Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2447 del 04/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 2447 Anno 2014
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA

seguito di aggiudicazione
conseguente a trattativa
privata

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 9369/08) proposto da:
VANZO DARIO (C.F.: VNZ DRA 68C30 H783Y), rappresentato e difeso, in virtù di procura
speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Sergio Dal Cero e Nicola Di Pierro ed
elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in Roma, alla v. Tagliamento, n. 55;
– ricorrente principale –

contro
AMMINISTRAZIONE COMUNALE DI VESTENANOVA, in persona del Sindaco protempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del controricorso
(previa delibera della G.C. n. 371’08), dall’Avv. Gian Paolo Sardos Albertini ed
elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Luigi Manzi, in Roma, via F.
Confalonieri, n. 5; – controricorrente1

Data pubblicazione: 04/02/2014

e
BESCHIN DANIELA (C.F.: BSC DNL 64S57 H916Y) e ZANDONA’ FRANCESCO;
– intimati-

nonché sul ricorso (iscritto al N.R.G. 9370/08) proposto da:
BESCHIN DANIELA (C.F.: BSC DNL 64S57 H916Y), rappresentata e difesa, in virtù di

elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, alla v. Tagliamento, n. 55;
– altra ricorrente —

contro

AMMINISTRAZIONE COMUNALE DI VESTENANOVA, in persona del Sindaco protempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del controricorso
(previa delibera della G.C. n. 37/’08), dall’Avv. Gian Paolo Sardos Albertini ed
elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Luigi Manzi, in Roma, via F.
Confalonieri, n. 5; – controricorrentee
VANZO DARIO (C.F.: VNZ DRA 68C30 H783Y) e ZANDONA’ FRANCESCO;
– intimati –

Avverso la sentenza n. 1157 del 2007 della Corte di appello di Venezia, depositata il 12
settembre 2007 (e notificata il 10 febbraio 2008);
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 12 dicembre 2013 daf

Consigliére relatore Dott Aldo Garrato,
uditi gli Avv.ti Sergio Dal Cero (per delega), nell’interesse dei ricorrenti Vanzo Dario

e Beschin Daniela, e Gianfranco Albini (per delega), nell’interesse del controricorrente
Comune di Vestenanova;

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procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Sergio Dal Cero e Nicola Di Pierro ed

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa
Francesca Ceroni, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi, con correzione
dell’impugnata sentenza ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, c.p.c. .
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 10 marzo 1999, il sig. Francesco Zandonà conveniva in

persona del Sindaco pro-tempore, nonché i sigg. Vanzo Dario e Beschin Daniela al fine di
sentir dichiarare la nullità dell’atto di compravendita, rogato in data 1° ottobre 1998 dal
notaio Antonio Marranghello (rep. 86555), di un immobile di proprietà del suddetto
Comune, sito in località “Castelvero”, già adibito ad edificio scolastico e censito al N.C.E.U.
alla partita 31 — sez. B foglio 9, mappale 46 sub 1 e 2, e al N.C.T. — partita n. 685, foglio 27,
mapp. 46.
A fondamento della proposta domanda l’attore esponeva che il suddetto Comune di
Vestenanova, con deliberazione consiliare n. 37 del 30 settembre 1996, aveva deciso di
alienare l’indicato immobile per riequilibrare la gestione economica dell’ente e che,
successivamente, in data 22 aprile 1997, con provvedimento della Giunta municipale n. 71,
era stato deliberato di procedere alla vendita dello stesso immobile mediante asta pubblica
a mezzo di offerta segreta ai sensi dell’art. 73, lett. c, del R.D. n. 827/1924 per il prezzo a
base d’asta di £ 100.000.000, asta, però, rimasta deserta; pertanto, a seguito di
approvazione di avviso pubblico, con ulteriore delibera n. 141/1998 della Giunta
municipale, si provvide a disporre la vendita del predetto immobile a mezzo trattativa
privata. Il bene in discorso venne aggiudicato, in data 23 luglio 1998, al sig. Vanzo Dario,
che rivestiva la carica di consigliere comunale dello stesso ente aggiudicante, in quanto
unica persona ad aver presentato un’offerta al valore di £ 67.900.000, valore ritenuto
congruo dall’ufficio tecnico comunale, a cui faceva seguito, previa delibera della stessa
Giunta municipale, la stipula dell’atto di trasferimento, con il riportato atto notarile del 1°
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giudizio, dinanzi al Tribunale di Verona, l’Amministrazione comunale di Vestenanova, in

ottobre 1998, in favore del Vanzo, con cointestazione del medesimo bene anche in capo
alla consorte del Vanzo, Beschin Daniela, siccome in regime di comunione dei beni.
Rilevava l’attore che, alla luce del riferito svolgimento dei fatti, la vendita era da
considerarsi nulla poiché il sig. Vanzo, nella predetta qualità di consigliere comunale, aveva
partecipato all’approvazione della deliberazione n. 37/’96 adottata dal Consiglio comunale,

