Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24462 del 10/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 10/09/2021, (ud. 31/03/2021, dep. 10/09/2021), n.24462

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Giudo – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4488/2020 R.G. proposto da:

LATER FIN S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.

L.D., rappresentata e difesa dall’Avv. Pietro Lovero, con

domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della

Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., in persona del procuratore

speciale A.E., rappresentato e difeso dall’Avv. Prof.

Umberto Morera, con domicilio eletto in Roma, largo G. Toniolo, n.

6;

– resistente –

per regolamento di competenza avverso la sentenza del Tribunale di

Bari n. 4669/19, depositata il 18 dicembre 2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31 marzo

2021da1 Consigliere Guido Mercolino;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Lucio CAPASSO, che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Later Fin S.r.l. ha convenuto in giudizio la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., per sentir dichiarare la nullità dell’accordo di interest rate swap stipulato il (OMISSIS), per illiceità della causa, violazione delle regole relative alla prestazione di servizi d’investimento ed inosservanza dei canoni di correttezza e buona fede, con la condanna della convenuta al risarcimento del danno emergente e del lucro cessante.

Si è costituita la Banca MPS, ed ha eccepito l’incompetenza del Giudice adito, richiamando l’accordo, art. 15, il quale prevedeva la devoluzione delle relative controversie ad un collegio arbitrale.

1.1. Con sentenza del 18 dicembre 2019, il Tribunale di Bari ha dichiarato la propria incompetenza, rilevando che la clausola invocata dalla convenuta prevedeva la devoluzione delle controversie derivanti dal contratto ad un collegio di tre arbitri incaricato di giudicare in via rituale e secondo diritto, e precisando che la dedotta nullità del contratto non escludeva l’operatività della clausola compromissoria, la quale costituiva un patto autonomo e distinto dal contratto cui accedeva.

2. Avverso la predetta sentenza la Later Fin ha proposto istanza di regolamento di competenza, per un solo motivo. La Banca MPS ha resistito con memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 112 e 819-ter c.p.c., della L. 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 3, lett. b), del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, art. 34, degli artt. 25 e 111 Cost., e dell’art. 6CEDU, rilevando che la sentenza impugnata ha omesso di pronunciare in ordine alla nullità della clausola compromissoria, dedotta da essa ricorrente soltanto in comparsa conclusionale, ma rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, in quanto risultante dagli atti. Premesso che l’accordo, art. 15, nell’attribuire alle parti il potere di nominare due dei componenti del collegio arbitrale ed a questi ultimi quello di designare il terzo componente, prevedeva che, in difetto di tali designazioni, la nomina sarebbe stata effettuata dal Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana, su istanza della parte interessata, sostiene che tali modalità di costituzione del collegio risultavano inidonee a garantire l’indipendenza e la terzietà degli arbitri, essendo la designazione affidata ad un organo a sua volta privo dei necessari requisiti di indipendenza, imparzialità e terzietà. Aggiunge che, in quanto incidente sulla validità della stessa clausola compromissoria, tale nullità, ricollegabile dall’inosservanza di un principio di ordine pubblico, la cui applicabilità non è circoscritta all’ambito dell’arbitrato societario ma si estende anche a quello di diritto comune, opera indipendentemente da quella del contratto cui la clausola accede e dalla natura rituale dell’arbitrato, in ordine alla quale la sentenza impugnata ha peraltro omesso parimenti di pronunciare.

