Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24461 del 21/11/2011

Cassazione civile sez. III, 21/11/2011, (ud. 19/10/2011, dep. 21/11/2011), n.24461

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19621/2009 proposto da:

M.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA BAIAMONTI 10, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA

CALDORO, rappresentata e difesa dall’avvocato DE MAIO Carlo giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

PUNTA LUNGA SRL (OMISSIS), in persona del suo legale

rappresentante sig. D.P., quale successore a titolo

particolare della NUTRINI ERMETE 6 C. S.n.c., elettivamente

domiciliato in ROMA, V.LE REGINA MARGHERITA 290, presso lo studio

dell’avvocato CARBONE PAOLO, rappresentato e difeso dall’avvocato

BALENA Gianpiero giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

NUSTRINI ERMETE & C SNC;

– intimato –

avverso la sentenza n. 800/2008 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 03/09/2008; R.G.N. 1471/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

19/10/2011 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 9 giugno – 3 settembre 2008 la Corte di appello di Bari ha rigettato l’appello proposto da M.P. contro la s.n.c. Nustrini Ermete & C. s.n.c. avverso la sentenza 661/04 del tribunale di Foggia che, a sua volta, aveva rigettato la domanda con la quale la M. aveva esercitato – nei confronti della società Nustrini – il riscatto quanto al fondo da detta società acquistato con atto trascritto il 5 febbraio 1990 da S. A. e L.C..

Per la cassazione di tale ultima sentenza, non notificata, ha proposto ricorso, con atto 3 settembre 2009, illustrato da memoria, M.P., affidato a due motivi.

Resiste, con controricorso, la s.r.l. Punta Lunga, quale successore a titolo particolare – per acquisto fatto con atto 4 agosto 2006 – nel diritto controverso, non ha svolto attività difensiva in questa sede la Nustrini Ermete & C. s.n.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I giudici del merito hanno rigettato la domanda di riscatto agrario del fondo ora oggetto di controversia – della estensione di mq. 1300 sito in (OMISSIS) – proposta da M.P. ritenendo insussistenti, nel caso concreto, le condizioni di legge per l’esercizio della prelazione.

Hanno, in particolare, accertato i giudici di secondo grado:

– il fondo oggetto di riscatto, particella 239, confina in effetti con il fondo di proprietà della M. e, in particolare, con la particella 679, ma questa ultima, in base al Piano Regolate Generale 19 dicembre 1988, è classificata come anche la particella 664, sempre di proprietà della M., la quale ha acquistato l’intero complesso, esteso circa 10 ettari per il prezzo di oltre L. tre miliardi e ottocento milioni per uno sfruttamento certamente non agricolo zona TE – Turistica esistente e la domanda di riscatto è diretta più che a consentire la ricomposizione della proprietà contadina e diretta coltivatrice – costituente la ragione prima del diritto di prelazione e riscatto del confinante in base alla legislazione speciale in materia – a ampliare un comprensorio non agricolo, specie tenuto presente che l’esclusione della prelazione nei casi di terreno destinato a utilizzazione turistica deve essere applicata non solo per le porzioni direttamente interessate dall’insediamento, ma anche agli spazi complementari;

– a parte la inconsistenza processuale delle dichiarazioni scritte rilasciate da terzi e la vaghezza delle prove orali sollecitate, va osservato che la documentazione fiscale esibita riguarda forniture di gasolio agricolo all’azienda umbra dell’appellante in località (OMISSIS), e non la proprietà pugliese in località (OMISSIS). Cospicuo è poi l’avviamento dell’allevamento equino in (OMISSIS) costituito da due aziende collegate, una di trenta ettari (in località (OMISSIS)) e l’altra di centodieci ettari (in località (OMISSIS)): pensare che un medico veterinario, impegnato nella gestione di un così importante allevamento di cavalli di razza in Umbria, fosse coltivatrice diretta di altri 12 ettari in Puglia e in località con confessata vocazione turistica – hanno, tra l’altro, evidenziato i giudici di appello – appare del tutto fuor d’opera.

2. La ricorrente censura la sentenza sopra riassunta denunziando, nell’ordine:

– da un lato, omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in particolare sulla sussistenza dei requisiti di legge per l’esercizio della prelazione della L. 26 maggio 1965, n. 590, ex art. 8 ed L. 14 agosto 1971, n. 811, art. 7, comma 2, (primo motivo);

– dall’altro, violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento alla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 ed L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7, comma 2 (secondo motivo).

3. Il proposto ricorso è inammissibile.

Perchè proposto senza l’osservanza delle regole dettate – a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione – da un lato, dall’art. 366 c.p.c., n. 6, dall’altro, dall’art. 366 bis c.p.c..

