Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2445 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/02/2020, (ud. 09/10/2019, dep. 04/02/2020), n.2445

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23231-2017 proposto da:

I.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE ACACIE

13-15, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO DI GENIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato ROSARIO GUGLIELMOTTI;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati NICOLA

VALENTE, EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULII, MANUELA MASSA;

– controricorrente –

contro

MINISTIARO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 245/2017 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 03/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa DORONZO

ADRIANA.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza depositata il giorno il 3/4/2017, la Corte d’appello di Salerno, in parziale accoglimento del ricorso in riassunzione proposto da I.D., a seguito della cassazione con rinvio della sentenza resa dalla stessa Corte in data 12/2/2009, ha dichiarato la I. invalida civile con totale e permanente inabilità lavorativa a far tempo dal 1/11/2007 e ha condannato l’Inps al pagamento della pensione di inabilità con decorrenza dal 28 giugno 2013;

a fondamento della decisione, la Corte territoriale – dopo aver ribadito la sussistenza del requisito sanitario, come già riconosciuto dalla precedente sentenza d’appello, a far data dal 1/11/2007 -, ha afffermato che la prestazione poteva essere erogata solo dal 28 giugno 2013, giacchè solo da tale data risultava provato il mancato superamento del limite reddituale per il riconoscimento della pensione, avuto riguardo esclusivamente al reddito dell’istante;

nel periodo precedente, invece, in particolare per gli anni 2006-2007 quando non era ancora in vigore il D.L. 28 giugno 2013, n. 76, art. 10, comma 5, convertito in L. 9 agosto 2013, n. 99, – a norma del quale, ai fini dell’accertamento della sussistenza del requisito reddituale per l’attribuzione della pensione di inabilità in favore dei mutilati e degli invalidi civili, deve tenersi conto del solo reddito imponibile ai fini Irpef dell’interessato, con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare -, vi era prova che il reddito dell’istante, cumulato con quello del coniuge, superava il limite previsto per il riconoscimento della prestazione, mentre per gli anni successivi non vi era prova che tale reddito fosse stato inferiore sì da rientrare nei limiti indicati dalla legge ai fini della retrodatazione del beneficio;

contro la sentenza la I. propone ricorso per cassazione, sostenuto da due motivi, cui resiste l’Inps con controricorso;

la proposta del relatore è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

i motivi di ricorso sono due: a) violazione e falsa applicazione della L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 12,L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 26 e del D.L. 28 giungo 2013, n. 76, art. 10, convertito in L. 9 agosto 2013, n. 99, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; b) violazione e falsa applicazione degli artt. 112,91 e 92 c.p.c., nonchè insufficiente motivazione;

con il primo motivo la ricorrente assume che la sentenza rescindente di questa Corte (n. 5449/2016) aveva già accertato il suo diritto al godimento della prestazione sin dal 2007 e che erroneamente la Corte territoriale aveva ancorato la decorrenza della pensione all’entrata in vigore dello ius superveniens, costituito dal citato D.L. n. 76 del 2013, art. 10, comma 5: al riguardo, precisa che dalla certificazione reddituale depositata in giudizio e relativa agli anni dal 2007 al 2015 si evinceva il mancato superamento della soglia di reddito;

il motivo, al di là della inammissibilità palese, dal momento che la parte non trascrive nè deposita le dichiarazioni reddituali da cui dovrebbe evincersi il mancato superamento del limite previsto per il riconoscimento della prestazione, è manifestamente infondato, avendo la Corte territoriale fatto piana applicazione del principi() di diritto enunciato nella sentenza rescindente, secondo cui “lo ius superveniens costituito dal D.L. 28 giugno 2013, n. 76, art. 10, comma 5, conv. nella L. 9 agosto 2013, n. 99 (intervenuto a modificare il D.L. 30 novembre 1979, n. 663, art. 14-septies, conv. nella L. 29 febbraio 1980, n. 33), a norma del quale, ai fini dell’accertamento della sussistenza del requisito reddituale per l’attribuzione della pensione di inabilità in favore dei mutilati e degli invalidi civili, deve tenersi conto del solo reddito imponibile ai tini Irpef dell’interessato, con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare, trova applicazione, ai sensi del citato art. 10, comma 6, anche ai procedimenti giurisdizionali non ancora conclusi con sentenza definitiva alla data di entrata in vigore della nuova normativa, ove abbia ad oggetto appunto il riconoscimento della pensione di inabilità a decorrere dalla medesima data”;

la norma costituisce disposizione innovativa e non retroattiva, come si evince dal suo stesso tenore letterale, nella parte in cui si precisa che il diritto alla pensione, sulla base dei nuovi requisiti stabiliti, decorrerà solo dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione, e cioè il 28.6.2013 (cfr. per tutte Cass. ord. 11/12/2014, n. 26120);

di recente è stato affermato, in continuità con tale indirizzo (Cass. 27/5/2019, n. 14415) che: “Come chiarito in varie pronunzie di questa Corte (ord. n. 27812 del 2013, n. 28565 del 2013 cui ne sono succedute numerose altre), con tale previsione il legislatore ha inteso definire un nuovo regime reddituale senza, tuttavia, pregiudicare le posizioni di tutti quei soggetti che avendo presentato domanda nella vigenza della precedente normativa (da interpretarsi nei termini più sopra riportati) non avessero ancora visto la definizione in sede amministrativa del procedimento ovvero fossero parti di un procedimento giudiziario ancora sul) indice. Quasi a ribadire il suo carattere innovativo, poi, la norma precisa che il diritto alla pensione, sulla base dei nuovi requisiti stabiliti, decorrerà solo dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione (28.6.2013) e soggiunge che non possono essere pagati importi arretrati sulle prestazioni riconosciute precisando quindi che, ove tale pagamento sia già intervenuto, le somme erogate non sono comunque recuperabili purchè il loro riconoscimento sia intervenuto prima della data di entrata in vigore del nuovo requisito reddituale e risulti comunque rispettoso dello stesso”;

la corte territoriale ha fatto piana applicazione di questi principi, con la conseguenza che il motivo all’esame deve essere rigettato;

il secondo motivo – con il quale la parte si duole della compensazione delle spese del giudizio in assenza di motivazione – è, del pari, manifestamente infondato;

il ricorso introduttivo del giudizio risale, come risulta dalla sentenza impugnata, all’11/5/2005, sicchè ratiere temporú trova applicazione il disposto dell’art. 92 c.p.c. nel testo precedente alla riforma introdotta nella L. 28 dicembre 2005, n. 263, che così recitava: “se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, giudice può compensare, parzialmente o per intero 11e spese tra le parti”;

in quel regime, non era necessario che le ragioni della compensazione fossero esplicitate nella motivazione;

peraltro, dal complessivo tenore della sentenza si evincono le ragioni della compensazione, costituite dall’accoglimento solo parziale della domanda, in ragione della decorrenza differita della prestazione, ipotesi quest’ultima che configura la parziale soccombenza, o la soccombenza reciproca (Cass. 21/12/2016, n. 26565; Cass. 07/12/2018, n. 31783);

il ricorso deve pertanto essere rigettato; nessuna pronuncia deve adottarsi in ordine alle spese del presente giudizio stante la dichiarazione resa dalla parte ricorrente sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c.; sussistono invece presupposti processuali per il versamento, da parte della stessa, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 9 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 4 febbraio 2020

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