Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24460 del 21/11/2011

Cassazione civile sez. III, 21/11/2011, (ud. 19/10/2011, dep. 21/11/2011), n.24460

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7631/2006 proposto da:

M.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 2, presso lo studio dell’avvocato ANTONINI

Giorgio, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato TRENTIN

ANDREA giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.G., M.M., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DEGLI SCIALOJA 6, presso lo studio dell’avvocato OTTAVI

Luigi, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COLIVA

GIUSEPPE giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

M.A., M.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 292/2005 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 01/03/2005; R.G.N. 370/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/10/2011 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito l’Avvocato VINCENZO DEL DUCA per delega;

udito l’Avvocato DANIELE COLIVA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 29 maggio 2000 il tribunale di Bologna, decidendo sulle domande proposte da M.R. contro M.M., G., A. e C. perchè, accertata la sua qualità di coerede dei convenuti, fosse ordinato – da un lato – a M.M. la cessazione di ogni attività di turbativa e limitativa del godimento degli altri coeredi sui beni ereditari, con riguardo al terreno (OMISSIS) – dall’altro – a M.G. la immediata liberazione dell’immobile in (OMISSIS), occupata dalla figlia S., con condanna dei convenuti al risarcimento danni, ha rigettato ogni domanda proposta da M. R. nei confronti di M.M., nonchè la riconvenzionale proposta da quest’ultimo, atteso che non vi era contrasto – tra le parti – circa la qualità di coerede dell’attore, ma ha condannato M.G. a consegnare all’attore le chiavi dell’appartamento in via (OMISSIS), rigettata la domanda dell’attore nei suoi confronti nonchè la riconvenzionale.

Avverso tale pronunzia ha proposto appello M.R. nel contraddittorio, da un lato, di M.M., che costituitosi in giudizio anche in grado di appello ha chiesto il rigetto della avversa impugnazione, dall’altro, di M.G. che ha concluso chiedendo, in via principale, perchè fosse rigettato l’appello di M.R. e, in via subordinata, perchè quest’ultimo fosse condannato al pagamento delle sua quota di spese condominiali, da lei anticipate, nonchè delle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria dell’appartamento, da ultimo, di M. A. e C., rimasti contumaci.

Con sentenza 1 marzo 2005 la Corte di appello di Bologna ha rigettato l’appello di M.R. con condanna dello stesso al pagamento delle spese del grado nei confronti degli appellati costituiti.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso, con atto 24 febbraio 2006 e date successive, M.R., affidato a 7 motivi.

Resistono, con controricorso, M.M. e G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata denunziando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 167 c.p.c., comma 2, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè violazione e falsa applicazione della L. 2 marzo 1963, n. 320, art. 1, comma 2, della L. 14 febbraio 1990, n. 29, artt. 9 e 10 e della L. 11 febbraio 1911, n. 11, art. 26, art. 50 bis c.p.c., comma 1, n. 3, art. 161 c.p.c., comma 1, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2.

Si assume, infatti che i giudici del merito:

– da un lato, hanno deciso una questione, configurabile come domanda riconvenzionale, introdotta dal convenuto M.M. in violazione delle preclusioni di cui all’art. 167 c.p.c., comma 2;

– dall’altro, hanno violato le norme sulla competenza, decidendo una questione in ogni caso di competenza esclusiva della sezione specializzata agraria.

2. La censura è inammissibile, sotto entrambi i profili in cui si articola.

2.1. Quanto al primo aspetto della censura a prescindere da ogni altra considerazione e, in particolare, dal rilievo che si ha domanda riconvenzionale allorchè il convenuto chieda, con efficacia di giudicato, una pronunzia di accertamento, costitutivo, di una nuova situazione giuridica, cioè l’accertamento di un diritto con autonomo provvedimento avente forza di giudicato (cfr., ad esempio, Cass. 24 settembre 2010, n. 20178) e non se – come nella specie – si limita a sollecitare il rigetto della pretesa avversaria si osserva che giusta quanto assolutamente incontroverso presso una giurisprudenza decisamente maggioritaria di questa Corte di legittimità da cui totalmente e senza alcuna motivazione, totalmente prescinde la difesa del ricorrente in sede di ricorso per cassazione la violazione di una norma processuale deve essere denunciata, a pena di inammissibilità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e non, pertanto, sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 (in termini, ad esempio, Cass. 21 marzo 2011, n. 6468. Tra le tantissime, nel senso che la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato è prospettabile, in sede di legittimità, a pena di inammissibilità, esclusivamente sotto l’aspetto della nullità della sentenza o del procedimento, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, Cass. 9 giugno 2011, n. 12968).