Tale ultima disposizione (art. 366 bis c.p.c.) ancorchè abrogata con decorrenza dal 4 luglio 2009 per effetto della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47 – infatti, è applicabile nella specie, atteso che la L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, ha disposto che la norma abrogata rimanesse ultrattiva anche per i ricorsi notificati dopo il 4 luglio 2009, avverso provvedimenti pubblicati anteriormente (tra le tantissime, in tale senso: Cass. 27 luglio 2011, n. 16424, specie in motivazione; Cass. 27 settembre 2010, n. 20323; Cass. 24 marzo 2010, n. 7119; Cass. 15 marzo 2010, n. 6212) e nella specie la sentenza oggetto del ricorso per cassazione notificato il 3 settembre 2009 è stata pubblicata il 3 settembre 2008 (anteriormente, quindi, al 4 luglio 2009).

In ordine ai sopra evidenziati profili di inammissibilità del proposto ricorso si osserva, nell’ordine:

3.1. Il novellato art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, oltre a richiedere la specifica indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto.

Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche esso sia prodotto in sede di legittimità.

In altri termini il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi della omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto.

Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento.

La violazione anche di uno solo di tali oneri rende il ricorso inammissibile (Tra le tantissime, cfr., da ultimo, Cass. 31 agosto 2011, n. 17952).

Non controverso quanto sopra si osserva che nella specie, sia nel primo che nel secondo motivo la ricorrente invoca – a fondamento dei propri assunti – una molteplicità di documenti che assume essere stati prodotti nelle fasi di merito senza tuttavia precisarne la collocazione all’interno del fascicolo di ufficio o di quelli delle parti.

3.2. Contemporaneamente, deve ribadirsi che giusta la testuale previsione dell’art. 366 bis c.p.c., nei casi previsti dall’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con formulazione di un quesito diritto. Nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

3.3. Pacifico quanto ora esposto e non controverso, pertanto, che nel caso si denunzi la sentenza impugnata prospettando la esistenza di vizi di motivazione la illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione e la relativa censura deve contenere – quindi – un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (tra le tantissime, da ultimo, in termini, Cass. 31 agosto 2011, 17952, specie in motivazione) è agevole osservare che nella specie tale chiara indicazione è totalmente carente, con conseguente, quindi, palese inammissibilità del motivo.

Nè, ancora, per ipotesi può invocarsi che per dirsi rispettato il precetto in questione è sufficiente che tale fatto (o tali fatti, nell’eventualità siano più) sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che – giusta quanto incontroverso presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice – è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata (Cass. 10 aprile 2010, n. 8555; Cass. 13 maggio 2009, n. 11094; Cass. 7 aprile 2008, n. 8897, specie in motivazione).

3.4. Quanto alla eventualità – come nella specie con il secondo motivo di ricorso – si denunzi la sentenza impugnata denunciando che questa è incorsa in violazione o falsa applicazione di norme di diritto, l’illustrazione del motivo – come anticipato sopra – si deve concludere, a pena di inammissibilità con formulazione di un quesito diritto.

Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte regolatrice è fermissima nel ritenere che:

– la funzione propria del quesito di diritto, da formularsi a pena di inammissibilità del motivo proposto, è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cass. 7 aprile 2009, n. 8463);

– contemporaneamente il quesito di diritto deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie;

– è inammissibile, di conseguenza, il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge (Cass. 10 aprile 2010, n. 8555;

Cass. 17 luglio 2008, n. 19769) o che si esaurisca in affermazioni assolutamente generiche e prive di qual-siasi riferimento alla fattispecie decisa (Cass. 4 gennaio 2011, n. 80; Cass. 13 ottobre 2010, n. 21183, tra le tantissime).

In altri termini, poichè a norma dell’art. 366 bis c.p.c., la formulazione dei quesiti di diritto in relazione a ciascun motivo di ricorso deve consentire, in primo luogo, l’individuazione della regula iuris adottata dal provvedimento impugnato e poi l’indicazione del diverso principio di diritto che il ricorrente assume come corretto che si sarebbe dovuto applicare, in sostituzione del primo, la mancanza anche di una sola delle predette indicazioni rende inammissibile il motivo di ricorso.

In difetto di tale articolazione logico giuridica, infatti, il quesito si risolve in una astratta perizione di principio o in una mera riproposizione di questione di fatto con esclusiva attinenza alla specifica vicenda processuale o ancora in una mera richiesta di accoglimento del ricorso, come tale inidonea a evidenziare il nesso logico-giuridico tra singole fattispecie e principio di diritto astratto oppure infine nel mero interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nella esposizione del motivo (in termini, ad esempio, tra le tantissime, Cass. 26 aprile 2010, n. 9910).

