Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24467 del 04/11/2020

Cassazione civile sez. III, 04/11/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 04/11/2020), n.24467

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21468/2018 proposto da:

F.A., B.R., B.I.,

B.C., e B.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DEI TRE OROLOGI 10/E, presso lo studio dell’avvocato

MASSIMO RANIERI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MARCO SONNINO;

– ricorrenti –

contro

I.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA B.

TORTOLINI, 34, presso lo studio dell’avvocato NATALIA PAOLETTI, e

rappresentato e difeso dagli avvocati ROBERTO PELLEGRINO, e STEFANO

PELLEGRINO;

– controricorrente –

e contro

L.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASSIODORO N.

1/A, presso l’avvocato MARCO ANNECHINO, e rappresentato e difeso

dagli avvocati ERMANNO RESTUCCI, e PIETRO D’ALESSANDRO;

– controricorrente –

e contro

SDN SPA, elettivamente domiciliata in NAPOLI, VIA F. CRISPI N. 31,

presso l’avvocato ANTONELLO ROMANO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

GENERALI ITALIA SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CRISTOFORO COLOMBO N. 440, presso gli avvocati RENATO MAGALDI, e

FRANCO TASSONI, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente

e contro

SARA ASSICURAZIONI SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

PARIOLI N. 9, presso l’avvocato ANDREA MORETTI, e rappresentata e

difesa dall’avvocato GIOVANNI BATTISTA VIGNOLA;

– controricorrente –

e contro

ALLIANZ S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1903/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 26/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/07/2020 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

F.A. e B.I., R., C. e G. – rispettivamente moglie e figli di B.A. – agirono in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti al decesso del congiunto, che ascrivevano a responsabilità dei medici I.F. e L.S. e dell’Istituto di Ricerca Diagnostica Nucleare SDN s.p.a.;

dedussero che, il (OMISSIS), B.A. si era sottoposto, presso l’Istituto SDN, ad esami di ECG e tomoscintigrafia miocardica a riposo e dopo sforzo – che erano stati eseguiti, rispettivamente, dal L. e dall’ I. – e che il giorno successivo il medesimo B. era deceduto per infarto;

sostennero che la morte era stata causata dall’imperizia dei sanitari nell’effettuazione degli esami e dal fatto che gli stessi non avevano prontamente informato il paziente della grave situazione cardiologica accertata, nè prescritto i necessari e urgenti presidi terapeutici;

chiesero, pertanto, che venisse accertata la responsabilità professionale dei medici e quella dell’Istituto, con condanna solidale degli stessi al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali loro spettanti, iure proprio e iure hereditario, per la morte del congiunto;

i convenuti resistettero alla domanda e chiamarono in manleva i propri assicuratori Sara Assicurazioni s.p.a., Allianz s.p.a. e Generali Italia s.p.a.;

il Tribunale di Napoli rigettò la domanda risarcitoria, dichiarando assorbite quelle di manleva, e compensò le spese di lite;

la Corte di Appello ha rigettato il gravame della F. e dei B., confermando la sentenza di primo grado e compensando le spese di lite;

la Corte ha escluso l’esistenza di un nesso eziologico tra l’esecuzione del test sotto sforzo e il decesso del B., “peraltro avvenuto il giorno successivo per cause non accertate con certezza”, e ha escluso altresì “che il comportamento del centro (omessa considerazione della fase di recupero nell’esecuzione della prova da sforzo) abbia determinato la morte del paziente, le cui cause, peraltro non sono state accertate” e, inoltre, “che sia configurabile un ritardo nella diagnosi o nella comunicazione della stessa che abbia pregiudicato le possibilità di sopravvivenza del B.”;

hanno proposto ricorso per cassazione F.A. e B.I., R., C. e G., affidandosi a tre motivi illustrati da memoria; hanno resistito I.F., L.S., SND s.p.a., Generali Italia s.p.a. e Sara Assicurazioni s.p.a..

