Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24450 del 30/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 30/11/2016, (ud. 14/09/2016, dep. 30/11/2016), n.24450

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24831-2013 proposto da:

C.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 9, presso lo studio dell’avvocato

PASQUALE VARONE, che lo rappresenta e difende, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

ENAV S.P.A. (già Ente Nazionale di Assistenza al Volo) C.F.

(OMISSIS);

– intimata –

Nonchè da:

ENAV S.P.A. (già Ente Nazionale di Assistenza al Volo) C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. GRAMSCI 54, presso lo

studio dell’avvocato MARINA ZELA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato DANILO VITALI, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 9, presso lo studio dell’avvocato

PASQUALE VARONE, che lo rappresenta e difende, giusta delega in

atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 9462/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/04/2013 R.G.N. 2164/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/09/2016 dal Consigliere Dott. RIVERSO ROBERTO;

udito l’Avvocato VARONE PASQUALE;

udito l’Avvocato ZELA MARINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARCELLO MATERA che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza n. 9462/2012, depositata il 24.4.2013, la Corte d’Appello di Roma respingeva l’appello principale di C.A. e quello incidentale di ENAV SPA avverso la sentenza del tribunale romano che aveva respinto tanto la domanda di impugnativa del licenziamento irrogato al C., tanto la domanda riconvenzionale di danno svolta da ENAV SPA. A fondamento della pronuncia la Corte territoriale osservava che al C. andasse applicata la normativa sui licenziamenti dirigenziali in quanto egli era un dirigente apicale e non un pseudo – dirigente; che il licenziamento intimatogli fosse giustificato in quanto doveva ritenersi responsabile di aver proposto (relazione 20.3.2000) e sollecitato (nota riservata 28.11.2000) una onerosa bonifica (mediante rimozione e successivo smaltimento) dei materiali di amianto dal vecchio edificio operativo del CRAV; proposta fondata su dati normativi inesatti e rilievi errati, in particolare avendo fatto riferimento – in contrasto con la realtà – a livelli di concentrazione di fibre di amianto notevolmente superiori a quelli consentiti dalla legge; ed evidenziato una situazione di rischio tale da richiedere interventi estremamente urgenti, in tempi ristretti, con oneri gravosi per ENAV in termini economici ed organizzativi. A fronte dell’inesattezza di tale relazione, secondo la Corte territoriale, era giustificabile il venir meno da parte dell’ENAV della fiducia riposta nel proprio dirigente che aveva presentato al datore risultati ed indagini non attendibili cui erano seguiti interventi calibrati su parametri ed esigenze difformi dalla situazione reale e di notevole impegno economico. Sosteneva inoltre la Corte che la doglianza di tardività del licenziamento, irrogato il (OMISSIS), fosse destituita di fondamento in quanto gli errori contenuti nelle suddette relazioni erano emersi solo a seguito dei controlli affidati alla soc. BIA in data (OMISSIS), la quale in data (OMISSIS) aveva ultimato le operazioni di campionamento ed analisi, dalle quali risultava il mancato superamento dei limiti stabiliti dal D.M. 6 settembre 1994.

L’appello incidentale andava invece rigettato essendo infondata la domanda riconvenzionale di ENAV SPA relativa al risarcimento dei danni subiti per aver proceduto alla bonifica dell’amianto con il metodo più costoso per colpa del dirigente; in quanto, come correttamente osservato dal tribunale, il ricorso all’equità è ammissibile solo se non si possa procedere alla quantificazione del danno per la natura dello stesso e non per la mancata offerta da parte del danneggiato degli elementi probatori necessari alla sua determinazione; in particolare mancava una comparazione tra costi sostenuti e quelli relativi alla scelta di una diversa metodologia.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso C.A. con 4 motivi. ENAV resiste con controricorso contenente ricorso incidentale basato su di un unico motivo, cui ha replicato il C. con controricorso. Le parti hanno depositate memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo il ricorso lamenta la insufficiente motivazione della sentenza laddove ha ritenuto il carattere apicale e non di pseudo dirigenza dell’incarico attribuito al C. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5); senza considerare che la disposizione organizzativa invocata dalla Corte a sostegno dell’assunto fosse successiva ai fatti contestati al C. e comunque abrogata dalla disposizione organizzativa n. 47/2002.

1.1. Il motivo è inammissibile e comunque infondato. La Corte di Appello ha sostenuto che C. fosse un dirigente apicale, posto al vertice dell’Unita Organizzativa Prevenzione e Protezione, divenuta poi Unità Operativa Prevenzione Protezione e Privacy, alle dirette dipendenze dell’amministratore delegato, senza alcuna figura intermedia rispetto alla quale si trovasse in una situazione di soggezione gerarchica, salvo il coordinamento funzionale (come si evinceva dalla disposizione organizzativa n. 9 del 2.8.2001 e dalla precedente comunicazione di servizio 639 del 23.3.2001).

