Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2445 del 04/02/2014
Civile Sent. Sez. 2 Num. 2445 Anno 2014
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: MIGLIUCCI EMILIO
SENTENZA
sul ricorso 6128-2008 proposto da:
LEONE MARIA TERESA C.F.LNEMTR50M66D332J, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA ORBITELLI 31, presso lo
studio dell’avvocato RIBALDONE MARIA ELENA, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato VITERBO
ALFREDO;
– ricorrente contro
BELLINI FRANCESCA C.F.BLLFNC76T48D332Q, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DI PIETRALATA 320-D, presso
lo studio dell’avvocato MAZZA RICCI GIGLIOLA, che la
Data pubblicazione: 04/02/2014
rappresenta e difende unitamente all’avvocato FUHRMANN
ANDREA;
– controricorrente
–
avverso la sentenza n. 22/2007 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 08/01/2007;
udienza
del 12/12/2013
dal Consigliere Dott. EMILIO
MTgLTUCCT;
udito
l’Avvocato
Martino
Giovanna
con
delega
depositata in udienza dell’Avv. Ribaldone Maria Elena
difensore della ricorrente che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avv. Mazza Ricci Gigliola difensore della
controricorrente che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
l.- Con sentenza del 15 gennaio 2005
il tribunale di Novara
sez. distaccata di Borgomanero rigettava la domanda con la quale Maria
Teresa Leone aveva chiesto l’annullamento, per incapacità di intendere e
nel 1995 aveva venduto alla convenuta Francesca Bellini il fabbricato
con annesso terreno sito in Domodossola via Gentinetta n.20.
Con sentenza dep. l’
g
Sennaio 2007 la Corte di appello di Torino
rigettava l’impugnazione proposta dall’attrice.
Nel disattendere le censure sollevate avverso la decisione di primo
grado, i Giudici evidenziavano che : secondo il tribunale, non era stata
raggiunta la prova dello stato di incapacità dell’attrice, atteso il
contrasto fra le deposizioni dei testi escussi; il Giudice di primo grado
aveva esaminato le circostanze, invocate dall’attrice a sostegno della
sua tesi, disattendendo le valutazioni al riguardo compiute dalla parte;
aveva considerato quanto riferito dal consulente tecnico di ufficio,
nominato nel giudizio di inabilitazione della Darioli, evidenziando come
l’ausiliario nessun giudizio era stato in grado di formulare sulle
condizioni della predetta nel 1995 mentre quel procedimento aveva
comunque portato all’inabilitazione e dunque non era stato accertato uno
stato di incapacità particolarmente grave da giustificare l’annullamento
del contratto.
Era ancora escluso che fossero emersi elementi tali da fornire la prova
della malafede dell’acquirente.
2.- Avverso tale decisione Maria Teresa Leone ha proposto ricorso per
di volere della madre Ida Darioli, del contratto con cui quest’ultima
cassazione notificato il 21 febbraio 2008 sulla base di cinque motivi.
Ha resistito con controricorso l’intimata, facendo presente che in
precedenza, il 14-1-2008, avverso la stessa sentenza le era stato
notificato da parte della Leone altro e identico ricorso per cassazione:
dalla Cassazione con ordinanza dell’8 gennaio 2009 che ne ha dichiarato
l’improcedibilità.
La resistente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La declaratoria di improcedibilità del precedente ricorso, essendo
intervenuta successivamente alla proposizione del presente ricorso, non
preclude l’esame del presente ricorso che, sotto il profilo in esame,
va ritenuto ammissibile. Ed invero, nel caso in cui una sentenza sia
stata impugnata con due successivi ricorsi per cassazione, il primo dei
quali non sia stato depositato o lo sia stato tardivamente dal
ricorrente, è ammissibile la proposizione del secondo, anche qualora
contenga nuovi e diversi motivi di censura, purché la notificazione dello
stesso abbia avuto luogo nel rispetto del termine breve decorrente dalla
notificazione del primo, e l’improcedibilità di quest’ultimo non sia
stata ancora dichiarata, dal momento che la mera notificazione del primo
ricorso non comporta la consumazione del potere d’impugnazione. Peraltro,
all’ammissibilità del secondo ricorso non osta nemmeno la contestuale
declaratoria d’improcedibilità del primo che abbia avuto luogo su
iniziativa del controricorrente, il quale abbia sopperito al mancato
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quest’ultimo ricorso, iscritto a ruolo dalla intimata, è stato deciso
deposito dell’originale del ricorso, provvedendo ad allegare la copia a
lui notificata.
2.- I primi tre motivi, i quali denunciano congiuntamente violazioni
di legge e vizi di motivazione, sono inammissibili ai sensi dell’art. 366
ratione tegporis applicabile, secondo cui i motivi del ricorso per
cassazione devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità (art.
375 n.5 cod. proc. civ.,) dalla formulazione di un
esplicito quesito di
diritto nei casi previsti dall’art.360 primo comma
n.1),2),3),4) cod.
proc. civ.,e qualora
il vizio sia denunciato anche ai sensi dell’art.