2. Ai fini dell’ammissibilità del regolamento, si osserva innanzitutto che il tenore letterale della clausola compromissoria contenuta nell’accordo, art. 15, stipulato tra le parti non lascia dubbi in ordine alla comune intenzione di queste ultime di avvalersi di un arbitrato rituale per la risoluzione delle relative controversie: in tal senso depone infatti non solo l’espressa qualificazione risultante dalla clausola, ma anche la definizione del procedimento come “giudizio” e l’assoggettamento dello stesso alla disciplina dettata dagli artt. 816 e ss. c.p.c., con l’affidamento agli arbitri del compito di giudicare “secondo diritto” e l’attribuzione del potere di regolare le spese processuali, nonché la rimessione della relativa iniziativa a ciascuna delle parti, con la conseguente esclusione della necessità di un ulteriore accordo per ricorrervi. Sebbene, d’altronde, il discrimine tra l’arbitrato rituale e quello irrituale vada individuato, in definitiva, nella volontà delle parti di ottenere la pronuncia di un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’art. 825 c.p.c., anziché di affidare agli arbitri la soluzione della controversia attraverso uno strumento di carattere negoziale (sia esso una forma di composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla volontà degli stessi contraenti), non può ritenersi decisiva, in contrario, la mancanza di un espresso richiamo alle formalità previste per il deposito del lodo, dovendosi tener conto delle maggiori garanzie offerte dallo arbitrato rituale quanto all’efficacia esecutiva del lodo, al regime delle impugnazioni ed alla possibilità per il giudice di concedere la sospensiva, quali elementi idonei ad orientare l’interprete, nel dubbio, in favore della predetta qualificazione (cfr. Cass., Sez. I, 7/08/2019, n. 21059; 13/03/2019, n. 7198; Cass., Sez. II, 10/05/2018, n. 11313).

3. Il ricorso è peraltro infondato.

Benvero, non merita consenso l’eccezione sollevata dalla difesa della resistente, secondo cui la nullità della clausola compromissoria per difetto d’imparzialità dell’organo cui è demandata la designazione degli arbitri in caso d’inerzia delle parti non è stata dedotta ritualmente, essendo stata fatta valere soltanto in comparsa conclusionale, mentre nel corso del giudizio la ricorrente si era limitata a sostenere che la nullità del contratto, allegata a sostegno della domanda, avrebbe travolto anche la predetta clausola. La rilevabilità d’ufficio della nullità, ai sensi dell’art. 1421 c.c., escludendo la configurabilità della relativa deduzione come eccezione in senso stretto, ne comporta infatti la sottrazione alle preclusioni previste per l’attività assertiva delle parti, trattandosi di una mera difesa, volta a sollecitare l’esercizio del potere ufficioso attribuito giudice, e quindi proponibile anche in comparsa conclusionale, in quanto consentita anche in appello, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 2, (cfr. Cass., Sez. VI, 15/09/2020, n. 19161; Cass., Sez. I, 9/01/2013, n. 350). La facoltà dell’attrice di far valere la nullità della clausola compromissoria non può ritenersi preclusa, nella specie, neppure dal principio dell’immutabilità della causa petendi, in relazione all’avvenuta allegazione, a sostegno della domanda, della nullità integrale del contratto contenente la clausola compromissoria, per illiceità della causa o per violazione delle norme che disciplinano l’effettuazione dei servizi d’investimento: in tema di nullità, questa Corte ha avuto già infatti modo di chiarire che, essendo la relativa domanda pertinente ad un diritto autodeterminato, la cui individuazione prescinde dal vizio specificamente dedotto in giudizio, il giudice dinanzi al quale sia stata proposta può rilevare d’ufficio anche l’esistenza di una causa di nullità diversa da quella allegata dall’attore (cfr. Cass., Sez. Un., 12/12/2014, n. 26242; Cass., Sez. II, 17/10/2019, n. 26495; Cass., Sez. I, 26/07/2016, n. 15408), e può rilevare anche la nullità parziale del contratto, nonostante l’avvenuta proposizione di una domanda di nullità integrale, con il solo limite di non poterla dichiarare in sentenza, ove le parti, allo esito di tale rilevazione, abbiano omesso di proporre un’espressa domanda di accertamento in tal senso (cfr. Cass., Sez. Un., 12/12/2014, n. 26242; Cass., Sez. I, 18/06/2018, n. 16051; 15/02/2016, n. 2910).

