Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24450 del 21/11/2011

Cassazione civile sez. III, 21/11/2011, (ud. 06/10/2011, dep. 21/11/2011), n.24450

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1340/2007 proposto da:

C.G. (OMISSIS) in proprio, C.

M., D.P.D., C.G. quali eredi

legittimi di C.S., elettivamente domiciliati in

R0MA, VIA RUFFINI 2/A, presso lo studio dell’avvocato RACCUGLIA

TOMMASO, rappresentati e difesi dagli avvocati SPASARI Domenico,

IANNELLO GIUSEPPE giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

Z.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 111, presso lo studio dell’avvocato

SCIOSCIA GIUSEPPE, rappresentata e difesa dall’avvocato VECCHIO

Salvatore giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

Z.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 979/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 28/12/2005, R.G.N. 203/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2011 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 12 ottobre 2000 il Tribunale di Vibo Valentia dichiarava la responsabilità concorrente nella percentuale del 58% del conducente del trattore C.S. nella causazione del sinistro verificatosi il (OMISSIS) nel quale Z.D., all’epoca, anche si alcuni mesi, minorenne, a bordo del motociclo Cagiva, era stato coinvolto perchè investito dal trattore di proprietà di C.G., riportando gravi lesioni.

Il C.G. e il C.S. venivano condannati al pagamento a titolo risarcitorio di Euro 617.707.751, oltre interessi, rivalutazione e spese di lite.

Su gravame di C.G. in proprio e D.P. D., C.G. e C.M., eredi legittimi di C.S., deceduto il (OMISSIS), ovvero dopo la sentenza di primo grado, e proposto e notificato a Z.C., in qualità di genitore esercente la potestà sul figlio D., la Corte di appello di Catanzaro il 28 dicembre 2005 ha dichiarato inammissibile l’appello e ha compensato integralmente le spese del grado.

Avverso siffatta decisione propongono ricorso per cassazione gli originari appellanti, affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso Z.D..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.-Osserva il Collegio che la questione centrale del ricorso è data dal primo motivo, di natura esclusivamente processuale, attesa la declaratoria di inammissibilità dell’appello da parte del giudice a quo.

Infatti, con il primo motivo (violazione e falsa applicazione di legge in relazione al comb. disp. degli artt. 85, 157, 300, 301 c.p.c., art. 320 c.c., artt. 1398, 1399 c.c., omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia) e con il secondo, i ricorrenti sottopongono al Collegio la questione di diritto ed, ovvero se essi avrebbero dovuto proporre e notificare l’appello al soggetto ormai divenuto maggiorenne, che in sede di appello era intervenuto per sostenere l’inammissibilità dell’appello, che invece era stato notificato al padre Z. C..

Per il vero, i ricorrenti chiedono di rispondere al detto quesito, precisando che vi era stata costituzione di un nuovo difensore nel corso del giudizio di primo grado con conferimento dello jus postulandi da parte del padre Z.C. quando, però, il figlio era divenuto maggiorenne.

Infatti, all’udienza del 12 marzo 1990, in sostituzione dei procuratori dello Z.C., che avevano rinunciato al mandato, si era costituito un nuovo difensore, la cui procura gli era stata conferita dal C., padre del D., quest’ultimo divenuto maggiorenne, essendo nato il (OMISSIS).

L’appello contro la sentenza di primo grado del 12 ottobre 2000 fu proposto e notificato a Z.C., genitore del D., divenuto maggiorenne – circostanza nota.

2.-Ciò rilevato, osserva il Collegio che il difetto di legittimazione del genitore, che agisca in giudizio in rappresentanza del figlio non più soggetto a potestà per essere divenuto maggiorenne, può essere sanato in qualunque stato e grado del giudizio, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti per effetto della costituzione in giudizio di quest’ultimo, perchè la procura originariamente conferita dal genitore al difensore è solo un atto inefficace e non anche invalido per vizi formali o sostanziali attinenti a violazione degli artt. 83 e 125 c.p.c. (Cass. n. 23291/04).