modo risultando violato il divieto previsto dall’art. 1471 c.c. .
Pertanto, lo Zandonà concludeva invocando, da parte del Tribunale adito, la dichiarazione
di nullità dell’impugnato atto di vendita.
Si costituivano in giudizio tutte le parti convenute e, in particolare, il Comune di
Vestenanova, che instava per il rigetto della domanda (sul presupposto dell’ininfluenza
della partecipazione del Vanzo alla deliberazione del C.C. n. 37 del 1996), il Vanzo (che
eccepiva la carenza di legittimazione ad agire dell’attore e, comunque, l’insussistenza del
preteso divieto assoluto dedotto in giudizio, unitamente all’insussistenza dell’asserito i
danno), nonché la Beschin (che, oltre a reiterare le difese addotte dal coniuge, eccepiva
l’inestensibilità della eventuale nullità del contratto alla quota parte dalla stessa acquistata).
All’esito dell’istruzione probatoria, il Tribunale adito, con sentenza n. 3014 del 2002,
accoglieva la domanda attrice e, per l’effetto, dichiarava la nullità dell’atto di compravendita
dedotto in controversia, ordinando al convenuto Vanzo Dario di far rientrare il Comune
convenuto nella piena disponibilità e possesso del bene che ne aveva costituito oggetto,
con la conseguente condanna di tutti i convenuti, in solido fra loro, alla rifusione delle spese
giudiziali.
Interposto appello da parte della Beschin Daniela e nella costituzione del Comune di
Vestenanova e del Vanzo Dario (che, a volta, proponeva appello incidentale), la Corte di
appello di Venezia, nella contumacia dell’altro appellato Zandonà Francesco, con sentenza
n. 1157 del 2007 (depositata il 12 settembre 2007), rigettava entrambi i gravami e,
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con la quale era stato deciso di alienare l’immobile, che lo stesso aveva acquistato, in tal

pertanto, confermava l’impugnata sentenza, condannando la Beschin ed il Vanzo al
pagamento delle spese del grado sopportate dall’appellato Comune.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte veneta riteneva l’infondatezza di tutte le
censure formulate dai due appellanti (principale ed incidentale) riguardanti la supposta
nullità insanabile della sentenza di primo grado (fondata sulla circostanza che la stessa

precisate le conclusioni), la dedotta mancanza di legittimazione attiva dello Zandonà, la
carenza di motivazione in ordine alla qualifica di “amministratore” dello stesso Vanzo (con
errata applicazione delle norme di cui al T.U. n. 267/2000, “ratione temporis” inapplicabile
nella specie) e l’illegittimità dell’estensione della pronunciata nullità dell’acquisto anche nei
confronti della Beschin.
Quanto alla prima doglianza, la Corte lagunare evidenziava che l’eccezione non era stata
supportata dall’idonea allegazione dei fatti specifici e dei documenti necessari che ne
potessero avvalorare la fondatezza. Con riferimento alla dedotta carenza di interesse dello
Zandonà si osservava che il diritto di far valere la nullità avrebbe potuto essere chiesto da
chiunque vi aveva interesse (alla stregua dell’art. 1421 c.c.). In ordine alla terza censura, il /
giudice di appello riconfermava la statuizione di primo grado sulla ritenuta operatività, nel
caso di specie, del divieto di cui all’art. 1471 c.c., da considerarsi estensibile a tutti gli
organi muniti di poteri di disposizione o di gestione dei beni e, perciò, anche ai consiglieri
comunali che — sotto questo profilo — avrebbero dovuto essere ritenuti “amministratori”,
Con riguardo all’ultimo motivo prospettato, la Corte di seconde cure osservava che,
attraverso l’operazione economico-giuridica realizzata, l’intervento nell’acquisto anche della
consorte del Vanzo aveva, comunque, consentito (favorendo l’afflusso del bene, oggetto
della vendita, al patrimonio comune coniugale) di concretare la situazione a cui era
applicabile il divieto previsto dal citato art. 1471 c.c. .

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sarebbe stata emessa da un giudice diverso da quello dinanzi al quale erano state

Avverso la predetta sentenza (notificata il 1° febbraio 2008) hanno proposto distinti ricorsi
(notificati il 28 marzo 2008) il Vanzo Dario (iscritto al N.R.G. 9369/’08), articolato in 15
complessi motivi (a loro volta sviluppati in ulteriori suddistinzioni), e la Beschin Daniela
(iscritto al N.R.G. 9370/’08), riferito a 17 complessi motivi (alcuni dei quali variamente
sviluppati in ulteriori suddistinzioni). Il Comune di Vestenanova si è costituto in questa fase

Francesco – malgrado la ritualità della notificazione di entrambi i ricorsi proposti (per come
comprovato dai rispettivi avvisi di ricevimento ritualmente allegati agli atti) – non ha svolto
attività difensiva in questa fase processuale.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. In primo luogo deve essere disposta la riunione dei due ricorsi ai sensi dell’art. 335
c.p.c., stante l’evidente connessione soggettiva ed oggettiva tra gli stessi ed essendo stati
essi rivolti nei riguardi della stessa sentenza.