3.5. Applicando i riferiti principi di diritto al caso di specie è palese la inammissibilità del secondo motivo del ricorso, per la inidoneità del quesito che lo conclude e che di seguito si trascrive:

“dica l’adita Corte:

1) se la qualifica di coltivatore diretto possa essere provata con qualsiasi mezzo di prova e, dunque, rilevano al riguardo le risultanze di certificazioni dell’ispettorato del lavoro e previdenziali;

2) se la prova dell’effettiva coltivazione del fondo confinante può essere data anche a mezzo di dichiarazioni rese da terzi, seppur in atti di notorietà; ovvero gradatamente a mezzo di prova orale;

3) se la prova dell’effettiva coltivazione dei fondo confinante rispetto a quello retratto induce a ritenere provata la qualifica di coltivatore diretto in capo al confinante anche qualora lo stesso svolga una diversa e complementare attività rispetto a quella della coltivazione della terra;

4) se la destinazione agricola risultante da Certificato di destinazione urbanistica rilasciato dall’Ufficio Tecnico del Comune sia o meno vincolante per il Giudice;

5) se la circostanza che sussistano sul bene complessivo oggetto di riscatto agrario anche altri beni su cui sia esercitata una attività diversa, è irrilevante, allorquando vi sia comunque un fondo rustico, al momento dell’atto da cui trae origine il riscatto, destinato e suscettibiie di una attività di natura agraria;

6) se il giudice è tenuto ad accettare, sulla base di elementi oggettivi anche tramite l’istruttoria la natura del fondo riscattato, non potendo, in assenza di ciò escluderne la riscattabilità”.

E’ certo – in particolare – che manca qualsiasi riferimento alla fattispecie all’esame dei giudici a qui-bus e alla regula iuris da costoro adottata.

3.6. Per completezza di esposizione, infine, deve evidenziarsi che il motivo di ricorso è inammissibile, oltre che in forza delle considerazioni svolte sopra, anche sotto due ulteriori – non secondari – profili.

3.6.1. il vizio di violazione di legge (nella specie denunciato dalla ricorrente) consiste – come assolutamente pacifico in dottrina come in giurisprudenza – nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di Cassazione).

Viceversa, la allegazione – come prospettate nella specie da parte della ricorrente – di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (in termini, Cass. 5 giugno 2007, n. 13066, nonchè Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione; Cass. 11 agosto 2004, n. 15499, tra le tantissime).

Pacifico quanto segue si osserva che nella specie parte ricorrente pur invocando che i giudici del merito, in tesi, hanno malamente interpretato il precetto contenuto nella L. n. 590 del 1965, art. 8, nonchè della L. n. 817 del 1971, art. 7, comma 2, in realtà, si limita a censurare la interpretazione data, dai giudici del merito, delle risultanze di causa, interpretazione a parere della ricorrente inadeguata, sollecitando, così, centra legem e cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di Cassazione, un nuovo giudizio di merito su quelle stesse risultanze precluso in questa sede.

3.6.2. Tutte le censure sviluppate – infine – singolarmente, prescindono totalmente dal considerare che perchè possa essere accolta la domanda di riscatto agrario, da parte del vicino confinante non è sufficiente che questi abbia, per ipotesi condotto direttamente un terreno confinante con quello in vendita circostanza nella specie certamente da escludere atteso la natura non agraria della particella di terreno confinante con quello per il quale la M. non è stata posta in grado di esercitare la prelazione, sì che di conseguenza è palesemente ultroneo ogni altro accertamento ma, altresì che il fondo per il quale il retraente intende esercitare la prelazione in aggiunta a altri eventualmente posseduti in proprietà .. non superi il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua famiglia.

Poichè nella specie una tale capacità è stata – palesemente – esclusa dalla sentenza gravata che ha e-spressamente evidenziato come la odierna ricorrente oltre a risiedere in una regione (Umbria) notoriamente molto lontana da quella nella quale è il fondo oggetto di retratto (Puglia) è già occupata nella conduzione, in Umbria di due fondi per complessivi 140 ettari e, in Puglia di altro fondo di complessivi 12 ettari e poichè tale aspetto della controversia (relativo alla capacità lavorativa della ricorrente e della sua famiglia) non risulta in alcun modo affrontato in ricorso, è palese – anche sotto questo ulteriore non trascurabile profilo – la manifesta inammissibilità del ricorso.

4. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 oltre Euro 2.400,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 19 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2011

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