Nella specie, intervenendo in appello e concludendo in modo conforme alle conclusioni del padre anche nel merito, il D. ha manifestato in modo non equivoco la propria volontà di sanatoria.

3. – Superata questa parte della questione di cui al ricorso e che, per incidens va detto non ha formato oggetto di esame da parte del giudice dell’appello, passando alla questione di diritto di cui si è occupata la sentenza impugnata e su cui, in definitiva, si incentra l’attuale impugnazione, va detto che il giudice dell’appello, conformandosi alla decisione delle S.U. di questa Corte, che riporta, n. 15783/05, trattandosi di processo pendente alla data del 30 aprile 2005, ha avuto modo di statuire che, essendo stato l’atto di appello erroneamente proposto e notificato nei confronti di Z.C. in qualità di genitore esercente la potestà sul figlio D., divenuto, invece, maggiorenne, l’appello andava dichiarato inammissibile.

Peraltro, il giudice a quo rilevava che l’intervento nel giudizio del D. ai fini della sanatoria del vizio sanante la individuazione erronea della parte nei cui confronti andava esercitato il potere impugnatorio, stante l’art. 164 c.p.c., vecchio testo, all’epoca previgente, non spiegava l’effetto richiesto dagli attuali ricorrenti (p. 11-12 sentenza impugnata).

A fronte di questo argomentare il Collegio osserva quanto segue.

4.-Le Sezioni Unite di questa Corte con la sent. n. 15783/05 (seguita da Cass. n. 23082/05; Cass. n. 3455/07; Cass. n. 4345/10; Cass. n. 6346/11, che tutte riprendono il solo principio di diritto in quella del 2005 chiaramente espresso) hanno affermato, tra l’altro, che dall’art. 328 c.p.c., si desume la volontà del legislatore di adeguare il processo di impugnazione alle variazioni intervenute nelle posizioni delle parti, sia ai fini della notifica della sentenza che della impugnazione, con piena equiparazione, a tali effetti, tra l’evento verificatosi dopo la sentenza e quello intervenuto durante la fase attiva del giudizio e non dichiarato nè notificato.

Alla luce di questa norma il giudizio di impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati.

Tuttavia, il dovere di indirizzare la impugnazione nei confronti dell’unico soggetto effettivamente legittimato resta subordinato alla conoscenza o alla conoscibilità dell’evento secondo criteri di normale diligenza da parte del soggetto che propone la impugnazione, essendo tale interpretazione l’unica compatibile con la garanzia costituzionale del diritto di difesa (art. 24 Cost.).

Ciò statuito, le Sezioni Unite hanno ritenuto che l’esigenza di tutela della parte incolpevole non si pone in ogni caso rispetto alla ipotesi del raggiungimento della maggiore età nel corso del processo, in quanto tale raggiungimento non costituisce un evento imprevedibile, ma, al contrario, un accadimento inevitabile nell’an ed agevolmente riscontrabile nel quando.

4.-Su questa statuizione la sentenza impugnata ha fondato la sua declaratoria di inammissibilità.

In merito, osserva il Collegio che va tenuto fermo il principio delle Sezioni Unite, riaffermato dalla successiva giurisprudenza, ma che, in relazione alla ricostruzione della vicenda, come si rinviene nella sentenza ora soggetta a ricorso, si pone l’ulteriore problema di un contemperamento tra gli effetti di un errore che poteva essere evitato in quanto dagli atti del processo emergeva il raggiungimento medio tempore della maggiore età e quale effetto debba attribuirsi, anche alla luce del giusto processo, alla costituzione tardiva della parte interessata, secondo il vecchio testo dell’art. 164 c.p.c., all’epoca vigente.

Al riguardo, non va trascurato che la Corte costituzionale, pur dichiarando inammissibile la questione che coinvolgeva l’art. 164 c.p.c., testo vigente all’epoca del presente giudizio, ha affermato, tra l’altro, che l’art. 24 Cost. è fonte diretta di regolamentazione dei rapporti giuridici (Corte cost. ord. n. 27/00) e questa affermazione trova puntuale riscontro nell’art. 111 Cost., comma 1 (già entrato in vigore nella fase di appello della controversia), che è espressamente orientato nella sua ratio a vedere nel gioco processuale i reali portatori degli interessi in gioco.