• RICORSO ISCRITTO AL N.R.G. 93691’08 nell’interesse di Vanzo Dario.
2. Con il primo motivo del suo ricorso il ricorrente Vanzo Dario ha denunciato — ai sensi
dell’art. 360, n. 4, c.p.c. ed avuto riguardo al rigetto del primo motivo di appello proposto
dalla Beschin Daniela — la supposta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.,
formulando, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (“ratione temporis” applicabile nella fattispecie,
risultando la sentenza impugnata pubblicata il 12 settembre 2007), il seguente quesito di
diritto: “dica la S. C. essere vero che viola il disposto di cui all’ad. 112 c.p.c. in punto
corrispondenza tra il chiesto e 11 pronunciato, la decisione del giudice di appello laddove —
anziché limitarsi alla valutazione d’ufficio della regolarità formale della sentenza portata in
gravame — pur a fronte dell’intenzionale non riproposizione in sede di precisazione delle
conclusioni di un originario motivo di appello in punto di ipotizzata nullità insanabile della
sentenza, pronunci il rigetto del motivo non riproposto, dichiarando soccombente la parte
appellante sul motivo pur già rinunciato”.
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con separati controricorsi nei confronti di entrambi i ricorrenti, mentre l’intimato Zandonà

3. Con il secondo motivo del suo ricorso il Vanzo ha dedotto — quanto al rigetto del
secondo motivo di appello della Beschin Daniela (e primo punto dell’appello incidentale di
esso Vanzo) in ordine al difetto di legittimazione attiva e titolarità dell’azione in capo al sig.
Zandonà — il vizio omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nonché il vizio di di
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1421 c.c. e 100 c.p.c., 1471 c.c., 81 c.p.c., 7

proposito, il quesito di diritto imposto dall’art. 366 bis c.p.c. nei seguenti termini: ” dica la
S. C. essere vero che, non potendo l’azione ex art. 1421 c. c. essere proposta sotto la
specie di un fine generale di attuazione della legge da <> ed essendo
legittimati all’azione ex art. 1421 c.c. soltanto le parti del contratto per le quali il contratto
medesimo ha forza di legge o comunque i soggetti che dal contratto ricevono una lesione
diretta ed attuale ad un loro diritto, non sussiste interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. e,
dunque, legittimazione ad agire ex art. 1421 c.c. in relazione ad un contratto di
compravendita immobiliare concluso <> dalla Pubblica Amministrazione
con soggetto privato, da parte di un soggetto che non abbia preso parte al contratto e che
agisca in nome e conto proprio lamentando una lesione ad un generico interesse <> all’utilizzo dei beni pubblici’.

Sotto il profilo dei vizi motivazionali dedotti il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata
sia per omissione e contraddittorietà delle argomentazioni spese dalla Corte veneta in
ordine alla qualità per cui aveva agito lo Zandonà (ritenuto agente in proprio con la
sentenza di prime cure e quale rappresentante di comitati di cittadini, con la sentenza di
appello) sia per carenza del ragionamento logico con riferimento alla ravvisata
legittimazione dello Zandonà come “quivis de populo” ad impugnare, per mere ragioni di
interesse legittimo e non quale titolare di un diritto soggettivo, un atto di tipo privatistico
concluso dalla P.A. anche al di fuori dei limiti dell’azione popolare.

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della legge n. 142 del 1990, 1 c.p.c., 24, 103 e 113 Cost.. prospettando, a quest’ultimo

4. Con il terzo motivo il Vanzo ha inteso far valere la violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 81 c.p.c., formulando, al riguardo, il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. essere
vero che, laddove non sia né allegata da parte attrice — che dichiara di agire in nome e per
conto proprio — né adeguatamente dimostrata nel corso del processo la sussistenza di una
specifica ipotesi di sostituzione processuale espressamente prevista per legge, non può

proprio lamentando una violazione di interessi collettivi o generali”.

5. Con il quarto motivo lo stesso ricorrente ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 7 della legge n. 142 del 1990, indicando, a suo corredo, il seguente quesito di
diritto: “dica la S.C. essere vero che — disciplinando l’art. 7 della legge n. 142 del 1990 il
diritto dell’elettore di agire a titolo di c.d. «azione popolare» unicamente dinnanzi alle
giurisdizioni amministrative esercitando in nome proprio un’azione spettante al Comune, in
ipotesi di inerzia del Comune medesimo — non può ravvisarsi un’azione popolare, in
relazione ad una iniziativa giudiziaria promossa il 9 marzo 1999 dinnanzi all’autorità
giurisdizionale ordinaria da soggetto che dichiari di agire esercitando i propri diritti di /
cittadino e convenendo il Comune, il quale ultimo costituitosi in giudizio ha chiesto il rigetto
delle domande dell’attore”.

6. Con il quinto motivo il ricorrente Vanzo ha prospettato la violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 1 c.p.c. in correlato disposto degli artt. 24, 103 e 113 Cost.,
formulando il quesito di diritto nei seguenti sensi: “dica la S.C. essere vero che deve essere
rigettata, non sussistendo giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, l’azione di nullità
ex ad. 1421 c.c. promossa anche contro la P.A. parte dell’atto da soggetto che, estraneo al
rapporto contrattuale, agisca «uti cives» deducendo la lesione ad un mero interesse
legittimo e, comunque, un suo interesse legittimo a far verificare la validità giuridica del
negozio posto in essere dalla P.A.”.

