Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24465 del 10/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 10/09/2021, (ud. 31/03/2021, dep. 10/09/2021), n.24465

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13770/2020 R.G. proposto da:

A.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Roberto Dalla Bona,

con domicilio eletto in Roma, via L. Nievo, n. 61, presso lo studio

dell’Avv. Rossella De Angelis;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 4119/19,

depositata il 14 ottobre 2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31 marzo 2021

dal Consigliere Guido Mercolino.

 

Fatto

RILEVATO

che A.S., cittadino del Ghana, ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi, avverso la sentenza del 14 ottobre 2019, con cui la Corte d’appello di Milano ha rigettato il gravame da lui interposto avverso l’ordinanza emessa il 6 aprile 2018 dal Tribunale di Milano, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dal ricorrente;

che il Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censurando la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria senza valutare l’attendibilità delle dichiarazioni da lui rese in ordine alle minacce di morte rivoltegli da soggetti privati, che lo avevano indotto ad allontanarsi dal Paese di origine;

che il motivo è inammissibile, per difetto di specificità, non essendo stato precisato se la questione riguardante la credibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente fosse stata da quest’ultimo sollevata con l’atto di appello, in relazione ad un giudizio d’inattendibilità eventualmente formulato dal Tribunale e addotto a giustificazione del rigetto della domanda in primo grado;

che, nel confermare tale statuizione, la sentenza impugnata non ha infatti affrontato la predetta questione, ma si è limitata ad escludere la riconducibilità della fattispecie al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), rilevando che in relazione alla vicenda personale allegata a sostegno della domanda non era stata dedotta l’esposizione del ricorrente al rischio di una condanna a morte o dell’esecuzione della pena di morte, né provata l’esposizione al rischio di sottoposizione alla tortura o a un trattamento inumano o degradante;

che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonché il vizio di motivazione apparente, osservando che la Corte territoriale ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria senza avvalersi dei propri poteri ufficiosi d’indagine per accertare la fondatezza dei timori da lui prospettati a sostegno della domanda, essendosi limitata a richiamare genericamente le indicazioni fornite dall’UNHCR, senza precisarne neppure la data, ed avendo omesso di valutare le informazioni da lui prodotte;

che il motivo è fondato;

che, nell’escludere la configurabilità della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la sentenza impugnata ha richiamato le indicazioni contrarie al rimpatrio degl’immigrati provenienti dal Ghana risultanti da informazioni fornite dall’UNHCR, desumendo dalla descrizione della situazione politico-sociale in atto in quel Paese l’insussistenza di un conflitto armato idoneo a determinare uno stato di violenza generalizzata, ma omettendo di precisare a quale epoca si riferiscono le predette informazioni, nonché di esaminare le informazioni indicate nell’atto di appello e prodotte in giudizio;

che, in tema di protezione internazionale, questa Corte ha già avuto modo di affermare ripetutamente che, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni generali e specifiche disponibili e pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicché il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui ha tratto le proprie conclusioni, incorrendo altrimenti la pronuncia nel vizio di motivazione apparente (cfr. Cass., Sez. III, 12/01/2021, n. 262; Cass., Sez. II, 20/05/2020, n. 9230; Cass., Sez. I, 22/05/2019, n. 13897);

che il riferimento alle “fonti informative privilegiate”, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, dev’essere infatti interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante per la decisione, indicando l’autorità o l’ente da cui promana la fonte consultata e la data o l’anno di pubblicazione, in modo tale da consentire alle parti di verificare, oltre alla pertinenza ed alla specificità dell’informazione con riguardo alla situazione concreta del Paese di origine del richiedente, il rispetto dei requisiti di precisione e aggiornamento prescritti dalla predetta disposizione (cfr. Cass., Sez. II, 27/01/2021, n. 1777; 18/11/2020, n. 26229; Cass., Sez. I; 30/06/2020, n. 13255);

che il giudice di merito, pur non avendo l’obbligo di avvalersi delle ulteriori fonti eventualmente prodotte dal richiedente, ma potendo apprezzarne prudentemente il contenuto, ai fini della libera formazione del proprio convincimento, è inoltre tenuto, ove le informazioni dalle stesse desumibili si discostino significativamente da quelle da lui impiegate, quanto meno a precisare le ragioni per cui ha ritenuto di non avvalersene, in relazione alla loro affidabilità, pertinenza e specificità, nonché all’autorevolezza del soggetto o dell’organo da cui promanano ed alla data di aggiornamento;

che la sentenza impugnata va pertanto cassata, restando assorbito il terzo motivo d’impugnazione, con cui il ricorrente ha lamentato la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censurando la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria sulla base di apodittici enunciati riflettenti la mancanza di prova e del generico riferimento all’estraneità del Ghana a direttive contrarie al rimpatrio;

che la causa va conseguentemente rinviata alla Corte d’appello di Milano, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie secondo motivo, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 31 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2021

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