Sono essi che con la loro condotta si conformano o colmano eventuali lacune o contrastano eventuali, altrui esigenze.

In altri termini, in virtù dei parametri costituzionali nettamente precettivi, non è più sufficiente l’acquisizione o il riconoscimento formalistico delle posizioni soggettive, ma è necessario che la prima o il secondo siano connotati da concretezza al fine di produrre un giudizio che effettivamente attinga e contemperi gli interessi azionati.

E ciò sotto l’aspetto soggettivo, mentre sotto quello della sistematica e delle vicende dell’atto processuale, che pure assume rilievo perchè in questa sede si discute della sua valida o meno proposizione e valida o meno notificazione, a parere del Collegio, è opportuno rilevare che in via generale l’efficacia sanante di un atto invalido (nella specie, di natura processuale) sia un principio immanente dell’ordinamento, in quanto strettamente connesso al principio di conservazione di ogni atto giuridico, e sia ispirato ad una visione, ormai positivizzata a livello costituzionale (art. 111 Cost., comma 1), che rafforza la finalità con cui nel codice di procedura civile sono indicate le norme in tema di esatta individuazione del soggetto processuale, che è chiamato ad assumere la veste di parte nel giudizio.

Si può affermare, quindi, che, alla luce del c.d. giusto processo, la voluntas legis circa le ipotesi anche giurisprudenziali di sanabilità, per quanto possibile, di un atto invalido, deve essere interpretata nel senso che il legislatore, ormai, ha superato una visione formalistica del contraddittorio, intervenendo su di esso con la prospettiva di assicurare, avanti al giudice, che esso si svolga tra le parti che effettivamente dimostrino di avervi interesse e che al riguardo non è più rilevante la astratta conoscibilità o non conoscibilità della instaurazione del giudizio, qualora si verifichi la avvenuta, effettiva conoscenza da parte del soggetto erroneamente pretermesso della vicenda processuale che lo interessa.

Peraltro, in un caso analogo, questa Corte ha avuto modo di puntualizzare che, ferma restando la piena adesione al dictum della Sezioni Unite, che avevano ritenuto, in concreto un errore non scusabile la notifica anzichè al soggetto divenuto maggiorenne, bensì ai genitori, suoi rappresentanti legali all’epoca della instaurazione del giudizio, la ratio delle norme dettate in tema di esatta individuazione del soggetto processuale, destinato ad assumere la veste di parte nel giudizio, sia quella di garantire al medesimo la conoscenza (o la conoscibilità) della potenziale instaurazione di un giudizio civile a suo carico.

Questa ratio resta senz’altro soddisfatta se al requisito della sola legale conoscibilità si sostituisce quella (attestata dalla costituzione in giudizio) della avvenuta, effettiva conoscenza da parte dell’interessato della vicenda processuale che lo riguarda (Cass. n. 8930/06, in motivazione).

Ciò perchè, per quanto già sopra considerato, ormai il giudizio non può non svolgersi tra i soggetti effettivamente titolari delle esigenze in palio.

Nel caso in esame, lo Z.D., con il suo intervento in appello, concludendo in modo conforme alle conclusioni del padre C., eccepì la inammissibilità dell’appello e, in subordine, salvo gravame, richiese di dichiarare che l’appello stesso era infondato in fatto e in diritto (v. conclusioni riportate in epigrafe alla sentenza impugnata). Con il che, lo Z.D. ha dimostrato, chiaramente ed in modo inequivoco, che egli fosse a conoscenza della instaurazione del giudizio in grado di appello, sanando, così, l’errore di introduzione e di notificazione del relativo atto di citazione.

L’accoglimento del primo motivo, rende assorbiti gli altri e comporta la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla stessa Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri;

cassa e rinvia la sentenza impugnata alla Corte di appello di Catanzaro in diversa composizione per un nuovo giudizio e che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2011

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