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essere riconosciuta la legittimazione ad agire in capo a soggetto che agisca in nome

7. Con il sesto motivo il Vanzo ha denunciato — quanto al rigetto del 3 0 motivo di appello
della Beschin (fatto proprio con il suo appello incidentale) in punto di pretesa applicabilità
delle norme di cui al d.lgs. n. 267/2000 a fattispecie realizzatasi nel 1998 — il vizio di
insufficiente motivazione e quello di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1471 c.c. e
dell’art. 31 della legge n. 142 del 1990, esponendo, al riguardo, il seguente quesito di

e quale norma statuente una incapacità giuridica speciale, essere applicato non oltre i casi
e i tempi espressamente previsti, con esclusione della possibilità di interpretazioni
estensive e/o analogiche, ed interpretato nel senso fatto proprio dalle parole con
l’accezione e significato che esse hanno in ambito civil-privatistico — nella vigenza della
legge n. 142 del 1990 non poteva qualificarsi amministratore nel senso di cui all’ad. 1471
c. c. rispetto ai beni del Comune, il consigliere comunale in quanto privo di concreti poteri
diretti di gestione del bene”.

8. Con il settimo motivo il Vanzo ha dedotto una ulteriore violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 31 della predetta legge n. 142 del 1990 (quale norma “ratione temporis” applicabile
ed in virtù del tenore della stessa), ponendo al vaglio di questa Corte il seguente quesito di
diritto: “dica la S. C. essere vero che, nelle more della vigenza della legge n. 142 del 1990 —
essendo il consiglio comunale qualificato quale organo di indirizzo e di controllo politico
amministrativo — non competeva al consiglio comunale la cura dei beni locali e
l’amministrazione degli stessi nel senso civilistico di cui all’ad. 1741 c.c.”.

9. L’ottavo motivo, attinente alla costituzione del Comune, mi sembra che introduca un
tema nuovo, rispetto al quale il Vanzo è verosimilmente anche carente di interesse. Il
quesito proposto è il seguente: “dica la S. C. essere vero che — essendo applicabili alla P.A.
parte di un processo dinanzi all’A.G. O. in punto di fattispecie negoziale conclusa <>, e quindi l’ad. 75 c.p.c. — non possono intendersi autorizzati dal mutamento
del legale rappresentante dell’Ente mutamenti di possibili processuali inammissibili
9

diritto: “dica la S.C. essere vero che — dovendo l’ad. 1471 c.c., quale norma di diritto privato

secondo le norme ordinarie procedurali, onde sarà inammissibile una modifica della
posizione processuale da resistenza alle domande attoree ad adesione alle stesse in
danno di altre parti processuali”.

In altri termini, con tale censura, il ricorrente ha inteso far valere l’inammissibilità della
posizione difensiva del Comune convenuto che, mentre in primo grado, aveva sostenuto la

invocando il rigetto della domanda principale dello Zandonà, nel giudizio di secondo grado
ed anche in cassazione (verosimilmente a seguito della sopravvenuta modifica di indirizzo
politico-amministrativo del Comune stesso), aveva modificato la propria strategia difensiva,
adottando una posizione processuale contrapposta a quelle del Vanzo e della Beschin ed
adesiva a quella dello Zandonà (anche se non formulando vere e proprie “domande
nuove”, non avendo, peraltro, in primo avanzato eccezioni in senso proprio o domande
riconvenzionali).
10. Con il nono motivo il Vanzo ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91
c.p.c., formulando il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. essere vero che — a fronte di
pronuncia di soccombenza in primo grado in solido tra più parti convenute in giudizio ed in
assenza di impugnazione da parte di una delle parti sul punto — non può essere
considerata tale parte non appellante come «appellata» rispetto alle domande di appello
in riforma della sentenza di primo grado proposta dagli altri convenuti, nei confronti dei
quali in primo grado la parte non appellante non è risultata vittoriosa: non potrà dunque
essere disposta a suo favore la liquidazione delle spese a carico degli appellati già
soccombenti con essa in primo grado”.

11. Con il decimo motivo il Vanzo ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione dell’art.
105, comma 2, c.p.c., indicando, a suo sostegno, il seguente quesito di diritto: “dica la S.C.
essere vero che – costituendo l’intervento adesivo una ipotesi di partecipazione di una parte
al processo con poteri limitati all’espletamento di un’attività accessoria
10

e subordinata a

legittimità della procedura a seguito della quale il bene era stato venduto al Vanzo,

quella svolta dalla parte adiuvata, potendo egli sviluppare le proprie deduzioni ed eccezioni
nell’ambito unicamente delle domande e delle eccezioni proposte da detta parte — non può
ravvisarsi intervento adesivo nella posizione del Comune che, originariamente convenuto
con altri soggetti e costituitosi in resistenza alla pretese di un terzo, si costituisca in appello
perorando le ragioni dell’originario attore rimasto contumace in gravame e rispetto al quale

considerate accoglibili le domande diverse da quelle di mero rigetto delle pretese del terzo
originariamente proposte né accolta la richiesta di rifusione delle spese di appello”.

12. Con l’undicesimo motivo il Vanzo ha censurato la sentenza impugnata per violazione
e/o falsa applicazione dell’art. 110 c.p.c.. formulando il quesito di diritto nei seguenti
termini: “dica la S.C. essere vero che — prevedendo l’art. 110 c.p.c. la prosecuzione del
successore universale nel processo nello stato in cui il processo di trova e quindi con le
preclusioni già verificatesi — anche nella denegata ipotesi in cui si volesse ravvisare una
successione universale nella mutazione della compagine amministrativa dell’ente locale a
seguito di elezioni politiche, non è comunque ammissibile una modifica della posizione
processuale da convenuto resistente ad interveniente adesivo in favore dell’attore, non
autorizzando a ciò l’art. 110 c.p.c.: non potranno dunque essere accolte domande nei
confronti di soggetti originariamente convenuti insieme al Comune e nei confronti dei quali
l’Ente costituendosi non ha svolto domande”.

