Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24457 del 01/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 01/10/2019, (ud. 16/04/2019, dep. 01/10/2019), n.24457

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20394-2017 proposto da:

B.V., B.F., nella qualità di eredi di

B.V., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SISTINA 48, presso lo

studio dell’avvocato MARCO ORLANDO, rappresentati e difesi

dall’avvocato NICOLA PIGNATIELLO;

– ricorrenti –

contro

D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OVIDIO 10,

presso lo studio della DOTT.SSA ANNA BEI, rappresentato e difeso

dall’avvocato FRANCESCO ZEFELIPPO;

– controricorrente –

contro

B.L., M.A., BI.Vi.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 148/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI

CAVALLARO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 30.3.2017, la Corte d’appello di Napoli, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato, per quanto qui rileva, B.V. e B.F., n. q. di eredi di B.M., a pagare, in solido con B.L. e B.V., somme dovute a D.M. a titolo di differenze retributive TFR in virtù del precorso rapporto di lavoro da questi formalmente intrattenuto con B.L. s.a.s.;

che avverso tale pronuncia B.V. e B.F. hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura;

che D.M. ha resistito con controricorso, mentre gli altri intimati in epigrafe non hanno svolto attività difensiva;

che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che parte controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con l’unico motivo di censura, i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 291 e 300 c.p.c. per non avere la Corte di merito dichiarato l’inammissibilità del gravame proposto nei loro confronti dall’odierno controricorrente nonostante che l’appello fosse stato notificato impersonalmente e collettivamente agli eredi ad oltre un anno di distanza del decesso del loro dante causa presso il procuratore costituito in primo grado; che, al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la mancata comunicazione da parte del difensore della morte o della perdita di capacità della parte costituita per suo tramite comporta, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che è ammissibile la notificazione dell’impugnazione presso il procuratore costituito in primo grado, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1, senza che rilevi la conoscenza aliunde di uno degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c. da parte del notificante (Cass. S.U. n. 15295 del 2014), così superando il diverso principio espresso da Cass. S.U. n. 26279 del 2009 e richiamato nel ricorso per cassazione, secondo cui l’atto di impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte vittoriosa, dovrebbe essere rivolto e notificato agli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui il decesso è avvenuto sia dalla eventuale ignoranza dell’evento, anche se incolpevole, da parte del soccombente, sicchè, ove l’impugnazione fosse proposta nei confronti del defunto, non potrebbe trovare applicazione la disciplina di cui all’art. 291 c.p.c.;

che, nel caso di specie, avendo la Corte di merito accertato che l’evento interruttivo occorso al dante causa degli odierni ricorrenti non era stato comunicato nel corso del processo di prime cure nè dopo la pubblicazione della sentenza e che la notifica del gravame era avvenuta presso il difensore costituito in primo grado, ancorchè agli eredi collettivamente e impersonalmente, del tutto correttamente ha concesso termine per la rinnovazione ex art. 291 c.p.c.;

che, non avendo parte ricorrente nemmeno baluginato la sussistenza di argomenti idonei a revocare in dubbio il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, al quale la Corte territoriale ha espressamente dichiarato di prestare adesione, il ricorso va dichiarato inammissibile ex art. 360-bis c.p.c., n. 1 (Cass. S.U. n. 7155 del 2017), provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza; che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso;

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 16 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2019

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