Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24471 del 17/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 17/10/2017, (ud. 28/02/2017, dep.17/10/2017),  n. 24471

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6675/2014 proposto da:

C.O., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SUSA 1, presso

lo studio dell’avvocato IDA DI DOMENICA, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIUSEPPE CAFARELLI;

– ricorrente –

contro

S.G., S.M.C., SA.GI.

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. PISANELLI 2, presso lo

studio dell’avvocato STEFANO DI MEO, rappresentati e difesi dagli

avvocati GIAMPIERO SARTORELLI, GIUSTINO SARTORELLI;

– controricorrenti –

e contro

S.G., S.M.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 834/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 06/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/02/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;

udito l’Avvocato DI DOMENICA Ida, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato CAFARELLI Giuseppe, difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.O., qualificandosi proprietaria e possessore di una porzione di fabbricato in (OMISSIS), ha lamentato l’illegittima occupazione da parte del condomino S.C. di porzione di un pianerottolo comune mediante un muro realizzato nell’agosto del 2003, approfittando dell’assenza della signora C., in occasione dei lavori per la realizzazione di un unico ingresso degli appartamenti del signor S.. Ritenendo che tale spazio fosse in realtà destinato a ballatoio a servizio degli appartamenti dei diversi proprietari la signora C. ha proposto domanda di reintegra nel possesso.

2. Con sentenza del 12 febbraio 2007 il tribunale di Pescara sezione distaccata di San Valentino in Abruzzo Citeriore ha rigettato la domanda.

3. C.O. ha proposto appello, dolendosi del fatto che il giudice avesse confuso il vano oggetto di causa con una stanza di proprietà esclusiva dell’appellato, anzichè identificarlo correttamente con il pianerottolo-ballatoio, traendo la propria convinzione sia dalle foto prodotte dalle parti che dalle deposizioni dei testi, i quali avevano confermato l’utilizzo esclusivo del bene in capo alla famiglia S..

4. Sulla resistenza degli appellati Sa.Gi., G. e M.C. eredi di S.C., la corte d’appello dell’Aquila, con sentenza depositata il 6 settembre 2013, ha rigettato l’appello sulla base, per quanto qui ancora rileva, delle seguenti considerazioni:

1) i numerosi atti pubblici prodotti avevano fornito la prova che la proprietà dell’intero primo piano del fabbricato, del quale faceva parte anche il vano in contestazione, apparteneva in via esclusiva alla famiglia S.;

2) C.O. aveva, con atto del 12 novembre 2002, acquistato varie porzioni dell’edificio ai piani seminterrato, terraneo e secondo, ma non al primo piano;

3) l’appellante non aveva provato la natura condominiale ex art. 1117 c.c., del vano in questione quale bene al servizio di tutte le unità e di aver esercitato sullo stesso il potere di fatto, a nulla rilevando la produzione del titolo traslativo della proprietà, peraltro avente ad oggetto un appartamento al secondo piano del fabbricato, laddove il vano si trovava al primo livello;

4) i testimoni escussi avevano confermato che l’intero primo piano, ivi compreso il vano in oggetto, era sempre stato utilizzato dalla famiglia dell’appellato, a tal punto che la sua dante causa aveva locato a terzi il piano;

5) l’unico teste che aveva reso dichiarazioni difformi sarebbe stato incapace a testimoniare, in quanto, quale dante causa della C., avrebbe dovuto garantirla per l’evizione, e, comunque, sarebbe inattendibile, risiedendo in località lontana sin dal 1977;

6) con motivazione condivisa il primo giudice aveva valutato il locale in oggetto alla stregua di una vera e propria “stanza”;

7) S.C. aveva avuto la necessità, per motivi di riservatezza, di chiudere il vano solo nel momento in cui C.O. aveva acquistato il secondo appartamento;

8) alla luce di quanto dichiarato dai testi, il restringimento del vano non aveva limitato in alcun modo l’uso della scala comune;

9) in ogni caso, anche a voler ipotizzare una riduzione nel passaggio, la circostanza sarebbe risultata irrilevante, avendo C.O. proposto un’azione di reintegra, e non di manutenzione, in relazione alla quale ultima, peraltro, difettava il requisito della ultrannualità del preteso possesso;

10) non era neppure configurabile l’animus spoliandi, avendo il convivente di C.O. fornito consigli utili sulla ubicazione del muro ed essendosi, addirittura, la ricorrente offerta di farlo costruire dal muratore da lei indicato.