2.2. In ordine alla seconda censura sviluppata con il motivo in esame è agevole osservare che perchè sussista la competenza della sezione specializzata agraria è indispensabile che sia richiesto, da una delle parti (o da entrambe), un accertamento, con efficacia di cosa giudicata, in ordine a una controversia ex lege devoluta a tale sezione.

Non controverso che nella specie nessuna pronunzia è stata sollecitata sulla questione specifica – in tesi di competenza della sezione specializzata agraria – è di palmare evidenza che sulla stessa il tribunale in composizione ordinaria ben poteva pronunciarsi incidenter tantum (Tra le tantissime, nel senso che la competenza delle sezioni specializzate agrarie non sussiste allorchè l’esistenza del rapporto agrario costituisca oggetto di un accertamento meramente incidentale che sia presupposto di una domanda di natura diversa, Cass. 28 giugno 2005, n. 13903; Cass. 7 agosto 2001, n. 10902; Cass. 28 marzo 2000, n. 3687).

3. Con il secondo e il terzo motivo il ricorrente lamenta, nell’ordine:

– da un lato, violazione e falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 7, comma 2, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3;

errata valutazione degli atti processuali e omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, con riferimento all’art. 360 comma 1, n. 5 (secondo motivo);

– dall’altro, violazione e falsa applicazione degli artt. 981, e 1101 e 1108, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3; nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. con riferimento all’art. 360 comma 1, n. 3 (terzo motivo).

4. Nessuno di tali motivi può trovare accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

4.1. Quando nel ricorso per cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate – o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina – il motivo è inammissibile, poichè non consente alla Corte di cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 20 gennaio 2006, n. 1108; Cass. 2 9 novembre 2005, n. 26048; Cass. 8 novembre 2005, n. 21659; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20145; Cass. 2 agosto 2005f n. 16132).

Il vizio di violazione di legge – infatti – consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge, assegnata dalla Corte di cassazione).

Viceversa, la allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 5 giugno 2007, n. 13066, nonchè Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione;

Cass. 11 agosto 2004, n. 15499, tra le tantissime).

Certo quanto precede è agevole osservare che parte ricorrente ancorchè assuma (almeno nella rubrica dei motivi) di voler denunziare la sentenza impugnata, da un lato, per violazione e falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 7, comma 2, dall’altro, per violazione e falsa applicazione degli artt. 981, 1101 e 1108, nonchè dell’art. 2697 c.c., si astiene – totalmente – nella parte espositiva del motivo stesso, dall’indicare quale sia la interpretazione data dai giudici a quibus alle ricordate disposizioni e quale quella – diversa – corretta a parere dello stesso ricorrente, limitandosi a denunciare che i giudici del merito da una parte quanto al secondo motivo non avrebbero adeguatamente motivato circa la sussistenza dei complessi e articolati requisiti richiesti dalla normativa agraria per l’applicazione della disposizione di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 7, comma 2, atteso che dagli atti processuali i predetti requisiti non sussistono affatto in capo a M.M., e dall’altra, con riferimento al terzo motivo per avere erroneamente interpretato le risultanze di causa quanto all’insediamento di daini sul fondo.

In altri termini la difesa di parte ricorrente pur invocando che i giudici del merito, in tesi, hanno malamente interpretato le disposizioni di legge indicata nella intestazione del motivo (L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 7, artt. 981, 1101, 1101, 1108 e 2697 c.c.), in realtà, si limita a censurare la interpretazione data, dai giudici del merito, delle risultanze di causa, interpretazione a parere dei ricorrenti inadeguata, sollecitando, così, contra legem e cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di cassazione, un nuovo giudizio di merito su quelle stesse risultanze.

4.2. In ordine, ancora, alla denunziata violazione dell’art. 2697 c.c., la censura è inammissibile ove solo si considera che in tema di ripartizione dell’onere della prova si ha violazione dell’art. 2697 c.c., rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, esclusivamente nella ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne è, per legge, onerata e non anche allorchè – come si denunzia nella specie – a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto un tale onere, sussistendo – in una tale evenienza – eventualmente, unicamente una erroneo apprezzamento sull’esito della prova, eventualmente sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (tra le tantissime, ad esempio, Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 10 febbraio 2006, n. 2935; Cass. 14 febbraio 2001, n. 2155).

4.3. In merito, ancora, alla – ripetutamente – denunziata omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, preme evidenziare, in limine, che a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo applicabile nella specie ratione temporis essendo oggetto di ricorso una pronunzia resa anteriormente al 2 marzo 2006 le sentenze pronunziate in grado di appello o in un unico grado possono essere impugnata con ricorso per cassazione, tra l’altro “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”.

E’ palese, pertanto, che i detti vizi – salvo che n non investano distinte proposizioni contenute nella stessa sentenza, cioè diversi punti decisivi – non possono concorrere tra di loro, ma sono alternativi.