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo (“sul nesso causale tra condotta omissiva delle controparti e morte del sig. B.A.”), i ricorrenti denunciano “violazione e falsa applicazione degli artt. 2,3 e 32 Cost., nonchè degli artt. 1218,1228,1176 e 2236 c.c. e dei principi giurisprudenziali in materia di responsabilità medica e sanitaria (art. 360 c.p.c., n. 3). Violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (art. 360 c.p.c., n. 4). Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c.,. n. 5)”;

premesso che, al termine degli accertamenti cardiologici eseguiti il 5.10.2007, i L. e l’ I. non avevano informato il paziente e il suo medico curante degli esiti degli esami e che, al momento dell’allontanamento dalla struttura SDN, al B. non furono espresse preoccupazioni o fatte raccomandazioni, i ricorrenti assumono – in primis – che nella sentenza impugnata “è stata omessa la valutazione di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ed è comunque carente l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione in violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4”; sotto altro profilo, contestano – siccome inconferenti o errate – le affermazioni compiute dalla Corte territoriale circa il fatto che la condotta dei sanitari del Centro non avesse determinato la morte del B. o non ne avesse pregiudicato le possibilità di sopravvivenza; sostengono, infatti, che avrebbe dovuto verificarsi se “l’azione ipotizzata, ma omessa, avrebbe impedito l’evento” e che era senz’altro presumibile che, se il paziente, i suoi familiari e il medico curante fossero stati informati della gravità dei risultati degli accertamenti, il giorno successivo il B. si sarebbe trovato ricoverato all’interno di un reparto di cardiologia, dove l’attacco cardiaco avrebbe potuto essere fronteggiato più efficacemente; affermano pertanto che “l’applicazione al caso concreto della regola della preponderanza o “del più probabile che non” conferma che, nel caso concreto, l’omessa informazione circa i gravissimi, univoci ed allarmanti esiti degli accertamenti cardiologici del (OMISSIS) ha purtroppo contribuito efficacemente alla sequenza causale che ha determinato la morte improvvisa” del B.; svolti, inoltre, richiami giurisprudenziali in punto di obbligo informativo del paziente da parte del sanitario, i ricorrenti ribadiscono che, “nel caso in esame, non vi è stata pacificamente nessuna attivazione o anche solo comunicazione da parte dei Dott.ri I. e L. e, in genere, di SND” e rilevano che i convenuti non avevano dedotto nè dimostrato “che l’attacco cardiaco del (OMISSIS) avrebbe determinato la morte (…) anche all’interno di una struttura ospedaliera o anche solo che, in genere, la cardiopatia diagnosticata (…) non dava nessuna prospettiva di sopravvivenza e avrebbe avuto certamente un esito fatale in un breve lasso di tempo”; concludono pertanto che la condotta omissiva aveva “concorso efficientemente alla morte del sig. B., con relativa grave violazione del diritto alla salute, dei diritti inviolabili dell’uomo e del principio di eguaglianza”;

il secondo motivo (“sul nesso causale tra cardiopatia e morte del sig. B.A.”) deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1176,1228,2043 e 2236 c.c., nonchè dei principi giurisprudenziali in materia di responsabilità medica e sanitaria (art. 360 c.p.c., n. 3). Omessa valutazione di un fatto decisivo per la decisione (art. 360 c.p.c., n. 5)”;

i ricorrenti contestano l’affermazione della Corte secondo cui il decesso del B. sarebbe avvenuto “per cause non accertate con esattezza” e rilevano che, in altra parte della sentenza si affermava che l’uomo era “deceduto a causa di una severa cardiopatia” e che dalla relazione di intervento dell’ambulanza emergeva che il decesso del B. era avvenuto per “arresto cardiocircolatorio”, con anamnesi di pregressa cardiopatia; assumono che, “considerate le gravissime patologie cardiache rilevate negli accertamenti diagnostici del giorno precedente e in assenza di altre patologie od eventi violenti idonei a determinare la morte immediata” del paziente, doveva “ritenersi ragionevolmente e verosimilmente accertato il nesso causale tra la cardiopatia e la morte del B.”;