4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso C.O., sulla base di tre motivi illustrati da memoria. Sa.Gi., G. e M.C. hanno resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1117 e 1168 c.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), per aver la corte d’appello ritenuto non fornita la prova dell’essere il vano al servizio di tutti gli appartamenti e avere a tal riguardo considerato inattendibile il teste P.V. (siccome tenuto alla garanzia per l’evizione), il quale aveva dichiarato che, a seguito del frazionamento dell’edificio in due unità abitative, il vano in oggetto era stato adibito a pianerottolo-ballatoio ed era sempre rimasto nella disponibilità di tutti i condomini; per aver trascurato che nel giudizio era in discussione non la proprietà del bene, ma il possesso; per aver affermato che il S., fino al suo acquisto del secondo appartamento, non aveva avuto motivo di chiudere il vano, senza considerare che il secondo piano dell’edificio era stato abitato fino alla morte da P.E.; per aver ritenuto che i testi avessero confermato l’esistenza di un possesso ad excludendum da parte della famiglia S., laddove gli stessi si erano limitati a riferire in merito alla presenza di alcuni elementi d’arredo e dell’illuminazione e non erano stati in grado di chiarire in che cosa fosse consistito il possesso esclusivo da parte del resistente; per non aver la corte considerato che i pianerottoli sono, per presunzione di legge, in comproprietà fra tutti i condomini e che ella, al momento dello spoglio, era in possesso della propria unità abitativa, avendo, nel corso dei lavori di ristrutturazione di quest’ultima, utilizzato, anche in maniera diretta, il vano in contestazione; per non aver ritenuto che il carattere saltuario dell’utilizzo di un immobile non costituisce, in assenza di univoci segni dell’animus derelinquendi, ostacolo all’esperibilità delle azioni a tutela del possesso.

1.1. Il motivo di ricorso è inammissibile.

1.2. Da un primo punto di vista, l’inammissibilità consegue alla circostanza per cui il motivo, in effetti costituito da plurime e diversificate censure, non è accompagnato dalla riproduzione per ciascuna di essi, almeno nei loro passaggi salienti, dei brani motivazionali della sentenza impugnata e degli elementi desunti dagli atti processuali (in particolare, le deposizioni testimoniali) che, secondo l’assunto della ricorrente, se valutati correttamente, avrebbero condotto i giudici di merito ad una differente decisione. Trattasi, quindi, di censure prive di autosufficienza, per il cui esame quindi la corte stessa avrebbe dovuto farsi arbitra di individuare, nel coacervo dei dati processuali, quelli fatti oggetto di critica mediante ciascuna censura; ciò che è inesigibile nel giudizio di legittimità.

1.3. Da altro punto di vista, per quanto attiene alle censure per violazione di legge, l’inammissibilità consegue anche alla natura generica delle stesse doglianze, solo due delle quali in astratto attinenti alle disposizioni normative (artt. 1117 e 1168 c.c.) che si indicano come violate, mancando per il resto chiari riferimenti alle regulae iuris che si ritengono erroneamente applicate a fronte di quelle di cui si invoca l’applicazione.

1.4. Da ulteriore punto di vista, quanto alle censure per vizi di motivazione, non si deve tralasciare l’ulteriore causale di inammissibilità che consegue dal fatto che, essendo stata la sentenza impugnata depositata il 6.9.2013, la ricorrente avrebbe dovuto farsi carico del rispetto del novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, applicabile ai ricorsi per cassazione proposti contro sentenze pubblicate a partire dall’11.9.2012 (D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012). Da ciò consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, la ricorrente avrebbe dovuto indicare per ciascuna censura il “fatto storico”, il cui esame sarebbe stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risultava esistente, il “come” e il “quando” tale fatto fosse stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (così Cass., Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014).

1.5. Ancora deve rilevarsi, con riferimento a tutte le censure contenute nel motivo, come le stesse – sotto la veste di doglianze per violazione di legge o vizi di motivazione – appaiano finalizzate a sollecitare un riesame, inesigibile in sede di legittimità, di apprezzamenti fattuali di stretta spettanza del giudice di merito.

1.6. Ciò posto, merita ulteriore trattazione specifica l’unica doglianza – pur colpita dalle predette ragioni di inammissibilità – che tratta un profilo giuridico non apodittico, ma comunque gravemente infondato: trattasi del rilievo secondo il quale, per la ricorrente, l’avere essa posseduto la propria unità abitativa sarebbe requisito abilitante, unitamente alla presunzione di condominialità dei pianerottoli, alla tutela per reintegra del possesso.

1.6.1. Al riguardo, con riferimento al pianerottolo come bene condominiale, va affermato – in contrasto con l’assunto della ricorrente – che il proprietario-possessore di un’unità abitativa in condominio, spogliato del possesso di una porzione di ballatoio, ha l’onere, come incombente a qualunque possessore, di fornire la prova dello ius possessionis, ossia dell’esercizio di un potere di fatto corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, con oggetto il ballatoio stesso, non essendo sufficiente, pertanto, il solo possesso dell’unità abitativa in proprietà esclusiva.

