Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2446 del 31/01/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 2446 Anno 2018
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

ORDINANZA

sul ricorso 14484-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo
studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2017
3209

GENOVA MASSIMO, elettivamente domiciliato in ROMA,
CORSO TRIESTE N. 128, presso lo studio dell’avvocato
LUIGI FERDINANDO BERARDI, che lo rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– controrícorrente –

Data pubblicazione: 31/01/2018

avverso

la

sentenza n.

4167/2012

della CORTE

D’APPELLO di ROMA, depositata il 31/05/2012 R.G.N.

10936/2008.

R.G. n. 14484/2013

RILEVATO

che con sentenza in data 31 maggio 2012 la Corte di Appello di Roma ha
confermato la pronuncia di primo grado nella parte in cui ha dichiarato la nullità
della clausola appositiva del termine “per esigenze di carattere sostitutivo
correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale

Corrispondenza Lazio assente con diritto alla conservazione del posto”, di cui al
contratto di lavoro stipulato per il periodo 16.2.2004 – 30.4.2004 tra Massimo
Genova e Poste Italiane Spa e, quindi, la sussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato; in applicazione poi dell’art. 32 della I. n. 183
del 2010 la Corte ha condannato la società al risarcimento del danno nella misura
di 4 mensilità oltre interessi e rivalutazione monetaria;

che avverso tale sentenza Poste Italiane Spa ha proposto ricorso affidato a tre
motivi, illustrati da memoria pervenuta però fuori termine, cui ha resistito
l’intimato con controricorso;

CONSIDERATO

che il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di legge e vizi di
motivazione, sostenendo che la sentenza impugnata avrebbe omesso
“totalmente di pronunciarsi sul fatto decisivo per cui il contratto indica una
decorrenza anteriore alla data di sottoscrizione”;

che la censura è inconferente in quanto la Corte territoriale ha ritenuto la nullità
del termine non per vizi formali bensì per mancanza di prova in ordine alla
sussistenza delle ragioni legittimanti l’apposizione della clausola ex d. Igs. n. 368
del 2001;

che il secondo motivo denuncia insufficiente motivazione e violazione di legge in
quanto la Corte territoriale “non considerando che nel corso del precedente
giudizio vi (è) stata attività istruttoria, ha omesso qualsiasi richiamo espresso
alle risultanze testimoniali, nonché alla documentazione prodotta a supporto della
causale sostitutiva”;

I

addetto al servizio di smistamento e movimentazione carichi presso il Polo

R.G. n. 14484/2013

che la doglianza non può trovare accoglimento (analogamente v. tra molte Cass.
n. 5255 del 2017) in quanto investe pienamente la quaestio facti – ricorrenza in
concreto della causale – di pertinenza del giudice di merito, anche in ordine alla
prova testimoniale e documentale che, contrariamente a quanto affermato da
parte ricorrente, è stata espressamente valutata dalla Corte territoriale che ha
così ritenuto: “la società appellata non ha provato l’esistenza delle esigenze
sostitutive così come indicate nel contratto atteso che i testimoni indotti dalla

della ricorrente e neppure hanno confermato i documenti di provenienza della
stessa parte circa le giornate di assenza dei dipendenti occupati nell’ufficio in
questione ed il personale assunto a termine nel medesimo periodo”;

che la censura in esame, mancando di enucleare il fatto controverso e decisivo
anche secondo il previgente testo dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., prospetta una
diversa ricostruzione della vicenda storica in ordine alla sussistenza fattuale della
causale giustificativa, così scivolando “sul piano dell’apprezzamento di merito,
che presupporrebbe un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, in punto di
fatto, incompatibili con il giudizio innanzi a questa Corte Suprema” (di recente,
tra molte, Cass. n. 16346 del 2016);

che il terzo mezzo denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 32 I. n.
183/2010: omessa applicazione del comma 6” per non avere il Genova aderito
agli accordi sindacali stipulati tra le parti sociali e per essere stati riconosciuti gli
interessi e la rivalutazione monetaria;

che, per quanto riguarda il primo aspetto, il motivo difetta di autosufficienza in
quanto nel corpo di esso non viene riportato il contenuto degli accordi sindacali
su cui il medesimo si fonda;

che, in ordine agli accessori, questa Corte ha statuito che l’articolo 429, comma
3, c.p.c., in tema di rivalutazione monetaria dei crediti di lavoro trova
applicazione anche nel caso dell’indennità di cui all’art. 32 della I. n. 183 del
2010, in quanto si riferisce a tutti i crediti connessi al rapporto e non soltanto a
quelli aventi natura strettamente retributiva (Cass. ord. VI n. 5344 del 2016;
conf. n. 3062 del 2016);

che pertanto il ricorso deve essere respinto, con le spese liquidate come da
dispositivo secondo soccombenza, con attribuzione all’avv. Luigi Ferdinando
Berardi dichiaratosi anticipatario;

resistente non sono stati in grado di riferire alcunché in merito all’assunzione

R.G. n. 14484/2013

che occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1
quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del
2012;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese

secondo legge e spese generali al 15%, con attribuzione al procuratore
dichiaratosi antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso nella Adunanza camerale del 12 luglio 2017

liquidate in euro 4.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori

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