4. Non può tuttavia condividersi neppure la tesi sostenuta dalla difesa della ricorrente, secondo cui il D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34, comma 2, nella parte in cui prevede la nullità delle clausole compromissorie inserite negli atti costitutivi delle società, ove il potere di nomina degli arbitri non sia conferito ad un soggetto estraneo alla società, costituisce espressione di un principio di ordine pubblico applicabile anche all’arbitrato disciplinato dal codice di procedura civile, in virtù del quale la clausola compromissoria deve considerarsi nulla ove la nomina dell’arbitro sia affidata ad un soggetto che non offre sufficienti garanzie di terzietà ed imparzialità nei confronti delle parti.

E’ pur vero, infatti, che, già in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 5 del 2003, la giurisprudenza di legittimità aveva riconosciuto la necessità che le modalità di nomina degli arbitri risultassero idonee a garantire la terzietà e l’imparzialità dei soggetti prescelti, considerate caratteristiche imprescindibili di chiunque venga chiamato a risolvere una controversia: in quest’ottica, era stato affermato che, indipendentemente dalla natura rituale o irrituale dell’arbitrato, costituisce requisito di validità del compromesso o della clausola compromissoria il fatto che gli arbitri vengano nominati con il concorso della volontà di entrambi i contendenti e non siano espressione delle determinazioni di una soltanto delle parti (cfr. Cass., Sez. I, 29/11/ 1999, n. 13306). In conformità di tale principio, proprio in materia di società, era stata ritenuta nulla la clausola compromissoria inserita nello statuto, che devolvesse alla cognizione di un collegio di probiviri la soluzione di determinate controversie fra la società stessa ed il socio, riservando la nomina dei componenti all’assemblea, senza richiedere l’unanimità né il voto favorevole del socio interessato (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 22/04/1998, n. 4099; 25/03/1998, n. 3136; 5/02/1997, n. 1090). Per converso, era stata ritenuta valida la clausola compromissoria per arbitrato rituale con la quale le parti avessero rimesso ad un terzo, già identificato nella clausola stessa, la nomina di uno degli arbitri, affermandosi che ciò soddisfaceva l’esigenza dell’accordo in ordine al meccanismo di designazione, dovendosi esso ritenere perfezionato con l’assenso dato al negozio, il quale implicava anche adesione alla clausola che contemplava la composizione del collegio arbitrale e le modalità della sua costituzione (cfr. Cass., Sez. I, 23/08/1980, n. 8608). Nella medesima prospettiva, era stata riconosciuta la validità della clausola con la quale le parti avessero demandato la nomina degli arbitri all’autorità giudiziaria, escludendosi che la previsione di tale meccanismo (espressamente contemplato dall’art. 810 c.p.c., per l’ipotesi di inerzia di una delle parti) comportasse la violazione del principio della nomina diretta da parte dei litiganti (cfr. Cass., Sez. I, 16/03/2000, n. 3044), ed ammettendosi anche la possibilità d’indicare le categorie all’interno delle quali doveva aver luogo la scelta, ma precisandosi che restava comunque fermo il potere-dovere dell’autorità giudiziaria di verificare l’eventuale sussistenza di cause d’incompatibilità e, se necessario, d’individuare l’arbitro tra persone non appartenenti alle predette categorie (cfr. Cass., Sez. I, 4/12/2001, n. 15290). Al di là di tali precisazioni, ribadite anche in seguito (cfr. Cass., Sez. I, 7/03/2001, n. 3316; 11/12/2006, n. 26318; 24/07/2007, n. 16390; 22/07/2009, n. 17152; 14/ 05/2012, n. 7450), si riteneva che l’esigenza di assicurare l’indipendenza e l’imparzialità degli arbitri risultasse adeguatamente soddisfatta dal riconoscimento alle parti della facoltà di ricusarli, originariamente per i medesimi motivi che ai sensi dell’art. 51 c.p.c., potevano giustificare la ricusazione del giudice, ed a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che ha riformulato tra l’altro l’art. 815 c.p.c., per i motivi tassativamente indicati da quest’ultima disposizione, nessuno dei quali ha peraltro riguardo alle modalità di nomina degli arbitri, riferendosi tutti alla qualifica o alla posizione dei soggetti prescelti o a rapporti presenti o pregressi degli stessi con le parti.