Non essendo logicamente concepibile che una stessa motivazione sia, quanto allo stesso punto decisivo, contemporaneamente “omessa”, nonchè “insufficiente” e, ancora “contraddittoria” è evidente che è onere del ricorrente precisare quale sia – in concreto – il vizio della sentenza, non potendo tale scelta (a norma dell’art. 111 Cost.

e del principio inderogabile della terzietà del giudice) essere rimessa al giudice, come invece pretende parte ricorrente (cfr. – tra le tantissime – Cass. 10 marzo 2011, n. 5701; Cass. 13 dicembre 2010, n. 25127; Cass. 30 marzo 2010, n. 7626).

4.4. Giusta quanto assolutamente incontroverso, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice (da cui senza alcuna motivazione totalmente prescinde parte ricorrente) – inoltre – il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata (Cass. 3 agosto 2007, n. 17076).

Contemporaneamente, sempre alla luce di quanto non controverso in giurisprudenza, si osserva che il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza (cfr. art. 366 c.p.c.) – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. 17 luglio 2007, n. 15952; Cass. 13 giugno 2007, n. 13845).

Non controversi i principi che precedono, è palese che qualora si deduca – come nella specie – che la sentenza oggetto di ricorso per cassazione è censurabile sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per essere sorretta da una contraddittoria motivazione è onere del ricorrente, a pena di inammissibilità, trascrivere, nel ricorso, le espressioni tra loro contraddittorie ossia inconciliabili contenute nella parte motiva della sentenza impugnata che si elidono a vicenda e non permettono, di conseguenza, di comprendere quale sia la ratio decidendi che sorregge la pronunzia stessa.

Poichè nella specie parate ricorrente pur denunziando nella intestazione dei motivi in esame anche la “contraddittoria motivazione” si è astenuta, totalmente – nella successiva parte espositiva – dal trascrivere le proposizioni presenti nella sentenza impugnata tra loro contraddittorie, è evidente che nella parte de qua il motivo deve essere dichiarato inammissibile.

4.5. I motivi, in esame, infine – sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – sono inammissibili, devendosi ribadire, ulteriormente (tra le tantissime, ad esempio, Cass. 27 ottobre 2006, n. 23087), che il motivo di ricorso per cassazione con il quale alle sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, deve essere inteso a far valere – a pena di inammissibilità in difetto di loro specifica indicazione – carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, o ancora, mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi.

Non può, invece, essere inteso a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non vi si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti.

Tali aspetti del giudizio, infatti, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento, rilevanti ai sensi della norma in esame.

Diversamente il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura e alle finalità del giudizio di legittimità.

5. Con il quarto motivo parte ricorrente denunzia, ancora, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il disinteresse del convenuto M.M. sui beni del podere (OMISSIS), con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

6. La deduzione è inammissibile.

Per un verso, infatti, deve logicamente, prima ancora che giuridicamente escludersi come già sottolineato, che lo stesso passaggio motivazionale della sentenza impugnata sia, contemporaneamente, omesso, insufficiente e contraddittorio, per altro, che a norma dell’art. 111 Cost., ogni processo si svolge nel con-traddittorio delle parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale, giudice terzo e imparziale, cui non può – pertanto – essere rimesso valutare se la sentenza impugnata specie allorchè, come nella specie, non si è in presenza di vizi rilevabili ex officio o che incidono sui principi regolatori del giusto processo è affetta da uno dei vizi previsti dall’ordinamento.

Anche a prescindere da quanto precede l’assunto prescinde totalmente da quanto esposto in motivazione dalla sentenza impugnata al fine di dimostrare che le precarie condizioni degli immobili ereditari non era in alcun modo rilevante al fine di ritenere la legittimità della conduzione del fondo stesso da parte di M.M..

7. I rilievi esposti sopra valgono anche a dimostrare la inammissibilità del quinto motivo di ricorso (con il quale si denunzia, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la domanda di restituzione delle c.d. quote caccia. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2733 c.c., artt. 112 e 113 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) che appare inammissibile anche sotto un ulteriore profilo.

I giudici di appello, in particolare, dopo avere dimostrato che M.M. era legittimamente nel godimento dei fondi per cui è controversia, attesa la sua qualità di affittuario dei fondi in discussione, hanno accertato – in linea di fatto – che le ed. quote caccia erano un compenso per i danni subiti dalle colture, di competenza dell’affittuario.

Certo quanto sopra pacifico che parte ricorrente non ha in alcun modo censurato tale ultimo accertamento è evidente, anche sotto tale ulteriore profilo, la inammissibilità del motivo.