13. Con il dodicesimo motivo il Vanzo ha inteso far valere la violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 167 c.p.c., esponendo il seguente quesito di diritto: “dica la S.C.
essere vero che — imponendo l’art. 167 c.p.c. al convenuto in sede di costituzione di
prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda formulando le
relative conclusioni — è irrituale ed inammissibile la formulazione, da parte del convenuto, di
una conclusione che rimetta al giudice la valutazione della fondatezza o meno della
domanda attorea di nullità del contratto oggetto di causa, per non saper dire il convenuto
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il Comune in primo grado era stato dichiarato soccombente: non potranno dunque essere

se tale contratto è nullo o meno: non potrà dunque essere accolta tale conclusione né su di
essa essere disposta alcuna condanna alle spese processuall’.
14. Con il tredicesimo motivo il Vanzo ha denunciato la violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 183 c.p.c., formulando il quesito di diritto nei sensi che seguono: “dica la S.C.
essere vero che è da considerarsi inammissibile «mutati° libelli» nonché introduzione di

predetta norma, la modifica della presa di posizione e delle conclusioni rassegnate da una
parte che, dopo essersi costituita in resistenza alle domande dell’attore che dichiarava
essere infondate, con la memoria concessa ex art. 183 c.p.c. chieda al giudice di verificare
se la domanda dell’attore volta a far dichiarare la nullità di un contratto è fondata oppure
infondata e, per il caso di fondatezza della domanda attorea, formuli per la prima volta in
tale memoria domanda di restituzione dell’immobile ceduto con il contratto: non potrà
dunque accogliersi tale domanda modificata, né disporsi su di essa alcuna condanna alle
spese nei confronti degli altri convenuti”.
15. Con il quattordicesimo motivo il Vanzo ha sostenuto l’assunta violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 345 c.p.c., corredando la doglianza con il seguente motivo: “dica la
S. C. essere vero che deve essere dichiarata inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c. la
domanda di rigetto dell’appello medesimo, laddove svolta a sostegno delle domande
dell’originario attore in primo grado da quella stessa parte che, originariamente convenuta
nel primo grado di giudizio, si era costituita in primo grado contraddicendo le pretese
attoree, costituendo la successiva domanda di rigetto dell’appello un radicale
capovolgimento delle posizioni assunte originariamente nel processo e quindi la
formulazione di domande non tempestivamente e ritualmente dedotte dalla attuale
resistente in appello: non potranno essere pertanto esaminate le argomentazioni della
resistente all’appello né accolte le domande della stessa nemmeno in ordine alle spese”.

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domande nuove, come tali non consentite dall’art. 183 c.p.c. e quindi in violazione della

16. Con il quindicesimo ed ultimo motivo il Vanzo ha dedotto la violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 100 e 91 c.p.c., con riferimento alla parte in cui la sentenza
impugnata aveva riconosciuto la rifusione delle spese al Comune. Il quesito di diritto risulta
così strutturato: “dica la S. C. essere che, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 91
e 100 c.p.c., alla parte carente di interesse a costituirsi in resistenza nel giudizio di appello,

essere riconosciuta la rifusione delle spese di lite a carico dell’appellante già con essa
soccombente in primo grado, non essendo raffigura bile una soccombenza in gravame
dell’appellante nei confronti di chi non aveva interesse a resistere all’appello”.
• RICORSO (ISCRITTO AL N.R.G. 93701’08) nell’interesse di Beschin Daniela.

17. Il primo motivo del ricorso formulato nell’interesse della Beschin è speculare alla prima
censura proposta nell’interesse del Vanzo, ragion per cui deve intendersi qui per
integralmente richiamato.
18. Anche il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso della Beschin sono uguali a
quelli omologhi avanzati dal ricorrente Vanzo, onde anch’essi devono ritenersi per
richiamati in questa sede.
19. Anche per i motivi quinto, sesto e settimo del ricorso proposto per la Beschin
riproducono i corrispondenti motivi del ricorso del Vanzo e vanno, perciò, ritenuti per
integralmente richiamati.
20. L’ottavo motivo formulato nell’interesse della Beschin è, invece, riferibile alla specifica
posizione di tale ricorrente. Con esso risulta dedotta la violazione e/o falsa applicazione del
combinato disposto di cui all’art. 112 c.p.c., all’art. 177 c.c. e all’art. 1471 c.c., nonché
l’omissione, contraddittorietà ed insufficienza della motivazione della sentenza impugnata
avuto riguardo al rigetto del quarto motivo di appello in ordine all’impossibilità di estendere
alla compravendita della stessa Beschin eventuali motivi di nullità dell’acquisto fatto dal

