Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24459 del 30/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 30/11/2016, (ud. 04/10/2016, dep. 30/11/2016), n.24459

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27048-2013 proposto da:

DHL EXPRESS ITALY S.R.L., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

MORIN COSTANTINO 45, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO

GIACCHETTI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

ANGELO ZAMBELLI, GIOVANNI ANTONIO OSNAGO GADDA, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

I.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 647/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 27/06/2013 R.G.N. 843/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2016 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito l’Avvocato OSNAGO GADDA GIOVANNI ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso o rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di appello di Torino, con sentenza n. 647/2013, ha riformato la sentenza di primo grado e, per l’effetto, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato a I.A. dalla soc. DHL; ha ordinato la reintegra della ricorrente nel posto di lavoro ed ha condannato la società appellata al risarcimento dei danni, compreso quello biologico.

2. La lavoratrice, che aveva prestato servizio alle dipendenze della DHL per oltre nove anni in qualità di impiegata 3^ livello super adibita a mansioni di Customer Service Agent, si era rifiutata di attendere alle mansioni di front-line, in quanto ritenute non compatibili con le sue condizioni di salute.

3. La C.t.u. medico-legale espletata in appello – il cui esito era condiviso dalla Corte territoriale – aveva concluso per la prolungata esposizione della I., quale operatrice telefonica, ad un carico vocale di tipo professionale indicativo di surmenage e malmenage, determinante nella comparsa della disfonia, da valutarsi pari ad un grado di invalidità del 6%. Le medesime risultanze medico-legali avevano evidenziato che l’assegnazione della I., al rientro dalla maternità, alle mansioni di front-line per tre ore al giorno doveva considerarsi non compatibile con le condizioni dell’apparato fonatorio leso a causa del pregresso protratto surmenage. Difatti, una volta avvenuta la lesione organica alle corde vocali per effetto di uno stress, una riesposizione anche modesta al medesimo può condurre ad una recrudescenza della patologia.

4. Di conseguenza, doveva ritenersi privo di giusta causa il licenziamento irrogato per insubordinazione nelle giornate del 31 agosto e del 7 settembre 2009, in quanto il datore di lavoro, pur posto a conoscenza della inidoneità della lavoratrice a svolgere l’attività di front-line, non ne aveva tutelato le condizioni di salute. A fronte della violazione dell’art. 2087 c.c., il lavoratore ha la facoltà di astenersi dalle specifiche prestazioni la cui esecuzione possa arrecare pregiudizio alla sua salute, in applicazione del principio di cui all’art. 1460 c.c..

5. Per la cassazione di tale sentenza ricorre la DHL con cinque motivi. L’intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c.. La sentenza aveva ascritto una responsabilità alla parte datoriale in assenza di elementi atti a comprovare l’esistenza, alla data del licenziamento, di un danno, della nocività dell’ambiente di lavoro e soprattutto il nesso di causalità tra l’uno e l’altro: il certificato medico del (OMISSIS), prodotto dalla lavoratrice, aveva attestato la remissione della disfonia ed aveva consigliato di evitare abusi vocali.

1.1. Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 437 c.p.c. per inammissibilità dell’istanza istruttoria ex art. 210 c.p.c. e nullità della c.t.u. basata anche su documentazione non espressamente ammessa dalla Corte di appello.

1.2. Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 134 c.p.c., comma 1, art. 176 c.p.c., comma 2 e art. 191 c.p.c., comma 1 per omessa motivazione circa l’ammissione della c.t.u.

1.3. Con il quarto motivo si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 193, 194 e 201 c.p.c. e inutilizzabilità della relazione peritale per assenza di contraddittorio che aveva caratterizzato l’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio, in particolare proprio all’atto degli esami clinici effettuati sulla persona della I..

1.4. Il quinto motivo verte su denuncia di violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, 2106 e 2119 c.c. per non avere la Corte di appello debitamente considerato che la lavoratrice non avrebbe potuto rendersi totalmente inadempiente sospendendo ogni attività lavorativa a fronte della adibizione per solo tre ore al giorno alla mansioni di front-line.

