Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24479 del 30/10/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 24479 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: SALVAGO SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso 18734-2006 proposto da:
ARCIDIOCESI DI NAPOLI – PIE CONFIDENZE DEGLI
INTERESSI RELIGIOSI OPERE DI RELIGIONE, in persona
del legale rappresentante pro tempore,

Data pubblicazione: 30/10/2013

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EUGENIO
CHIESA 55, presso l’avvocato SCETTI ROBERTO,
2013
1125

rappresentata e difesa dagli avvocati TORRESE
LUIGI, TORRESE GENNARO, giusta procura a margine
del ricorso;
(54:20A tk.0 SOGM – ricorrente –

1

contro

COMUNE DI SAN GIORGIO A CREMANO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 1364/2005 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 06/05/2005;

pubblica udienza del 26/06/2013 dal Consigliere
Dott. SALVATORE SALVAGO;
udito,

per la ricorrente,

l’Avvocato MICHELA

DAMADEI che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella

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Svolgimento del processo
La Corte di appello di Napoli con sentenza del 6 maggio
2005 ha confermato quella del Tribunale in data 29
ottobre 2001 che aveva condannato l’Opera Pia-Arcidiocesi

di Napoli al pagamento della complessiva somma di
£.333.327.714 in favore del comune di Cassino che dopo
averla diffidata a riparare i gravi dissesti statici
all’edificio di proprietà di quest’ultima ubicato nella
via Gramsci 86 di S.Giorgio a Cremano, aveva eseguito le
opere in danno ed a spese dell’Opera Pia rimasta
inerte,affidandole all’impresa Siano. Ha rilevato (per
quanto qui interessa): a)che l’appalto non poteva
considerarsi nullo, non essendovi la prova che dette
opere fossero state eseguite senza concessione edilizia:
comunque implicitamente contenuta nell’ordinanza
sindacale che le aveva disposte; b)che il c.t.u. aveva
accertato quali opere rientravano fra quelle di
consolidamento statico dell’edificio cui erano perciò
strettamente necessarie,e quali invece accessorie e non
rimborsabili dall’Opera pia.
Per la cassazione della sentenza quest’ultima ha proposto
ricorso per due motivi. Il comune non ha spiegato difese.
Motivi della decisione
Con il primo motivo,l’Arcidiocesi,deducendo violazione
degli art.1418 cod. civ.,nonché 1 segg.578/1971,censura
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la sentenza impugnata per avere erroneamente accolto la
domanda del comune di pagamento delle opere eseguite in
danno di essa ricorrente,senza considerare: a)che la
menzionata legge 578/1971 devolve ad un Consorzio la
competenza a realizzarle in caso di inerzia del

proprietario e prevede una particolare procedura al
riguardo, non osservata dal comune,non considerato dalla
norma;e che aveva dunque agito in carenza di potere;
b)che persisteva la nullità dell’appalto privo di
concessione,non sostituita dalla ordinanza contingibile
ed urgente del comune che, secondo la giurisprudenza
amministrativa deve invece contemperare gli interessi
dell’ente con quelli individuali;ed il cui
intervento,infine aveva portato soltanto al compimento di
opere abusive.
Il motivo è inammissibile. Anzitutto in relazione al
profilo relativo alla incompetenza del comune a disporre
le opere di restauro urgente dell’edificio di proprietà
della ricorrente,divenuto pericolante in quanto la legge
578 le attribuirebbe ad uno speciale Consorzio:per la
novità della questione non dedotta nei precedenti gradi
del giudizio;e conseguentemente non esaminata dalla
sentenza impugnata che pur ha riportato tutti i motivi di
appello dell’Arcidiocesi. Così come è nuova ogni altra
questione attinente alla legittimità della procedura
seguita ovvero omessa dal comune in merito all’esecuzione
4

dei

lavori

in

questione,nonché

dell’ordinanza

contingibile ed urgente che li aveva disposti senza
osservare i presupposti ed i limiti individuati dalla
giurisprudenza amministrativa.
Ma è inammissibile anche il profilo rivolto a ribadire la