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per essere risultata soccombente in primo grado unitamente all’appellante, non possa

coniuge Vanzo Dario dal Comune di Vestenanova (invalidità, peraltro, nemmeno dedotta in
giudizio dall’originario attore).
A corredo di questa doglianza la ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto: “dica
la S. C. essere vero che — qualora venga dedotta in giudizio una domanda di accertamento
della nullità di un contratto di compravendita per essere stato concluso da un soggetto sul

comunione legale al coniuge dell’acquirente — viola il divieto di corrispondenza tra il chiesto
ed il pronunciato di cui all’ad .112 c.c. la sentenza che — pur risultando aver in realtà
entrambi i coniugi partecipato alla conclusione del contratto di compravendita in qualità
entrambi di acquirenti — pur in assenza di domanda di parte in tal senso, passi all’esame ed
all’accertamento della validità o meno del rapporto negoziale concluso direttamente anche
dal coniuge non in situazione di incapacità”.
21. Anche il nono motivo proposto nell’interesse della Beschin è da considerarsi autonomo
e consiste nella supposta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 177 c.c., con
l’indicazione del seguente quesito di diritto: “dica la S.C. essere vero che — comportando il
regime di comunione legale tra i coniugi di cui all’art. 177 c. c. la sola conseguenza
oggettiva della caduta in comunione tra i coniugi degli acquisti risultanti dall’attività
negoziale posta in essere dai coniugi congiuntamente o disgiuntamente, ma non produce
effetti modificativi della soggettiva capacità negoziale all’acquisto del singolo coniuge, in
relazione ad eventuali peculiari incapacità speciali di acquisto dell’altro coniuge, in quanto
un tale effetto di risolverebbe in una ingiustificata ed incostituzionale (in relazione all’art. 3
Cost.) differenza di capacità giuridica del coniuge non in condizione di incapacità speciale
all’acquisto, a seconda del regime patrimoniale assunto al momento del matrimonio — non
può essere dichiarata la nullità dell’acquisto operato dal coniuge di soggetto in situazione di
incapacità speciale ex art. 1471 c.c.”.

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quale incombeva un divieto di acquisto con mera ccintestazione per effetto del regime di

22. Anche il decimo motivo avanzato per conto della Beschin è da ritenersi autonomo e
consiste nella prospettazione della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1471 c.c., con
l’indicazione del quesito di diritto strutturato nei seguenti termini: “dica la S.C. essere vero
che, non potendo essere riconducibile il regime degli acquisti in comunione legale ad una
fattispecie di interposizione reale di persona, è valido ed esente da vizi di nullità l’acquisto

non potendosi considerare interposto ai sensi dell’art. 1471 c.c. il coniuge acquirente
rispetto all’altro coniuge in posizione di incapacità”.
23. Gli ultimi sette motivi del ricorso proposto nell’interesse della Beschin riproducono le
censure dall’ottava all’ultima del ricorso avanzato per conto del Vanzo e devono, pertanto,
aversi per integralmente richiamati in questa sede.

• ESAME DEI MOTIVI COMUNI AD ENTRAMBI I RICORSI
24. Il primo identico motivo comune ad entrambi i ricorsi è da ritenersi inammissibile e,
segnatamente, nei confronti del Vanzo per carenza di interesse (poiché con esso
quest’ultimo ricorrente ha inteso far valere una ipotetica pronuncia pregiudizievole per la
Beschin ma non per la sua sfera giuridica) e nei riguardi di entrambi sia per la essenziale
genericità del quesito di diritto proposto che per il suo difetto di specificità non risultando in
esso nemmeno precisato quale fosse il puntuale contenuto del motivo non riproposto.
25. Gli omologhi motivi dal secondo al quarto di ambedue i ricorsi risultano obiettivamente
connessi tra loro perché investono essenzialmente – sotto i plurimi e distinti profili
denunciati (come precedentemente riportati) — la stessa questione del prospettato difetto
di legittimazione (“ad causam”) del sig. Zandonà Francesco, nel caso di specie, a far
valere la nullità ex art. 1471 c.c. , siccome portatore di un mero interesse e non di un diritto
soggettivo che sarebbe stato necessario per dedurre la nullità del contratto di
compravendita intervenuto tra il Vanzo ed il Comune di Vestenanova (con contestazione
dell’acquisto anche alla consorte Beschin Daniela) avente ad oggetto, all’esito della
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operato dal coniuge di soggetto in condizione di incapacità all’acquisto ex art. 1471 c.c.,

procedura a trattativa privata realizzata, l’edificio pubblico già destinato ad istituto
scolastico di cui in narrativa.
Ritiene il collegio che le tre censure siano fondate per le complessive ragion che seguono.
Occorre, innanzitutto, evidenziare che la Corte di appello di Venezia — con la sentenza
impugnata – ha ritenuto sussistente la legittimazione ad agire dello Zandonà ai sensi

