Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24451 del 30/10/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 24451 Anno 2013
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: CIRILLO ETTORE

SENTENZA

sul ricorso 12919-2010 proposto da:
ITA INTERNATIONAL TOBACCO AGENCY SRL in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA VIA POMPEO MAGNO 3, presso lo
studio dell’avvocato GIANNI SAVERIO, che lo
rappresenta
2013

e

difende

unitamente

all’avvocato

FERRARELLI ANTONIO giusta delega a margine;
– ricorrente –

394

contro

AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 30/10/2013

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controrícorrente nonchè contro

AGENZIA DELLE DOGANE DI TREVISO;
– intimato –

di VENEZIA, depositata il 28/07/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/02/2013 dal Consigliere Dott. ETTORE
CIRILLO;
udito per il ricorrente l’Avvocato FERRARELLI che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato GRUMETTO che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per
respingere l’eccezione di inammissibilità, nel merito
rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 32/2009 della COMM.TRIB.REG.

Ritenuto in fatto
01.In fattispecie d’importazione di accendini dal mercato malese e a seguito d’irregolarità rilevate dall’organismo europeo per la lotta antifrode (Olaf),
l’agenzia delle dogane procedeva al recupero di maggiori dazi e IVA e all’irrogazione delle corrispondenti
sanzioni nei confronti della Soc. ITA – International

venienza cinese.
02.Nel successivo contenzioso l’impugnata decisione
della commissiont regionale veneta (Mestre) confermava
gli atti fiscali, ritenendo in sintesi che, siccome
l’Olaf aveva riscontrato la manifesta inattendibilità
della documentazione prodotta in dogana, non c’erano
carenze motivazionali negli atti impositivi e sanzionatori, bensì carenza di documentazione comprovante
l’origine malese -e non cinese- degli accendini importati in Italia. Negava, altresì, la ricorrenza di qualsivoglia esimente a favore della importatrice.
03.La parte soccombente propone ricorso per cassazione
affidato a plurimi motivi. L’agenzia delle dogane si
difende con controricorso e con memoria.

Considerato in diritto
04.Preliminarmente si rileva che l’eccezione d’inammis=
ibilitè

del ricoreo per ceeeezione non 4 fondete, et=

teso che la sua notifica può alternativamente avvenire,

presso la sede centrale e quella periferica dell’agenzia fiscale (Cass. 22889/06), operando attribuzioni
concorrenti secondo un modello simile alla preposizione
institoria (S.U. 3316/06; conf. Cass. 8703/09 e 698/
10). Disattesa l’eccezione preliminare, si può passare
all’esame dei singoli mezzi.
05.Con il primo motivo, la Soc. ITA denuncia violazione
di legge (art.52 proc.trib.) avendo la CTR trascurato
l’inammissibilità dell’appello dell’ufficio mancante
dell’autorizzazione all’impugnazione da parte della direzione regionale dell’agenzia delle dogane. Il motivo
non è fondato. Non si ravvisano ragioni per discostarsi
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Tobacco Agency, importatrice di merce di ritenuta pro-

dei principi di diritto secondo cui: “Nel processo tributario, la disposizione del D.Lgs. 31 dicembre 1992,
n. 546, art. 52, comma 2, secondo la quale gli uffici
periferici del dipartimento delle entrate del Ministero
delle finanze e gli uffici del territorio devono essere
previamente autorizzati alla proposizione dell’appello
principale, rispettivamente, dal responsabile del serrale delle entrate e dal responsabile del servizio del
contenzioso della competente direzione compartimentale
del territorio, non è più suscettibile di applicazione
una volta divenuta operativa – in forza del D.M. Economia 28 dicembre 2000 – la disciplina recata dal D.Lgs.
30 luglio 1999, n. 300, art. 57 che ha istituito le
agenzie fiscali, attribuendo ad esse la gestione della
generalità delle funzioni in precedenza esercitate dai
dipartimenti e dagli uffici del ministero delle finanZ,