Rispetto alla predetta disciplina, quella dettata dal D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34, per l’arbitrato societario risulta indubbiamente più rigorosa, non limitandosi a prescrivere che la clausola compromissoria preveda il numero e le modalità di nomina delle parti, ma disponendo, a pena di nullità, che, nel caso in cui la designazione sia demandata ad un terzo, quest’ultimo debba essere un soggetto estraneo alla società. Secondo la dottrina prevalente, l’ambito applicativo di tale disposizione risulta tuttavia circoscritto alle clausole compromissorie inserite negli atti costitutivi o negli statuti delle società, restando conseguentemente esclusa la possibilità di estenderla, anche in via analogica, agli arbitrati nascenti da compromesso o alle clausole compromissorie contenute in atti successivi alla costituzione della società: la ragione di tale limitazione viene condivisibilmente individuata nella finalità, perseguita dal legislatore attraverso la disciplina in esame, di favorire il ricorso all’arbitrato come strumento di risoluzione delle controversie societarie, estendendo allo stesso alcune prerogative proprie del procedimento giurisdizionale, in modo tale da consentirne l’utilizzazione anche in presenza di una pluralità di parti, nonché, entro certi limiti, anche al di fuori dell’area dei diritti disponibili; tale intento, conforme alle direttive impartite con la Legge Delega 3 ottobre 2001, n. 366, art. 12 (cfr. soprattutto il comma 3), si realizza, in particolare, attraverso un rafforzamento della posizione di terzietà ed imparzialità degli arbitri, volto a fornire adeguate garanzie difensive a coloro che, pur essendo coinvolti nel procedimento, non abbiano concorso alla formazione della clausola compromissoria, per non aver partecipato alla costituzione della società, in quanto entrati a farne parte successivamente. Significativa, in proposito, è anche l’espressa esclusione dall’ambito applicativo della norma in esame delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325-bis c.c., dalla quale si desume che i relativi atti costitutivi o statuti non possono contenere clausole compromissorie di alcun tipo, neppure di diritto comune: la ratio di tale esclusione viene infatti individuata dalla dottrina nella considerazione che nelle predette società la maggior parte dei soci non hanno interesse a partecipare attivamente alla gestione della società, alla cui costituzione per lo più non hanno in alcun modo concorso, rivestendo la posizione di semplici investitori, la quale fa ragionevolmente presumere che essi neppure conoscano il contenuto dell’atto costitutivo.