(quale promotore di una raccolta di firme, accolta dalla quasi totalità degli abitanti della
frazione comunale contraria all’alienazione del bene, precedentemente adibito ad edifico
scolastico) e, quindi, con lo scopo di impedire la verificazione di un pregiudizio concreto ed
attuale di una istanza — appunto collettiva — con sua conseguente eventuale rimozione,
aggiungendo che, in virtù della rilevazione della nullità ex art. 1471 c.c., la comunità
avrebbe potuto confidare su un diverso sistema di individuazione dell’acquirente e su
differenti opportunità di realizzare un corrispettivo più adeguato alle necessità pubbliche del
suo impiego.
Orbene, osserva il collegio che, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa
Corte (cfr., ad es., Cass., S.U., n. 264 del 1996 e Cass. n. 1619 del 2000), l’azione di mero
accertamento (quale è quella di nullità) è proponibile soltanto quando esiste una situazione
attuale di obiettiva incertezza di diritto che determina l’interesse ad agire per accertare la
sussistenza di un diritto già sorto e che possa competere all’attore ed evitare, così, il
pregiudizio concreto (e non meramente potenziale) che può derivargli dalla descritta
incertezza. In altri termini, la legittimazione generale all’azione di nullità prevista
dall’art. 1421 c.c., in virtù della quale la nullità del negozio può essere fatta valere da
chiunque vi abbia interesse ed essere rilevata anche d’ufficio del giudice, non esime
l’attore dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire
secondo le norme generali e con riferimento all’art. 100 c.p.c., non potendo tale
azione essere proposta sotto la specie di un fine generale di attuazione della legge
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dell’art. 1421 c.c. sul presupposto che egli si era fatto portatore di un interesse collettivo

(cfr., anche, Cass. n. 1553 del 1981; Cass. n. 7717 del 1991 e Cass. n. 338 del 2001),
quale potrebbe essere proprio quello relativo alla salvaguardia della trasparenza dell’attività
della P.A. anche con riguardo all’esercizio delle procedure riguardanti la dismissione degli
immobili di proprietà pubblica o con destinazione pubblica, alle quali si applichi il divieto
speciale di acquistare previsto dall’art. 1471 c.c. (con particolare riferimento, avuto riguardo

amministratori dei beni dello Stato, dei Comuni, delle Province o degli altri enti pubblici,
rispetto ai beni affidati alla loro cura”, e, quindi, con i componenti degli organi esecutivi di
tali enti ma, verosimilmente, non con quelli degli organi deliberanti), che — secondo le
posizioni teoriche predominanti — individua una ipotesi di “incapacità giuridica relativa”
all’acquisto, tutelata dalla sanzione della nullità, disposta a tutela di un interesse pubblico.
Proprio in virtù di tali presupposti, è stato chiarito (v. Cass. n. 5420 del 2002 e Cass. n.
15603 del 2007) — in ordine alla specifica doglianza sollevata con il secondo motivo dei due
ricorsi – che la legittimazione generale all’azione di nullità prevista dall’art. 1421 c.c.,
in virtù della quale la nullità del negozio può essere fatta valere da chiunque vi abbia
interesse, non esime l’attore dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto
interesse ad agire, per cui l’azione stessa non è proponibile in mancanza della prova,
da parte dell’attore, della necessità di ricorrere al giudice per evitare una lesione
attuale del proprio diritto e il conseguente danno alla propria sfera giuridica. E, nella

fattispecie, lo Zandonà non aveva — per quanto messo in risalto nella stessa sentenza
d’appello (per quanto appena poc’anzi ricordato) — dimostrato (ma, ancor prima, nemmeno
specificamente dedotto) di essere titolare di un diritto soggettivo diretto, personale ed
attuale leso dall’intervenuta conclusione (e dagli effetti) del contratto tra il Vanzo ed il
Comune di Vestenanova (al quale, invece, era certamente riconoscibile una specifica e
concreta legittimazione ad agire per far valere la nullità in discorso: cfr., per meri riferimenti,
Cass. n. 2961 del 1981), avendo agito a tutela di un interesse asseritamente collettivo
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al caso di specie, ai soggetti individuati al n. 1) del primo comma, identificantisi con “gli

(rimanendo, peraltro, possibile – come rilevato da una parte della giurisprudenza dei
T.A.R., richiamata dal P.G. d’udienza, anche con riferimento all’applicazione del recente d.
Igs. n. 85 del 2010 – l’eventuale tutelabilità, in sede giurisdizionale amministrativa,
dell’interesse legittimo riconducibile alla ipotetica illegittimità dell’attività amministrativa
presupposta della dismissione dei beni di proprietà comunale, così come — ove del caso —

regionale della Corte dei conti per l’accertamento di eventuali illeciti contabili od ancora la
proposizione della denuncia al competente P.M. di fatti rilevanti ai fini dell’eventuale
accertamento di ipotesi di reato configurabili nella realizzazione delle suddette condotte).
Peraltro, è altrettanto univoco (in ciò ravvisandosi anche la fondatezza della terza censura
comune ai due ricorsi) che la “legitimatio ad causam” si ricollega al principio dettato dall’art.
81 c.p.c., secondo il quale nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome
proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (e tale eccezione non ricorre nel
caso di specie), e comporta – trattandosi di materia attinente al contraddittorio e mirandosi
a prevenire una sentenza “inutiliter data” – la verifica, anche d’ufficio in ogni stato e grado
del processo (con il solo limite della formazione del giudicato interno sulla questione) e in
via preliminare al merito, della coincidenza dell’attore e del convenuto con i soggetti che,
secondo la legge che regola il rapporto dedotto in giudizio, sono destinatari degli effetti
della pronuncia richiesta (cfr. Cass. n. 7337 del 1998; Cass., S.U., n. 1912 del 2012 e
Cass. n. 14243 del 2012).
Inoltre, nella specie, non risulta nemmeno sostenibile che la domanda sia stata esperita
sotto forma di azione popolare, la quale non è stata neppure qualificata come tale dalla
Corte di appello di Venezia e, del resto, essa è riferibile, “ratione temporis”, ad una
modificazione legislativa (quella introdotta dalla legge 3 agosto 1999, n. 265), incidente sul
testo dell’art. 7 della legge n. 142 del 1990, entrata in vigore successivamente alla
instaurazione della controversia in questione, iniziata con notificazione dell’atto di citazione
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la segnalazione dell’attività stessa e di quella conseguente al competente Procuratore