col terzo motivo (“sull’omessa considerazione delle analitiche contestazioni medico legali svolte sulle conclusioni del CTU”), i ricorrenti lamentano “violazione e falsa applicazione degli artt. 116,195 e 201 c.p.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4). Omessa valutazione di un fatto decisivo per la decisione (art. 360 c.p.c., n. 5)”, censurando la sentenza “anche in tutte le parti in cui aderisce alle generiche considerazioni del CTU (…), senza darsi alcun peso di motivare sulle ragioni per le quali non avrebbero fondamento i rilievi critici degli esponenti e del CTP” e “neppure le significative risposte del CTU Dott. C. a tali osservazioni”; e ciò sia in relazione alla scintigrafia miocardica che in merito all’ECG sotto sforzo e, in generale, alla “gravità dello stato di salute” del B.;

esaminati congiuntamente i tre motivi, ritiene il collegio che il ricorso vada disatteso, in quanto:

le censure formulate in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, sono inammissibili ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, dato che la sentenza di appello ha confermato quella di primo grado e i ricorrenti non hanno assolto all’onere di dimostrare che le ragioni poste a base delle due decisioni siano tra loro diverse (cfr. Cass. n. 5528/2014 e Cass. n. 26774/2016);

la censura deducente la carenza della motivazione ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4, è infondata, atteso che la sentenza impugnata compie una chiara illustrazione della domanda degli appellanti e delle ragioni ad essa sottese, valuta compiutamente gli elementi emersi dall’istruttoria e illustra in modo coerente le ragioni per cui le condotte sono state ritenute non censurabili o, comunque (laddove sono state individuate omissioni) ininfluenti sul piano causale;

le censure concernenti l’adesione agli esiti della c.t.u. (svolte col terzo motivo) sono infondate, dato che la Corte non ha richiamato acriticamente le conclusioni del consulente d’ufficio, ma le ha recepite tramite una valutazione analitica delle stesse (a pagg. 5 e 6) e tenendo conto del fatto che il c.t.u. aveva preso posizione sui rilevi del c.t.p. degli appellanti;

le censure (svolte col primo e col secondo motivo) deducenti violazioni di norme di diritto sono inammissibili, in quanto:

sono dedotte in modo generico, senza ottemperare all’onere imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 4, atteso che non risultano illustrate – in riferimento alle norme individuate – specifiche violazioni o false applicazioni di norme di diritto, consistenti – rispettivamente – nell’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, o nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice (perchè la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla) oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione (cfr., per tutte, Cass. n. 23851/2019);

dette censure si risolvono in una complessiva contestazione dell’esito “assolutorio” cui è pervenuta la Corte mediante l’esclusione della sussistenza di un nesso causale fra l’operato dei sanitari e della struttura e il decesso del B. e mirano a contrapporre ad esso un esito opposto, nel senso dell’affermazione di tale nesso; il tutto a prescindere, però, dall’individuazione di errori di diritto ed esclusivamente sulla base del mero assunto che una diversa condotta dei sanitari avrebbe evitato il decesso;

con ciò, tuttavia, i ricorrenti, lungi dall’individuare violazioni o false applicazioni di norme di diritto, finiscono col sollecitare una diversa valutazione di merito che non è consentita in sede di legittimità (cfr., per tutte, Cass., S.U. n. 34476/2019);

il ricorso va pertanto – nel suo complesso – rigettato;

sussistono giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese di lite (ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo risultante dalla L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. a), come modificato dal D.L. n. 273 del 2005, art. 39 quater, comma 2, convertito in L. n. 51 del 2006, applicabile ratione temporis, trattandosi di causa iniziata nel febbraio 2009), per le stesse ragioni evidenziate, sul punto, dalla sentenza impugnata, che non sono state oggetto di censura da parte degli intimati;

ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

 

 

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