Se è vero, peraltro, che la ragione dell’indicato rafforzamento delle garanzie di terzietà ed imparzialità degli arbitri, derivante dalla previsione della necessità che la loro nomina, se demandata ad un terzo, sia affidata ad un soggetto estraneo alla società, consiste nell’esigenza di tutelare la posizione di coloro i quali non abbiano partecipato alla stipulazione della clausola compromissoria, deve allora escludersi la possibilità di ravvisare nella norma in esame l’espressione di un principio generale applicabile anche all’arbitrato disciplinato dal codice di procedura civile, nell’ambito del quale tale connotato di estraneità normalmente non ricorre, per avere tutti i litiganti contribuito alla determinazione delle modalità di nomina degli arbitri, ivi compresa l’individuazione del terzo al quale sia stato eventualmente conferito il relativo potere. In tal senso depone anche la considerazione che, nel procedere alla riforma della disciplina dell’arbitrato di diritto comune, in epoca successiva all’entrata in vigore di quella dell’arbitrato societario, il D.Lgs. n. 40 del 2006, non ha riprodotto la disposizione dettata dal D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34, comma 2, ma si è limitato a ribadire, all’art. 21, che ha riformulato l’art. 809 c.p.c., che “la convenzione d’arbitrato deve contenere la nomina degli arbitri oppure stabilire il numero di essi e il modo di nominarli”, senza nulla disporre in ordine all’individuazione del soggetto cui può essere affidata la nomina, se non che, in mancanza della stessa, vi provvede il presidente del tribunale (art. 810 c.p.c.): se davvero il legislatore avesse inteso consacrare nel citato art. 34, comma 2, un principio generale applicabile a qualsiasi forma di arbitrato, non avrebbe potuto trovare una migliore occasione per estenderlo espressamente a quello di diritto comune, in tal modo dissipando ogni incertezza in ordine al suo ambito di operatività; il silenzio serbato al riguardo appare invece sintomatico dell’intento di confermare il carattere speciale della predetta disposizione, che non può dunque essere estesa in via interpretativa al di fuori del settore per il quale è stata specificamente introdotta (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit). Ciò non significa, ovviamente, che anche in relazione all’arbitrato disciplinato dal codice di procedura civile non si ponga l’esigenza di assicurare la terzietà e l’imparzialità degli arbitri, quali connotati imprescindibili di qualsiasi soggetto al quale venga affidata la risoluzione di una controversia: tale esigenza riveste anzi un valore ancor più pregnante nella situazione attuale, per effetto del riconoscimento della natura giurisdizionale dell’arbitrato e della valorizzazione della sua funzione sostitutiva della giurisdizione ordinaria, emergente sia dalle modifiche introdotte dapprima della L. 5 gennaio 1994, n. 25, e successivamente dal D.Lgs. n. 40 del 2006, che dall’orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità (cfr. per tutte, Cass., Sez. Un., 26/10/2020, n. 23418; 13/06/2017, n. 14649; 25/10/2013, n. 24153). Tali acquisizioni normative e giurisprudenziali non consentono tuttavia di estendere sic et simpliciter all’arbitrato di diritto comune la disciplina speciale dettata per l’arbitrato societario, la cui segnalata diversità di ratio impone di concludere che, al di fuori delle limitate ipotesi in cui si traduca nella violazione del principio secondo cui il meccanismo di designazione degli arbitri deve costituire espressione della volontà di tutti i contendenti, l’affidamento della nomina ad un terzo non estraneo alle parti non comporta la nullità del compromesso o della clausola compromissoria, restando la posizione di terzietà ed imparzialità degli arbitri garantita dall’operatività dell’istituto della ricusazione, come disciplinato dall’art. 815 c.p.c..

5. Alla stregua di tali considerazioni, deve escludersi che nella specie l’attribuzione del potere di nomina degli arbitri al Presidente dell’ABI, prevista dalla clausola compromissoria contenuta nell’accordo stipulato tra le parti, ne comporti la nullità, in considerazione dell’appartenenza della resistente alla medesima Associazione rappresentata dal soggetto cui è affidata la designazione: la riconducibilità del meccanismo di nomina alla volontà di entrambi i contraenti, che hanno concordemente provveduto all’individuazione dell’organo cui è attribuito il predetto potere, esclude infatti la possibilità di ravvisarvi un’alterazione della posizione di parità dei contendenti in riferimento alla designazione degli arbitri, il cui eventuale difetto d’imparzialità, derivante dalla lamentata comunanza d’interessi tra la resistente e l’organo cui è affidata la nomina, potrà essere fatto valere, ove concretamente prospettabile nei confronti dei soggetti prescelti, soltanto mediante la proposizione dell’istanza di ricusazione.

3. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente conferma della competenza del collegio arbitrale previsto dall’accordo di interest rate swap, art. 15, stipulato tra le parti.

Le spese processuali seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 31 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2021

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