t -f-Agt

-flaú medeoime i relativi rapporti

giuridici, poteri e competenze, da esercitarsi secondo
la disciplina

dell’organizzazione interna di ciascuna

agenzia. A seguito della

soppressione di tutti gli uf-

fici ed organi ministeriali ai quali fa riferimento il
D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2, infatti, da
tale norma non possono farsi discendere condizionamenti
al diritto delle agenzie (…) di appellare le sentenze
ad esse sfavorevoli delle commissioni tributarie provinciali” (S.U. 604/05; conf. 16430/11).
06.Con il secondo, il terzo e il quarto motivo, la Soc.
ITA contesta la ritenuta inapplicabilità alla materia
daziaria dell’art.12 co.7 dello Statuto del contribuente e la ritenuta prevalenza delle norme doganali comunitarie, denunciando anche correlati vizi motivazionali
sui diritti di difesa della ricorrente. I tre mezzi
vanno disattesi. Quanto al secondo e al terzo si ribadisce il principio secondo cui, in materia di accertamento di tributi doganali, non costituisce violazione
dello Statuto dei diritti del contribuente l’emissione
dell’avviso di accertamento suppletivo prima della scadenza del termine di sessanta giorni previsto dall’art.

vizio del contenzioso della competente direzione gene-

12, comma 7, della legge 27 luglio 2002, n. 212 per la
presentazione di osservazioni e richieste dopo il rilascio del processo verbale di chiusura delle operazioni
da parte dell’organo impositore. Infatti, la normativa
sul riordino degli istituti doganali di cui al d.lgs. 8
novembre 1990, n. 374 prevede una serie di garanzie peculiari per il contribuente (contestazione, osservaziosivamente previsto (a) da un lato è pienamente rispettoso dei criteri dettati dallo Statuto del contribuente
in virtù del principio di leale collaborazione tra amministrazione delle dogane e contribuente medesimo
(Cass. 13890/08), (b) dall’altro dà corretta esecuzione
al principio comunitario secondo cui l’importo dei dazi
deve essere comunicato al debitore secondo modalità appropriate e contabilizzato “non appena possibile”
(art.221 CDC; v. la novella dell’art.12 cit. “ex lege”
27/2012). Ciò vale anche per le contestazioni circa
l’origine della merce (v. art.65 TULD) e per le connesse violazioni in materia di IVA (art. 70 D.iva e art.34
TULD; conf. Cass. 12333/01). Invece, il quarto mezzo
è inammissibile, perché la denuncia di vizio motivazionale deve riguardare un “fatto” controverso o decisivo
in relazione al quale la motivazione si assume carente:
si deve intendere per “fatto” non una “questione” o un
“punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e,
quindi, un fatto principale (art. 2697 cod. civ.) cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o
estintivo – od anche un fatto secondario – cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale
– purché controverso e decisivo (Cass. 16655/11 e
2805/11). Nulla di quanto necessario è rinvenibile nel
mezzo in esame.
07.Con il quinto motivo, prospettando generica violazione del diritto di difesa e violazioni di norme di
diritto (art.122 CPC, art. 2700 cc, art. 2702 cc), la
contribuente rivisita le fonti del convincimento del
giudice d’appello e le conclusioni raggiunte. Le doglianze in rassegna si risolvono in inammissibile sin-

ni, reclami, controversia). Sicché il sistema comples-

dacato in fatto. Invero – a fronte dell’articolata motivazione, con la quale il giudice a quo ha – sia pur
succintamente – dato conto degli elementi normativi e
fattuali a conforto dell’accertato riscontro della verosimile origine cinese e non malese degli accendini
importati e della sufficiente motivazione degli atti di
accertamento – con gli indicati motivi di ricorso, la
violazioni di legge e carenze di motivazione, tende, in
realtà, a rimettere in discussione, contrapponendovene
uno difforme, l’apprezzamento in fatto del giudice di
merito, che, in quanto basato sulla disamina degli elementi di valutazione disponibili ed espresso con motivazione sommaria ma immune da intrinseci vizi logici,
si sottrae al giudizio di legittimità. Nell’ambito di
tale giudizio, non è, infatti, conferito il potere di
riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo
quello di controllare, sotto il profilo logico-formale
e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione
fatta dal giudice del merito, restando a questo riservate l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, all’uopo, la valutazione delle prove, il controllo della relativa attendibilità e concludenza nonchè la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle
ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione
(cfr. Cass. 3530/12, 22901/05, 15693/04, 11936/03).
08.Peraltro, la soc. ITA sembra muovere tre censure
circa l’utilizzo processuale di documenti in lingua inglese (art.122 c.p.c.), l’efficacia probatoria attribuita a documentazione non sottoscritta e, quindi, non
riconducibile a pubblici ufficiali (art.2700 c.p.c.),
né costituente scrittura privata (art.2702 c.c.). La
prima censura è infondata poiché il principio della obbligatorietà della lingua italiana, previsto dall’art.
122 cod. proc. civ., si riferisce agli atti processuali
in senso proprio e non anche ai documenti esibiti dalle
parti. Sicché, dinanzi a documenti redatti in lingua
straniera, il giudice stesso ha la facoltà (art. 123
cod. proc. civ.), di procedere alla nomina di un tra-