2. Il ricorso è infondato.

3. Il primo e il quinto motivo, che possono essere trattati congiuntamente implicando l’esame di questioni tra loro connesse, sono tutto avulsi dal decisum (art. 366 c.p.c., n. 4). A fronte della certificazione medica del (OMISSIS) prodotta dalla lavoratrice, che suggeriva di evitare abusi vocali, la società si era basata su un parere del medico aziendale che aveva invece ritenuto non particolarmente stressante per le corde vocali l’assegnazione alle mansioni in questione per non oltre 4 ore al giorno; la società aveva così adibito la dipendente per tre ore all’attività di Key Account Desk Agent e per le ulteriori tre ore all’attività di front-line. La sentenza impugnata ha evidenziato che il suddetto parere del medico aziendale (espresso con riferimento alla “certificazione prodotta”) non aveva fatto seguito ad una visita di idoneità D.Lgs. n. 81 del 2008, ex art. 41 alla quale la lavoratrice non era stata sottoposta; inoltre, il parere era stato espresso in una e-mail, della quale non risultava che la società avesse dato comunicazione, alla I. per l’eventuale impugnazione (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 41, commi 8 e 9); infine, tale parere medico aveva omesso di considerare la storia clinica della lavoratrice, che in precedenza era stata ritenuta idonea con prescrizioni e quindi assegnata a mansioni con astensione da attività vocale.

3.1. Tale ordine di considerazioni è coerente con una corretta lettura degli adempimenti gravanti sul datore di lavoro, in relazione alla sottoposizione dei dipendenti a visita di idoneità, dovendosi ricordare che, a norma dell’art. 41 cit., la sorveglianza sanitaria comprende, tra l’altro: a) visita medica preventiva intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica; b) visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica; c) visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica.

3.2. L’omissione della visita medica di idoneità alle mansioni di front-line (cui si era aggiunta l’ulteriore omissione costituita dalla mancata comunicazione alla medesima lavoratrice del parere espresso per le vie brevi dal medico aziendale, ai fine dell’eventuale impugnazione) costituiva un colposo, grave inadempimento della DHL, idoneo a legittimare la reazione della lavoratrice ai sensi dell’art. 1460 c.c., per non avere il datore adeguato la propria condotta alle prescrizioni imposte dalla legge per la tutela delle condizioni fisiche dei dipendenti nell’espletamento delle mansioni loro assegnate.

4. Le censure formulare con i motivi secondo, terzo e quarto, tutti vertenti sulla c.t.u. medico-legale, sono infondate per le ragioni che seguono.

4.1. L’ammissione di una c.t.u. non richiede nè un’istanza istruttoria della parte, nè una specifica motivazione che dia conto delle ragioni di tale espletamento, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione circa l’opportunità di procedere ad una indagine peritale; difatti, la consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario (ex plurimis, Cass. n. 15219 del 2007, n. 9461 del 2010).

4.2. I presunti vizi che inficerebbero, ad avviso dell’odierna ricorrente, la validità della c.t.u. avrebbero dovuto costituire oggetto di specifiche eccezioni di nullità da sollevare tempestivamente nel giudizio di merito nel primo atto difensivo successivo al deposito dell’elaborato peritale. Difatti, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, l’eccezione di nullità della consulenza tecnica d’ufficio, dedotta per vizi procedurali inerenti alle operazioni peritali, avendo carattere relativo, resta sanata se non fatta valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione, per tale intendendosi anche l’udienza successiva al deposito (Cass. n. 22843 del 2006, n. 8347 e n. 24996 del 2010, n. 1744 del 2013). Le contestazioni ad una relazione di consulenza tecnica d’ufficio costituiscono eccezioni rispetto al suo contenuto, sicchè sono soggette al termine di preclusione di cui all’art. 157 c.p.c., comma 2 dovendo, pertanto, dedursi – a pena di decadenza – nella prima istanza o difesa successiva al suo deposito (Cass. n. 4448 del 2014).

4.3. Non risulta dalla sentenza impugnata che fossero state sollevate eccezioni di sorta relative alla regolarità dell’espletamento delle operazioni peritali, nè l’odierna ricorrente prospetta errores in procedendo commessi dalla Corte di appello per non avere vagliato eccezioni (in ipotesi) tempestivamente proposte in corso di giudizio.

4.4. Ogni altra censura relativa all’esito della c.t.u. è inammissibile. Il difetto di motivazione, denunciabile in cassazione, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali secondo le predette nozioni non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale traducendosi, quindi, in un’inammissibile critica del convincimento del giudice (cfr. ex plurimis, Cass. n. 9988 del 2009, 22707 del 2010, n. 569 del 2011, 1652 del 2012).

5. Il ricorso va dunque rigettato. Nulla deve essere disposto quanto alle spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.

5.1. Sussistono i presupposti processuali (nella specie, il rigetto del ricorso) per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2016

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