360 n. 5 cod. proc. civ., l’illustrazione di ciascun motivo deve
contenere , a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto
controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza
della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.
Al riguardo va ricordato che, nel caso di violazioni denunciate ai sensi
dell’art. 360 n.1),2),3),4) cod. proc. civ., secondo il citato art. 366
bis, il motivo deve concludersi con la separata e specifica formulazione
di un esplicito quesito di diritto, che si risolva in una chiara sintesi
logico-giuridica
della questione sottoposta al vaglio del giudice di
legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa
od affermativa
che ad esso si dia, discenda in modo univoco
l’accoglimento od il rigetto del gravame
(SU 23732/07): non può,
infatti, ritenersi sufficiente il fatto che il quesito di diritto possa
implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso né che
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bis cod. proc. civ., introdotto dall’art. 6 del d.lgs. n. 40 del 2006,
esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di
diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie,
perchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione
tacita della norma di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ.,secondo cui
individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la
questione di diritto che la Corte è chiamata a risolvere
nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al
decreto legislativo n. 40 del 2006,oltre all’effetto deflattivo del
carico pendente, aveva inteso valorizzare,secondo quanto formulato in
maniera esplicita nella Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. l, comma
2, ed altrettanto esplicitamente ripreso nel titolo stesso del decreto
delegato soprarichiamato. In tal modo il legislatore si era proposto
l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per
violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui
essi debbono corrispondere, giacchè la formulazione del quesito di
diritto risponde all’esigenza di verificare la corrispondenza delle
ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità,
inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati.
In effetti,la ratio ispiratrice dell’art. 366 bis cod. proc. civ. era
quella di assicurare pienamente la funzione, del tutto peculiare, del
ricorso per cassazione,che non è solo quella di soddisfare l’interesse
del ricorrente ad una corretta decisione di quella controversia ma anche
di enucleare il corretto principio di diritto applicabile in casi simili.
Pertanto, il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ.
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è,invece, necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad
deve comprendere l’indicazione sia della “regula iuris” adottata nel
provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente
assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del
primo. Ne consegue che il quesito deve
costituire la chiave di lettura
rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in
quanto tale, suscettibile -come si è detto – di ricevere applicazione in
casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha
pronunciato la sentenza Impugnata (S.U.3519/2008).
Analogamente a quanto è previsto per la formulazione del quesito di
diritto nei casi previsti dall’art.360 primo comma n.1),2),3),4) cod.
proc. civ., nell’ipotesi in cui il vizio sia denunciato ai sensi
dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., la relativa censura deve contenere,
un momento di sintesi
(omologo del quesito di diritto),separatamente
indicato in una parte del ricorso a ciò specificamente deputata e
distinta dall’esposizione del motivo,che
ne circoscriva puntualmente i
limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione
del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità ( S.U.20603/07),In
tal caso,l’illustrazione del motivo deve contenere la indicazione del
fatto controverso con la precisazione del
vizio del procedimento logico-
giuridico che,incidendo nella erronea ricostruzione del fatto,sia stato
determinante della decisione impugnata. Pertanto,non è sufficiente che il
fatto controverso sia indicato nel motivo o possa desumersi dalla sua
esposizione. La norma aveva evidentemente la finalità di consentire la
verifica che la denuncia sia ricondotta nell’ambito delle attribuzioni
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delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di
conferite dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.al giudice di legittimità,
che deve accertare la correttezza dell’iter logico-giuridico seguito dal
giudice esclusivamente attraverso l’analisi del provvedimento
impugnato,non essendo compito del giudice di legittimità quello di
l’esame e la valutazione delle risultanze processuali che non sono
consentiti alla Corte, ad eccezione dei casi in cui essa è anche giudice
del fatto. Si era, così, inteso precludere l’esame di ricorsi che,
stravolgendo il ruolo e la funzione della Corte di Cassazione,
sollecitano al giudice di legittimità un inammissibile riesame del
merito della causa.
Nella specie, i motivi : a) propongono congiuntamente censure aventi ad
oggetto violazione di legge e vizi della motivazione,e ciò costituisce
negazione della regola di chiarezza posta dalla norma citata (nel senso
che ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto
controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa ovvero
delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la
rende inidonea a giustificare la decisione) giacché si affida alla Corte
di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi la
parte concernente il vizio di motivazione, che invece deve avere una
autonoma collocazione (cfr.Cass 9470/2008);
b) non formulano il quesito di diritto né il momento di sintesi con la
indicazione del fatto controverso e del vizio di motivazione.