Le doglianze con le quali nel ricorso si censura la motivazione della sentenza (per insufficienza, ma anche per illogicità e contraddittorietà) sulla natura apicale dell’incarico rivestito da C. sono da ritenere perciò inammissibili, posto che con la riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, avrebbero dovuto denunciare soltanto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, secondo il testo della norma risultante dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile ratione temporis alla sentenza della Corte di Appello di Roma pubblicata il 24.4.2013 e quindi successivamente al decorso di trenta giorni dalla data – 07.8.2012 – di entrata in vigore della riforma (fissato dal D.L. n. 83, art. 54, comma 3). In proposito le Sez. Unite di questa Corte, con sentenza n. 8053 del 07/04/2014, hanno affermato che: “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

1.2.- Il motivo non rispetta inoltre il requisito di specificità, in quanto omette di riportare il contenuto della comunicazione 47/2002 che avrebbe abrogato la precedente disposizione n. 9/2001, e di trascrivere il contenuto di ogni altro documento richiamato a supporto delle stesse censure; con le quali si sostiene, tra l’altro, che dopo la nomina a

Dirigente del Servizio di Prevenzione e Protezione in data 22.02.2001 il C. a seguito di disposizione organizzativa n. 3 scese di livello; senza però precisare dove, come e quando questo stesso fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti nel corso del procedimento.

1.3. A nulla rileva nemmeno se i documenti richiamati dalla Corte a supporto della propria tesi sulla natura apicale dell’incarico, fossero realmente successivi ai fatti e non confermativi della posizione già rivestita dal C.. In quanto quello che rileva nel licenziamento dirigenziale è se i fatti contestati, anche precedenti, siano tali da giustificare la risoluzione del rapporto nella sua configurazione apicale esistente all’epoca del recesso.

1.4. Per il resto il motivo si risolve in una critica di merito alla conclusione presa dai giudici (oltre tutto non conforme al principio di autosufficienza) che però non costituisce vizio denunciabile in sede di ricorso per cassazione. Infatti, lungi dal sollevare censure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente invoca una diversa valutazione dei materiali probatori che non è deducibile davanti al giudice di legittimità; limitandosi pure a denunciare come vizio della sentenza l’insufficiente motivazione che non è più denunciabile in questa sede secondo la norma sopra citata.

2.- Con il secondo motivo il ricorso deduce la violazione di legge con riferimento alla L. n. 604 del 1966, art. 10, ed alla L. n. 300 del 1970, art. 18, (art. 360, comma 1, n. 3) in quanto lo pseudo dirigente gode della tutela contro il licenziamento ed è destinatario della previsione dell’art. 7 dello statuto.

L’infondatezza di questo motivo segue il giudizio sul primo motivo, dal quale è strettamente dipendente. Nè, d’altra parte (salvo quanto si dirà circa la “tardività del licenziamento”), il ricorso propone specifici vizi di diritto in relazione alla procedura di contestazione che risulta pacificamente espletata anche nei confronti del ricorrente prima dell’intimazione del licenziamento.

3. Con il terzo motivo il ricorso propone violazione degli artt. 2118 e 2119 c.c. ed artt. 23 e 25 CCNL per il dirigente dell’ENPAV 1998-2001 (stipulato il 23 marzo 2000), in quanto, quand’anche il C. fosse da ritenere un dirigente apicale, nondimeno spetterebbe allo stesso la tutela prevista dalle norme citate che esigono la giustificatezza del licenziamento dirigenziale.

Il motivo è infondato. In realtà nessuna violazione di legge, nè di regole contrattuali può rinvenirsi nella valutazione operata dal giudice di merito; la quale risulta invece conforme alle regole ed alla giurisprudenza consolidata di questa Corte (tra le tante, Cass. 6110/2014) secondo la quale ai fini della “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, è rilevante qualsiasi motivo che lo sorregga, con motivazione coerente e fondata su ragioni apprezzabili sul piano del diritto, atteso che non è necessaria una analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro. 3.1 Nel caso in esame la valutazione di non arbitrarietà del licenziamento appare comunque giustificata, in quanto per la Corte di merito risultavano fondate le contestazioni elevate al C.: tanto con riferimento alla carenza rinvenuta nella relazione del 20.3.2000 circa l’applicazione della normativa di legge in materia di amianto; quanto in ordine alla comunicazione di dati errati sulle concentrazioni di fibre aerodisperse (poichè notevolmente superiori a quelli consentiti dalla legge, ma in realtà insussistenti), con indicazione di tempi ristretti per provvedere alle operazioni ed alla necessità di impedire l’accesso ai locali del CRAV.