nullità del contratto di appalto di detti lavori per
l’asserita mancanza di concessione edilizia,in quanto
l’analoga censura formulata dalla ricorrente è stata
respinta dalla sentenza impugnata per diversi ordini di
ragioni: a)dapprima perché l’Arcidiocesi che eccepiva la
relativa nullità non aveva fornito la prova del suo
presupposto costituito dalla mancanza di autorizzazione o
concessione edilizia; b)quindi perché il provvedimento
autorizzativo era comunque contenuto nel provvedimento
che aveva disposto i lavori in danno; c) e non era infine
necessario trattandosi di lavori in danno disposti a
seguito di ordinanza contingibile ed urgente.
La prima ratio,da sola sufficiente a sostenere la
decisione non è stata impugnata,così come non lo è stato
il principio che per tale genere di lavori in danno,
disposti direttamente dal comune non necessita alcun
provvedimento autorizzativo;mentre la considerazione che
ha individuato in ogni caso una concessione implicita
proprio nel provvedimento che ne disponeva l’esecuzione è
stata mal compresa dalla ricorrente che ha invece
addebitato (anche nel quesito) alla sentenza impugnata di
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avere erroneamente ravvisato l’atto implicito suddetto
nell’ordinanza emessa dal

sindaco ai sensi del’art.153

T.U. r.d. 148 del 1915 con cui si ingiungeva alla
Arcidiocesi di far eseguire tutte le opere atte ad
assicurare l’igiene e la staticità del fabbricato.

Con il secondo motivo,l’Arcidiocesi,deducendo illogicità
e contraddittorietà di motivazione si duole: a) che la
Corte territoriale

fra i lavori atti ad assicurare la

staticità del fabbricato abbia incluso anche quelli di
rifinitura,che

come

manifesta

la

loro

stessa

denominazione,esulano dalla categoria; e malgrado il c.t.
avesse avvertito che non tutti rientravano nella
categoria;che alcuni erano stati eseguiti dall’impresa di
propria iniziativa;e che altri erano stati realizzati
disordinatamente e senza il rispetto dei criteri statici;
b)che per convincere del contrario la decisione abbia
invocato il verbale di conciliazione 22 ottobre 1979,cui
invece in altra parte della motivazione aveva attribuito
il solo valore di una mera proposta di essa ricorrente;
c)che non sia stata considerata neppure la funzione dei
lavori di rifinitura del tutto estranea a quelli disposti
con l’ordinanza contingibile ed urgente.
Queste censure sono in parte inammissibili ed in parte
infondate.
La sentenza impugnata, dopo avere riferito che era stata
proprio l’Arcidiocesi a diffidare il comune con atto
6

notificato il 6 dicembre 1978 all’immediata esecuzione
dei lavori necessari ad impedire incombenti pericoli di
crollo delle strutture portanti dell’edificio in pessime
condizioni (pag.3-4), in base agli accertamenti compiuti
dal c.t.u., ha correttamente compiuto una distinzione tra

le opere di rifinitura (confuse dalla ricorrente con
quelle voluttuarie) strettamente necessarie per il
consolidamento delle strutture dell’edificio (che ha
elencate) ed altre opere aventi carattere accessorio e
non collegato con queste ultime;ha poi confermato che
proprio a questo criterio si era specificamente attenuto
il consulente negli accertamenti compiuti,nonché nelle
risposte ai quesiti ricevuti,analiticamente individuando
le categorie dei lavori non necessari ed il loro
costo,senza contestazioni delle parti, nell’importo di
£.78.697.405;che era stato escluso dal computo delle
somme dovute al comune. Ed ha infine trovato ulteriore
riscontro alla correttezza di detti accertamenti,peraltro
non contestati dall’Arcidiocesi se non sotto
l’improponibile equazione che tutte le rifiniture
dovessero per ciò stesso costituire opere non necessarie,
se non voluttuarie, proprio nel verbale c.d. di
conciliazione redatto in data 3 ottobre 1978 davanti al
Pretore di Barra in cui la ricorrente aveva ammesso che
si trattava di opere necessarie alla statica ed a rendere
abitabili i locali di palazzo Ummarini: con ciò esaurendo
7

l’obbligo della motivazione. La quale d’altra parte può
ritenersi viziata soltanto quando nel ragionamento del
giudice di merito sia riscontrabile il mancato o
insufficiente esame di punti decisivi della controversia,
prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un
contrasto tra le argomentazioni adottate insanabile e
tale da non consentire l’identificazione del procedimento
logico-giuridico posto a base della decisione. Laddove
resta escluso che con i vizi in esame la parte possa far
valere il contrasto della ricostruzione auspicata con
quella operata dal giudice del merito e l’attribuzione
agli elementi valutati di un valore ed un significato
difformi rispetto alle aspettative ed alle deduzioni
della parte (Cass. 6264 e 3881/ 2006).
Nessuna pronuncia va emessa in ordine alle spese
processuali perché il comune non ha spiegato difese.
P.Q.M.
La Corte,rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma il 26 giugno 2013.

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