8. Con il sesto motivo il ricorrente denunzia la sentenza impugnata lamentando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la domanda di restituzione formulata nei confronti della coerede M.G.. Violazione falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

9. Al pari dei precedenti il motivo è inammissibile.

Quanto ai lamentati vizi di motivazione in applicazione dei principi esposti sopra in margine al secondo e terzo motivo e tenuto presente che con lo stesso – ancora una volta – il ricorrente, lungi dal prospettare vizi della motivazione, rilevanti sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si limita a opporre alla valutazione espressa dai giudici del merito, quanto alle risultanze istruttorie, un proprio, soggettivo, apprezzamento di quelle stesse risultanze, sollecitando così un nuovo giudizio di merito precluso in cassazione.

In margine alla inammissibilità del motivo nella parte in cui – peraltro in termini assolutamente apodittici e senza alcuna dimostrazione – denunzia violazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3 degli artt. 112 e 113 c.p.c. è sufficiente ribadire quanto assolutamente pacifico nella giurisprudenza decisamente maggioritaria di questa Corte regolatrice, assolutamente costante nell’affermare che allorchè si denunzia, in sede di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 112 c.p.c. e, quindi, una violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, la stessa deve essere fatta valere – come in ogni altra occasione in cui si imputino al giudice errores in procedendo – esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (nullità della sentenza e del procedimento) e non come violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360, n. 3, nè, a maggior ragione, come vizio motivazionale, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, attenendo questo ultimo esclusivamente all’accertamento e valutazione di fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. 9 giugno 2011, n. 12716; Cass. 24 maggio 2011, n. 11382; Cass. 18 maggio 2011, n. 10921).

10. Quanto alle spese dei giudizi di merito hanno osservato i giudici di secondo grado:

– per quanto attiene alle spese di lite, se appare equa la compensazione disposta in primo grado stante la materia della lite e la reciproca soccombenza;

– non appare giustificata la compensazione delle spese del presente grado conclusosi con il rigetto dell’appello di M.R. e la conferma della sentenza del primo giudice avendo il M. R. sostanzialmente riproposto nel presente grado le stesse argomentazioni già disattese con adeguata motivazione nel giudizio di primo grado.

11. Con il settimo, e ultimo, motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte de qua lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (errata ed ingiustificata compensazione delle integrale delle spese di lite del primo grado di giudizio ed errata soccombenza per le spese del secondo grado di giudizio).

12. Il motivo non può trovare accoglimento.

Al riguardo si osserva, infatti (tra le tantissime, cfr., ad esempio, Cass. 29 settembre 2007, n. 20584):

– in tema di regolamento delle spese processuali, la relativa statuizione è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione di legge, quale si verificherebbe nell’ipotesi in cui, contrariamente al divieto stabilito dall’art. 91 c.p.c., le spese stesse venissero esclusivamente poste a carico della parte totalmente vittoriosa;

– la valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale delle spese processuali rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia in quella della sussistenza di giusti motivi;

– nè questi ultimi devono essere necessariamente specificati, atteso che l’esistenza di ragioni giustificatrici della compensazione va posta in relazione e deve essere integrata con la motivazione della sentenza e con tutte le vicende processuali, stante l’inscindibile connessione tra lo svolgimento della causa e la pronuncia sulle spese;

– soltanto nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato la motivazione su ragioni illogiche o contraddittorie la relativa decisione sarebbe censurabile in sede di legittimità;

– la compensazione delle spese processuali non può porsi in contrasto con l’art. 91 c.p.c., costituendo essa non una condanna, ma soltanto un’esclusione del rimborso delle spese stesse e dunque una negazione della condanna al pagamento di queste ultime.

Pacifico quanto sopra è palese che nella specie:

– da un lato, che non sussiste alcuna violazione, da parte del giudice di appello, dell’art. 91 c.p.c., per avere confermato, in grado di appello la disposta totale compensazione – da parte del primo giudice – delle spese di lite del primo grado di giudizio atteso, tra l’altro, che la domanda dell’attore era stata accolta (unicamente nei confronti di una delle convenute e unicamente in minima parte);

– dall’altro, che correttamente – attesa la totale soccombenza dell’appellante in esito al giudizio di secondo grado – il giudice di appello ha posto a carico del soccombente le spese di appello, sottolineando come fossero state sollevate, in quel grado, le medesime argomentazioni sviluppate in primo grado, senza che rilevi – al fine della loro compensazione – la eventuale loro complessità, certo essendo che è rimesso al giudice del merito l’apprezzamento della opportunità, o meno, di compensare le spese del giudizio (specie tenuto presente che, eventualmente, era onere del giudice di appello motivare il provvedimento di compensazione delle spese e non quello di condanna del soccombente al loro pagamento).

13. Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso, in conclusione, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per spese, Euro 3.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 19 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2011

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