1.6.2. In argomento, invero, va data continuità alla giurisprudenza di questa corte (v. Cass. n. 16496 del 05/08/2005 e n. 7748 del 05/04/2011) che ha chiarito, in tema di condominio, che le parti comuni di un edificio formano oggetto di un compossesso pro indiviso che si esercita diversamente a seconda che le cose, gli impianti ed i servizi siano oggettivamente utili alle singole unità immobiliari, a cui sono collegati materialmente o per destinazione funzionale (come ad esempio per suolo, fondazioni, muri maestri, facciata, tetti, lastrici solari, oggettivamente utili per la statica), oppure siano utili soggettivamente, sicchè la loro unione materiale o la destinazione funzionale ai piani o porzioni di piano dipenda dall’attività dei rispettivi proprietari (come ad esempio per scale, portoni, anditi, portici, stenditoi, ascensore, impianti centralizzati per l’acqua calda o per aria condizionata); pertanto, nel primo caso l’esercizio del possesso consiste nel beneficio che il piano o la porzione di piano – e soltanto per traslato il proprietario – trae da tali utilità, nel secondo caso nell’espletamento della predetta attività da parte del proprietario. Ciò posto, questa corte ha precisato che qualora uno dei condomini, senza il consenso degli altri ed in loro pregiudizio, abbia alterato o violato lo stato di fatto o la destinazione della cosa comune impedendo o restringendo il godimento spettante a ciascun possessore pro indiviso sulla cosa medesima in modo da sottrarla alla sua specifica funzione, sono esperibili da parte degli altri comproprietari le azioni a difesa del compossesso per conseguire la riduzione della cosa al pristino stato, allo scopo di trarne quella utilitas alla quale la cosa era asservita prima della contestata modificazione;in proposito, peraltro, non si rende necessaria la prova specifica del possesso di detta parte quando essa sia costituita dalla porzione immobiliare in cui l’edificio si articola e l’eccezione feci sed iure feci è opponibile solo quando l’attività materiale del condomino non sia in contrasto con l’esercizio attuale o potenziale di analoga attività da parte di altro condomino, non limitandone i poteri corrispondenti ai diritti spettanti sulle cose condominiali.

1.6.3. In definitiva, trattandosi di cosa – il ballatoio suscettibile, nell’ambito delle cose comuni, di compossesso soggettivo nel senso dianzi chiarito, è necessaria la relativa prova specificamente riferita alla porzione di parte comune; per cui la relativa doglianza, oltre che inammissibile per quanto detto, risulta comunque infondata.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione ed errata applicazione degli artt. 1168 e 1170 c.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), per aver la corte territoriale erroneamente ritenuto che l’oggetto del contendere fosse lo spoglio della scalinata comune, anzichè del pianerottolo-ballatoio, atteso che la realizzazione del muro aveva comportato l’inglobamento all’interno degli appartamenti del signor S. di una parte consistente del vano in contestazione.

2.1. Anche tale motivo è inammissibile.

2.2. Vanno richiamate in argomento, mutatis mutandis, le considerazioni già formulate innanzi sub 1.1-1.5. con riferimento al primo motivo.

2.3. Ulteriore motivo di inammissibilità del motivo sta nel fatto che la censura, nelle sue articolazioni, non attinge la ratio decidendi sottesa alla pronuncia impugnata, in quanto quest’ultima non si fonda sul rilievo per cui, alla luce di quanto dichiarato dai testi escussi, il restringimento del vano non avrebbe limitato in alcun modo l’uso della scala comune, bensì sulla mancata dimostrazione, da parte della C., del potere di fatto (per quanto sopra detto, compossesso soggettivo) esercitato sulla cosa-ballatoio (cfr. pag. 4 della sentenza), laddove i testimoni escussi avevano confermato che l’intero primo piano, ivi compreso il vano in oggetto, era sempre stato utilizzato dalla famiglia dell’appellato, a tal punto che la sua dante causa aveva locato a terzi il piano (cfr. pag. cit. della sentenza); il riferimento alla scala sta nel fatto che, invece, è emersa prova di possesso di essa. Trattasi, quindi, di fraintendimento della portata della decisione impugnata.

3. Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione dell’art. 1168 c.c., per aver la corte locale escluso l’esistenza degli elementi della violenza e della clandestinità, nonostante che, al momento della realizzazione del muro, ella non fosse presente e il signor S., per quanto avesse lei stessa tracciato la linea di demarcazione, avesse poi occupato una parte del pianerottolo maggiore facendo, per l’effetto, venir meno il consenso in precedenza prestato, e per non aver la stessa corte locale considerato che spettava al resistente fornire la prova del consenso del possessore alla privazione del suo possesso.

3.1. L’esame del motivo è assorbito. Invero, stante l’inammissibilità dei precedenti motivi di ricorso, il motivo stesso comporta censure in ordine a ulteriori elementi dell’iter decisionale relativo alla fattispecie possessoria, il cui risultato resterebbe fermo quand’anche – in mera ipotesi – le censure stesse fossero fondate. Infatti, posto che la decisione impugnata si è fondata sulla mancata prova, da parte della signora C., dell’esercizio del potere di fatto sul bene e sull’emersione, all’esito delle prove testimoniali, di un possesso esclusivo in capo al signor S., le ulteriori considerazioni concernenti l’assenza di violenza e clandestinità del preteso spoglio, formulate dalla corte d’appello, avrebbero potuto essere utilmente impugnate solo in caso di fondatezza dei motivi di ricorso in tema di prova del possesso.

4. Non essendo il ricorso accoglibile, le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve dar atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

PQM

 

La corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500 per compensi ed Euro 200 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma1-bis.

Si dà atto che il procedimento è stato scrutinato con la collaborazione dell’assistente di studio Dott. Pe.An..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 28 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2017

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