avvenuta nel marzo 1999. Per completezza si pone in risalto che proprio l’art. 7, comma
primo, della citata legge n. 142 del 1990, nel testo sostituito dall’art. 4, comma primo,
della legge 3 agosto 1999, n. 265 (poi trasfuso nell’art. 9 del d. Igs. 8 agosto 2000, n.
267), nel conferire a ciascun elettore la facoltà di far valere in giudizio le azioni ed i
ricorsi che spettano al Comune, ha introdotto una nuova forma di azione popolare di

dell’ente comunale, il quale resta titolare della situazione sostanziale che l’azione è
diretta a tutelare (cfr. Cass. n. 15830 del 2000).
Pertanto, occorre sottolineare che, in ogni caso, la proposizione di un’azione di tal genere
avrebbe presupposto che lo Zandonà avesse agito per conto del Comune (e, quindi, non
per un interesse proprio o, comunque, meramente riferibile ad un comitato di cittadini) —
invece convenuto in giudizio, insieme al Vanzo e alla Beschin -, non al fine di sopperire ad
una sua inerzia, bensì per contrastare una sua iniziale diversa posizione (adesiva a quella
degli odierni ricorrenti). Infatti, avuto riguardo allo svolgimento della complessiva vicenda
processuale, va notato che il Comune di Vestenanova non era rimasto inerte, essendosi
anzi costituito in giudizio, avversando (almeno in prima battuta, nella fase introduttiva del
giudizio di primo grado) la domanda avanzata dallo Zandonà (sostenendo la legittimità
della procedura a trattativa privata e la validità della conseguente vendita in favore del
Vanzo), salvo, poi, nel prosieguo della causa, a modificare la propria posizione,
intraprendendo separatamente un’azione per far valere, in via autonoma, la nullità del
contratto conseguente all’aggiudicazione del bene immobile intervenuta in favore del
Vanzo, che ha seguito un corso autonomo (e che non risulta che sia stata riunita, in sede di
merito, alla causa poi sfociata nella sentenza di appello della Corte veneta, impugnata in
questa sede).

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natura suppletiva o sostitutiva, poiché l’iniziativa dell’elettore presuppone l’inerzia

Pertanto, in virtù di tali complessive argomentazioni che si riferiscono, in modo unitario, alle
tre comuni censure (dalla seconda alla quarta) dei due ricorsi, le stesse vanno accolte, con
il conseguente assorbimento (al di fuori della prima, respinta) di tutte le altre (ivi compresa
quella elencata come quinta, siccome attinente ad una questione di giurisdizione risultante
non dedotta né rilevata d’ufficio nei precedenti gradi e, quindi, preclusa in questa fase

2008; Cass. n. 2067 del 2011, ord., e Cass. n. 6966 del 2013 — oltre ad essere, in ogni
caso, recessiva nei riguardi del pregiudiziale accoglimento di una questione implicante
l’improponibilità o l’inammissibilità di una domanda “ad origine”: cfr. Cass., SU., n. 22776
del 2012).
25. In definitiva, previo rigetto del primo motivo dei due ricorsi, deve pervenirsi — in virtù del
rilevato difetto di “legittimatio ad causam” dello Zandonà a far valere la (eventuale) nullità
dell’atto di vendita in favore del Vanzo dedotto in controversia – all’accoglimento, in senso
congiunto, del secondo, del terzo e del quarto motivo comuni ad entrambi i ricorsi a cui,
dichiarate assorbite tutte le restanti doglianze, consegue la cassazione senza rinvio
dell’impugnata sentenza, potendo adottarsi direttamente in questa sede — ricorrendo i
presupposti di cui all’art. 382, comma terzo, seconda parte, c.p.c. (cfr. Cass. n. 706 del
1982; Cass. n. 2351 del 1983 e, da ultimo, Cass., S.U., n. 6994 del 2010) — una pronuncia
dichiarativa dell’improponibilità “ab initio” dell’azione da parte dello Zandonà.
In virtù della peculiarità della fattispecie dedotta in giudizio, della condotta processuale
adottata dalle parti e della obiettiva controvertibilità delle questioni trattate, ritiene il collegio
— in relazione all’art. 385, comma 2, c.p.c. — che ricorrono giusti motivi che legittimano la
dichiarazione di compensazione, con riferimento a tutti i rapporti processuali instauratisi tra
le parti, delle spese dell’intero giudizio (ivi comprese, perciò, quella della presente fase di
legittimità).

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secondo la ormai uniforme giurisprudenza di questa Corte – cfr. Cass., SU., n. 24883 del

P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il primo motivo di ciascuno di essi; accoglie i rispettivi motivi
secondo, terzo e quarto e dichiara assorbiti i rimanenti motivi di entrambi i ricorsi.
Cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo sulla domanda proposta da
Zandonà Francesco con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, la

Dichiara compensate tra tutte le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso nella camera di consiglio della 2″ Sezione civile in data 12 dicembre 2013.

dichiara improponibile.

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