4. Con il quarto motivo il ricorso deduce l’insufficiente motivazione del rigetto della censura relativa alla mancanza di tempestività del licenziamento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) perchè quando il 10 ottobre era stato comunicato il licenziamento non erano ancora noti i risultati delle analisi e i giudizi della società BIA, come si evinceva dalla nota del 7 novembre 2002; talchè le indagini condotte dalla stessa società non potevano essere state le reali fonti della contestazione di addebiti rivolta al C. e non potevano giustificare il tempo trascorso dalla commissione dei fatti al licenziamento, come invece affermato in sentenza.

4.1 Il motivo è inammissibile ed infondato. Anzitutto laddove deduce come violazione di legge una mera insufficiente motivazione nemmeno denunciabile come vizio della motivazione. In ogni caso va rilevato che la Corte d’Appello ha sostenuto che la doglianza di tardività del licenziamento, irrogato il (OMISSIS), fosse priva di fondamento in quanto gli errori contenuti nelle relazioni del C. erano emerse solo a seguito dei controlli affidati alla soc. BIA, la quale aveva ultimato le operazioni di campionamento ed analisi il (OMISSIS). In realtà tale affermazione non può risultare inficiata da quanto parzialmente riportato in ricorso ed estrapolato da una nota del 7.11.2002 indirizzata dalla soc. BIA all’ENAV; la quale, oltre a non risultare dove e quando sia stata prodotta in giudizio, nemmeno attesta che le indagini e i campionamenti di cui si discorre non fossero stati conclusi dalla soc. BIA il (OMISSIS).

4.2 In ogni caso appare pure logico che la contestazione al C. di aver operato con negligenza ed imperizia nello svolgimento del proprio ruolo (per aver sottoscritto la relazione del 20.3.2000 ed aver sottoscritto una relazione riservata in data 28.11.2000, indirizzata ai vertici dell’ENPAV, fondati su dati e valutazioni pacificamente erronei, e su cui lo stesso ricorrente non avanza contestazioni) possa essere derivata da una valutazione necessariamente postuma della sua condotta; effettuata alla luce dello sviluppo dei fatti, dell’opera di ristrutturazione del fabbricato, particolarmente onerosa per la Società in termini organizzativi ed economici (si parla di lavori per diversi miliardi delle vecchie lire); e pertanto alla stregua di indagini, campionamenti ed analisi effettuati in tale successivo e diverso contesto.

5. Il ricorrente incidentale deduce vizio di omessa motivazione con riferimento ad un fatto decisivo della controversia oggetto di contraddittorio tra le parti, perchè, nel rilevare la genericità della domanda, la sentenza impugnata non aveva valutato la presenza di elementi di prova validi sulla certezza del pregiudizio economico subito dall’ENAV per fatto e colpa del C. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

5.1 Il motivo è infondato. Anche a giudizio della Corte territoriale la domanda riconvenzionale relativa al risarcimento dei danni pretesi da ENAV per aver proceduto alla bonifica dell’amianto con il metodo più costoso, per colpa del dirigente, non poteva essere accolta, in quanto, come osservato dal tribunale, il ricorso all’equità sarebbe ammissibile solo se non si possa procedere alla quantificazione del danno per la natura dello stesso e non per la mancata offerta da parte del danneggiato degli elementi probatori necessari alla sua determinazione.

5.2. In particolare, per la Corte mancava una necessaria comparazione tra i costi sostenuti e quelli relativi alla scelta di una diversa metodologia; in quanto non erano stati indicati. Ciò equivale a dire che, secondo la Corte, a prescindere dall’esistenza della condotta negligente addebitata al C., non esistesse prova non solo del quantum, ma nemmeno dell’an dei pretesi danni; perchè appunto non era stata correttamente dedotta alcuna comparazione di costi (tra i diversi metodi di bonifica, più costosi e meno costosi). La stessa domanda di danni, secondo i giudici di merito, era perciò generica; mentre non poteva costituire prova del danno la lievitazione della spesa messa in preventivo dall’ENPAV. Anche a tale proposito, deve ritenersi corretta la valutazione operata dalla Corte d’appello, laddove ha considerato generico il richiamo a delibere, che dimostrerebbero il lievitare della spesa da Lit. Euro 5.376.000.000 a 7.368.205.754 con una differenza di Lit. 1.992.205.754; in quanto tale lievitazione non può ritenersi prova univoca dell’esistenza di un danno e della sua correlazione causale con il comportamento ascritto al C..

6. Le considerazioni sin qui svolte impongono dunque di rigettare sia il ricorso principale, sia quello incidentale.

7. Le spese processuali vanno compensate in ragione della reciproca soccombenza.

8. Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater per il versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ed indicidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2016

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