società contribuente, pur apparentemente prospettando

duttore, della quale può fare a meno se il giudice conosce la lingua del documento ovvero se la parte avversa non dissenta dal contenuto dello stesso (Cass. 4416/
11; conf. Cass. 30035/11). Le altre due censure vanno
anch’esse disattese, perché prive di quell’autonoma
specificità che – imposta alla parte ricorrente dall’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. – deve
apprezzare il contenuto e la portata dei documenti controversi.
09.Con il sesto motivo, la ricorrente muove due censure: a) violazione della disciplina nazionale sulla tutela dell’affidamento (art.10 Statuto contribuente); b)
violazione della normativa comunitaria sull’esonero
dalla riscossione a posteriori dei dazi (art. 220 CDC).
La prima censura non è fondata perché l’unica esimente
in materia di esonero dai dazi comunitari é quella dell’art. 220 CDC e l’art. 10, comma 2, della legge n. 212
del 2000, nel tutelare l’affidamento del contribuente
che si sia conformato a indicazioni contenute in atti
dell’Amministrazione finanziaria, limita gli effetti di
tale tutela alla sola esclusione delle sanzioni e degli
interessi, senza incidere in alcun modo sull’obbligazione tributaria (Cass. 19479/09). Peraltro, il legittimo affidamento del contribuente di fronte all’azione
dell’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 10
cit., costituisce situazione tutelabile solo se caratterizzata da un’apparente legittimità e coerenza dell’attività del fisco in senso favorevole al contribuente e dalla sua buona fede del contribuente, rilevabile
da condotta, connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza e diligenza gravante
sul medesimo (Cass. 23309/11). Riguardo alla seconda
censura non risultano ricorrere i tre requisiti esimenti congiuntamente necessari (buonafede professionale,
errore attivo, osservanza legale) individuati dalla
giurisprudenza comunitaria e nazionale (Cass. 7837/10;
cfr. 3031/12, 7674/12, 13483/12, 15782/12). Infatti, in
tema di tributi doganali, lo stato soggettivo di buona

contemplare almeno le indicazioni minime e salienti per

fede dell’importatore, richiesto dall’art. 220, secondo
comma, lett. b), del Regolamento CEE n. 2913 del 1992
(cosiddetto Codice doganale comunitario) ai fini dell’esenzione della contabilizzazione “a posteriori”, non
ha valenza esimente “in re ipsa”, ma solo in quanto sia
riconducibile ad una delle situazioni fattuali individuate dalla normativa comunitaria, tra le quali va annoverato l’errore incolpevole, purché però esso sia im-

putabile a comportamento “attivo” delle autorità doganali nel rilasciare le certificazioni all’esito dei
controlli sulle dichiarazioni di provenienza degli
esportatori (Cass. 7837/10). La buona fede dell’importatore, il quale abbia confidato nella genuinità dei
certificati di circolazione di merci importate in regime preferenziale rilasciati dall’esportatore, non lo
esime dal pagamento del dazio effettivamente dovuto, ma
rileva solo se sussistono gli altri presupposti richiesti dall’art. 220 del Regolamento CEE del Consiglio del
12 ottobre 1992, n. 2913: invero, egli è il dichiarante
della merce importata, onde, anche se questa sia accompagnata da certificati inesatti o falsificati a sua insaputa, la Comunità europea non è tenuta a subire le
conseguenze di comportamenti scorretti dei fornitori
dei suoi cittadini, che rientrano invece nel rischio
dell’attività commerciale, contro il quale gli operatori economici possono premunirsi, nell’ambito dei loro
rapporti negoziali (Cass. 15758/12).
10.11 ricorso, pertanto, deve essere integralmente rigettato. Le spese del presente giudizio di legittimità

seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo DEPOSITATO IN CANCELLERIA’
IL ..3…O
(cfr. S.U. 17405/12).

OIL …213

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrentw
alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in
12.500, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso i Roma, il 5 febbraio 2013.

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