3.- Il quarto motivo (violazione e falsa applicazione degli artt.115,
116, 310 e 338 cod.proc. civ., 431 cod. civ.
nonché omessa,
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controllare l’esattezza o la corrispondenza della decisione attraverso
insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo) censura
la sentenza impugnata per avere escluso lo stato di incapacità della
Darioli sulla base della sentenza di inabilitazione del tribunale di
Verbania senza considerare che quella decisione era stata appellata e nel
contendere per la morte della predetta : la Corte non avrebbe potuto
attribuire alcun valore a quella decisione che era affetta da errori che
la Corte di appello avrebbe dovuto rilevare.
Formula il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte di Cassazione se il
Giudice possa trarre argomenti di prova dal dispositivo di una sentenza
di inabilitazione pronunciata in un procedimento di poi estinto con
sentenza di per cessazione della materia del contendere nel grado di
appello. Dica la Corte se può essere data rilevanza probatoria ad una
Consulenza Tecnica di Ufficio che ha dichiarato in altro procedimento che
il soggetto esaminato dovesse essere Interdetto”.
4. Il motivo va disatteso.
La sentenza ha formulato il giudizio circa le condizioni mentali della
Darioli attraverso la complessiva valutazione delle risultanze
processuali emerse : dopo avere evidenziato che le contrastanti
deposizioni testimoniali non avevano consentito di ritenere raggiunta la
prova dell’incapacità (della quale era evidentemente gravata l’attrice),
ha in particolare escluso che l’indagine compiuta dal dr. Oddone nel
giudizio conclusosi con la sentenza di inabilitazione avesse fornito
elementi utili, posto che gli accertamenti compiuti erano stati
•
effettuati nel 1997 e lo stesso consulente aveva dichiarato di non essere
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giudizio di gravame era stata dichiarata la cessazione della materia del
in grado di formulare alcuna valutazione sulle condizioni della donna
nel 1995; il riferimento alla sentenza che aveva dichiarato l’
inabilitazione anziché l’ interdizione, a conferma di quanto emerso, non
è stato un elemento decisivo nel convincimento al quale sono pervenuti i
Orbene, il motivo appare inammissibile, oltrechè
per la congiunta
proposizione di violazione di legge e vizi della motivazione :
a) perché si risolve nella censura di un accertamento di fatto (quello
compiuto dai Giudici sulle condizioni mentali della Darioli), che è
incensurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione
deducibile ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., che peraltro
deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che
va verificato in base al
solo
esame del
contenuto
del
provvedimento
impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della
valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito
rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti
pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360 n. 5 citato, la ( dedotta
) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione
soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa
lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra
nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è
sottratta al controllo di legittimità della Cassazione.
Le critiche formulate dalla ricorrente non sono idonee a scalfire la
correttezza e la congruità dell’iter
logico giuridico
seguito dalla
sentenza, posto che, per quel che si è detto, la sentenza ha posto a base
8
I
Giudici.
del suo convincimento la valutazione del complessivo materiale probatorio
che non è inficiato dalle censure formulate con il motivo.
b) in relazione all’oggetto della censura di cui si è detto, il motivo si
sarebbe dovuto concludere, piuttosto che con il quesito di diritto, con
del percorso argomentativo della sentenza – il nesso di causalità fra
l’errore in cui essa sarebbe incorsa e la decisione : onere che non è
stato soddisfatto dalla ricorrente che si è limitata ad affermare
l’erronea valutazione della sentenza di inabilitazione senza fare alcun
riferimento a quella che è stata l’effettiva ratio
decidendi
della
sentenza impugnata
5.- Il quinto motivo (violazione degli artt. 428 e 2727 cod. civ. nonché
insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo) censura
la sentenza laddove aveva escluso la mala fede dell’acquirente osservando
che la stessa può essere provata anche con presunzioni che nella specie
erano ricavabili dal rapporto di parentela fra la venditrice e la nipote.
Formula il seguente quesito di diritto:
il rapporto di stretta
familiarità e,
“Dica /a Corte di Cassazione se
quindi di reciproca conoscenza
età e di stato di salute tra l’acquirente ed il venditore possa
costituire un indizio rilevante e certo al fine di configurare la
ricorrenza del requisito della mala fede rilevante ai sensi dell’art. 421
6.- Il motivo è inammissibile: a) in primo luogo, l’ esclusione della
incapacità comporta che non sussistono neppure i presupposti per
sostenere la mala fede dell’acquirente che consiste nella consapevolezza
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il momento di sintesi da formulare in modo da dimostrare – alla luce
dello stato di incapacità del venditore; b) il quesito non pone alcuna
questione di diritto nei termini di cui si è detto prima ma si risolve
nella richiesta di riesame del merito della controversia, sollecitando da
parte della Corte di Cassazione la valutazione delle risultanze
Il ricorso va rigettato. Le spese della presente fase vanno poste a
carico della ricorrente, risultata soccombente
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore della resistente delle
• spese relative alla presente fase che liquida in euro 6.700,00 di cui
euro 200,00 per esborsi ed euro 6.500,00 per onorari di avvocato oltre
accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12
Il Cons. estensore
ambre
processuali, che è evidentemente sottratto al controllo di legittimità.