Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24451 del 01/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 01/10/2019, (ud. 16/04/2019, dep. 01/10/2019), n.24451

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30030-2017 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI 128,

presso lo studio dell’avvocato VALERIA BISCARDI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ETTORE TENTARELLI;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

CLEMENTINA PULLI, NICOLA VALENTE, EMANUELA CAPANNOLO, MANUELA MASSA;

– resistente –

avverso la sentenza n. 776/2017 del TRIBUNALE di PESCARA, depositata

il 25/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

RIVERSO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

il tribunale di Pescara, con sentenza n. 776/2017, dichiarava la sussistenza a carico di C.M. del requisito sanitario necessario per l’accesso all’erogazione dell’assegno mensile di invalidità a far data della domanda amministrativa e condannava l’Inps a rifondere al ricorrente le spese del giudizio che liquidava in complessivi Euro 2.200 comprensivi di accessori di legge con distrazione in favore dell’Avv. E. Tentarelli.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione C.M. con un motivo; l’Inps ha rilasciato delega in calce al ricorso per cassazione.

E’ stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

RITENUTO

CHE:

1.- con il motivo di ricorso il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.M. n. 55 del 10 marzo 2014, alla L. n. 794 del 1942, art. 24, al D.M. n. 585 del 1994, art. 4, comma 1, nonchè vizio di motivazione, per avere l’impugnata sentenza liquidato le spese processuali soltanto in Euro 2.200 e per giunta comprensivi di accessori di legge, relative sia al giudizio di merito sia al precedente procedimento di accertamento tecnico preventivo obbligatorio; così violando i parametri minimi fissati dalle normative indicate ed omettendo completamente di indicare il sistema di liquidazione adottato.

2.- Il motivo è fondato.

Anzitutto va rilevato, alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte di legittimità (su cui da ultimo ord. n. 4747/2018), che agli effetti del D.M. n. 140 del 2012, art. 41, che ha dato attuazione al D.L. n. 1 del 2012, art. 9, comma 2 (conv. con L. n. 27 del 2012), i nuovi parametri cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorchè tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l’accezione omnicomprensiva di “compenso” la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata (Cass. S.U. n. 17405/2012).

Alla stregua del superiore insegnamento, alla presente fattispecie va applicato il D.M. n. 55 del 2014, in vigore dal 3.4.2014, essendo stata operata la liquidazione qui censurata con sentenza del 25.10.2017.

Quanto alla determinazione degli scaglioni applicabili, va ribadito che, ai fini della determinazione del valore della causa per la liquidazione delle spese di giudizio, nelle controversie relative a prestazioni assistenziali deve applicarsi il criterio previsto dall’art. 13 c.p.c., comma 1, di talchè, se il titolo è controverso, il valore si determina in base all’ammontare delle somme dovute per due anni.

Non sussiste invece alcun obbligo per il giudice di liquidare il compenso nella misura media, dal momento che il citato D.M. n. 55 del 2014, artt. 1 e 4, gli impongono soltanto di liquidare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, peraltro derogabili con idonea motivazione (Cass. nn. 18167 del 2015 e 2386 del 2017).

Applicando tali principi al caso in esame, il valore della causa va individuato tra Euro 5.200,00 ed Euro 26.000,00, in tale scaglione rientrando l’ammontare di due annualità della prestazione richiesta, ed i parametri minimi stabiliti per tale scaglione, computando tre fasi per il procedimento di istruzione preventiva e quattro per la causa di merito, vanno individuati in Euro 911,00 per la fase di istruzione preventiva (risultanti dalla somma di Euro 270,00 per studio della controversia, Euro 337,50 per la fase introduttiva del giudizio ed Euro 303,00 per la fase istruttoria e/o di trattazione, dovendosi ridurre le prime due del 50% e la terza del 70%, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4) e, trattandosi di causa inquadrabile nella tab. 4 (cause di previdenza), in Euro 2.251,00 per il giudizio di merito (risultanti dalla somma di Euro 442,50 per la fase di studio, Euro 370,00 per la fase introduttiva del giudizio, Euro 475,50 per la fase istruttoria e/o di trattazione ed Euro 962,00 per la fase decisionale, dovendosi ridurre le prime due e la fase decisionale del 50% e la fase istruttoria del 70%, ancora ai sensi del citato D.M. n. 55 del 2014, art. 4). Con riguardo alla fase istruttoria e/o di trattazione, la riduzione va operata sottraendo il 70% all’importo del parametro medio, dovendo così interpretarsi il disposto del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, che testualmente prevede un riduzione “fino al 70 per cento” dell’importo liquidato per tale fase.

Avuto riguardo all’importo dianzi delineato, balza evidente come la liquidazione delle spese contenuta nell’impugnata sentenza sia inferiore a detti minimi, nè risulta alcuna motivazione in ordine alla non riconoscibilità, nel caso concreto, di alcuni compensi stabiliti dal citato D.M. n. 55 del 2014, in relazione alle singole fasi processuali.

Pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza va cassata per quanto di ragione e, non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito liquidando le spese in complessivi Euro 3.162,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico dell’INPS e vengono liquidate come da dispositivo, disponendosene la distrazione in favore dell’avv. E. Tentarelli, dichiaratosi antistataria; che, in considerazione dell’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa per quanto di ragione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, liquida le spese giudiziali in Euro 3.162,00, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge. Condanna l’INPS alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore del ricorrente, antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 -quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis.

Così deciso in Roma, all’adunanza camerale, il 16 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2019

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