Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24452 del 30/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 30/11/2016, (ud. 15/09/2016, dep. 30/11/2016), n.24452

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8390-2014 proposto da:

S.W., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ALBERICO II 13, presso lo studio dell’avvocato SILVIA CONTESTABILE,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO M.M., ente ecclesiastico civilmente

riconosciuto C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI S. COSTANZA

27, presso lo studio dell’avvocato ARMANDO MONTEMARANO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FERDINANDO MENETTI,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6595/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/10/2013 R.G.N. 8161/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/09/2016 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito l’Avvocato CONTESTABILE SILVIA;

udito l’Avvocato MONTEMARANO ARMANDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 6595/2013, depositata il 21 ottobre 2013, la Corte di appello di Roma rigettava il gravame proposto da S.W. nei confronti della sentenza del Tribunale di Roma che ne aveva respinto la domanda diretta ad ottenere l’accertamento della illegittimità del licenziamento intimatole con lettera del 9/4/2008, ai sensi dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 75, lett. b), CCNL di riferimento, dall’Istituto Massimiliano Massimo, ente ecclesiastico esercente attività di istruzione, per avere la ricorrente asportato cinquecento ostie dalla sacrestia della chiesa sita all’interno dei locali dell’Istituto, dove si era introdotta non autorizzata e senza alcuna ragione di servizio.

La Corte osservava a sostegno della propria decisione come non fossero attendibili le giustificazioni fornite dalla lavoratrice, che aveva ricondotto l’asportazione delle ostie al sopraggiungere di un episodio di iperacidità gastrica e alla necessità di assumere un alimento secco per lenire i dolori allo stomaco che ne erano derivati, tanto da averne ingerite alcune; nè poteva dubitarsi che la stessa, dipendente da molti anni dell’Istituto prima come insegnante di religione e poi come addetta alla biblioteca, ben conoscesse il valore simbolico dell’ostia, che, pur non consacrata al momento in cui la condotta era stata posta in essere, costituiva tuttavia un oggetto destinato all’esercizio del culto: era dunque irrimediabile, rilevava ancora la Corte, il contrasto fra il comportamento della lavoratrice ed i principi ispiratori e le finalità propri dell’attività svolta dall’Istituto, caratterizzata da un orientamento confessionale cui la dipendente aveva prestato espressa adesione.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la lavoratrice con unico motivo; l’Istituto ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo proposto la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in particolare lamentando la lacunosità della ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza impugnata e l’incoerenza, rispetto al materiale istruttorio, dell’iter argomentativo su cui la Corte territoriale aveva fondato la propria decisione, anche con riferimento alla valutazione di gravità del fatto addebitato e all’osservanza del criterio di proporzionalità tra lo stesso e la sanzione inflitta.

Il ricorso è inammissibile.

Il motivo proposto, infatti, non si conforma allo schema normativo del nuovo art. 360 c.p.c., n. 5, quale risultante dalla modifica introdotta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, pur in presenza di sentenza di appello depositata in data 21/10/2013 e, pertanto, in data posteriore all’entrata in vigore della novella legislativa (11 settembre 2012).

Come precisato da questa Corte a Sezioni Unite con le sentenze 7 aprile 2014 n. 8053 e n. 8054, l’art. 360, n. 5, così come riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2016

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