda risarcitoria era estesa alla svalutazione commerciale dell’immobile.

Il motivo è inammissibile per l’esistenza della doppia conforme di cui all’art. 348 ter c.p.c.. Ulteriore ragione di inammissibilità è quella evidenziata a proposito del precedente motivo e cioè che la censura non ha ad oggetto la cattiva, o non conforme a diritto, interpretazione della domanda, ma l’illegittimità del rilievo di tardività della domanda ed in definitiva la denuncia di omessa pronuncia sulla domanda, per la quale il motivo di ricorso da proporre è di error in procedendo.

Con il decimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 183,190 e 345 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osservano i ricorrenti che il giudice di appello, trascurando che nella domanda originaria vi erano i riferimenti anche alla domanda risarcitoria per svalutazione commerciale dell’immobile, ha errato nel condividere la statuizione di primo grado e ha perciò omesso di pronunciare sulla domanda in questione.

Il motivo è infondato. In tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, l’unitarietà del diritto al risarcimento ed il suo riflesso processuale dell’ordinaria infrazionabilità del giudizio di liquidazione comportano che, quando un soggetto agisca in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento del convenuto, la domanda si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta: ne consegue che, laddove nell’atto introduttivo siano indicate specifiche voci di danno, a tale specificazione deve darsi valore meramente esemplificativo dei vari profili di pregiudizio dei quali si intenda ottenere il ristoro, a meno che non si possa ragionevolmente ricavarne la volontà attorea di escludere dal “petitum” le voci non menzionate (Cass. 7 giugno 2019, n. 15523; 23 ottobre 2014, n. 22514; 31 agosto 2011, n. 17879).

In base all’accertamento del fatto processuale, cui questa Corte ha il potere/dovere di accedere, risulta che la domanda originaria è stata formulata non in termini onnicomprensivi, ma per specifiche voci di danno, come si evince dall’elencazione in sede di causa petendi e dal totale dell’importo monetario corrispondente in sede di petitum. Il richiamo alla “maggiore o minore somma che sarà provata e/o ritenuta di giustizia”, deve intendersi, come correttamente affermato dalla corte territoriale, come riferito alla quantificazione delle voci di danno indicate e non alla loro ontologica individuazione, una volta che sia stata effettuata una specifica elencazione e sia stata mantenuta anche in sede di petitum. Peraltro il suddetto richiamo è solo nell’istanza di accertamento, perchè in quella di condanna si chiede univocamente la condanna al pagamento della somma di Euro 94.053,36, oltre i canoni maturandi, svalutazione ed interessi. Anche il riferimento all’integrale risarcimento dei danni” è limitato espressamente alle “causali sopra indicate”.

A fronte di un carattere così univoco del petitum, non vale a spostare il quadro la richiesta istruttoria in citazione di una CTU per l’accertamento, fra l’altro, “del pregiudizio che il complesso immobiliare degli attori ha subito a causa dello stato di pericolo in oggetto”. L’istanza istruttoria va parametrata al contenuto dei fatti costitutivi e dell’istanza di condanna e pertanto il pregiudizio lamentato resta limitato a ciò che è oggetto di domanda. Peraltro non viene in rilievo la questione della possibilità di interpretare il contenuto della domanda anche mediante le istanze istruttorie perchè tale aspetto concerne l’interpretazione della domanda, la quale è riservata al giudice di merito (Cass. 9 luglio 2018, n. 17991), mentre qui si sta valutando se la domanda della parte sia stata tempestiva e se dunque la sentenza sia incorsa nel vizio di omessa pronuncia. In pratica, non si tratta di accertare quale sia il contenuto di una domanda che sia stata proposta (per la quale attività possono rilevare anche le istanze istruttorie), ma se la domanda sia stata o meno (tempestivamente) proposta.

Irrilevante è infine il richiamo alla memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 2, una volta che la domanda non sia stata originariamente introdotta (ed ancor più irrilevante è il fatto che alla questione della svalutazione commerciale dell’immobile possa avervi fatto riferimento la CTU).

La rigorosa e specifica elencazione di voci di danno, conduce a ritenere in conclusione che fosse esclusa la domanda risarcitoria per svalutazione commerciale, sicchè correttamente il giudice di merito ne ha rilevato la tardività.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

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