Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2445 del 02/02/2011

Cassazione civile sez. II, 02/02/2011, (ud. 13/01/2011, dep. 02/02/2011), n.2445

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Avv. F.P.P., rappresentato e difeso da se

medesimo, elettivamente domiciliato nello studio dell’Avv. Massimo

Cucci in Roma, Via Clodia, n. 76/A;

– ricorrente –

contro

PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI MILANO;

– intimata –

e contro

C.A.;

– intimato –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

temporis, rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della Corte d’assise d’appello di Milano in data

17 luglio 2007.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 13

gennaio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per la notifica

all’Avvocatura generale dello Stato e, in subordine, per il rigetto

del ricorso.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

L’Avv. F.P.P. ha proposto opposizione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, artt. 84 e 170 (T.U. disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), contro il decreto di liquidazione del compenso emesso in suo favore per l’attività di difensore di imputato – C.A. – ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

Per quanto qui ancora rileva, l’opponente si è doluto del mancato riconoscimento dell’aumento previsto dall’art. 1, comma 2, della tariffa penale, approvata con il D.M. 8 aprile 2004, n. 127, che consente di quadruplicare il compenso per le cause che richiedono un particolare impegno.

Il giudice della Corte d’assise d’appello di Milano ha rigettato l’opposizione con ordinanza in data 17 luglio 2007.

Il giudice ha rilevato che il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82, nel disporre che le competenze spettanti al difensore per l’attività difensiva svolta in regime di patrocinio a spese dello Stato devono essere liquidate “osservando la tariffa professionale in modo che, in ogni caso, non risultino superiori ai valori medi delle tariffe professionali vigenti relative ad onorari, diritti ed indennità, tenuto conto della natura dell’impegno professionale, in relazione all’incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa”, stabilisce una soglia massima inderogabile, all’interno del quale va in concreto effettuata la determinazione dei compensi spettanti al difensore, in ragione, appunto, della natura dell’impegno professionale e dell’attività defensionale in concreto svolta.

Per la cassazione dell’ordinanza del giudice della Corte d’assise il F.P. ha proposto ricorso, con atto notificato il 5 ed il 6 ottobre, sulla base di due motivi.

Il Ministero dell’economia e delle finanze ha resistito con controricorso, mentre gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82, sui “valori tariffari medi”) si chiede a questa Corte di stabilire “se nella valutazione per la liquidazione dei compensi al difensore in gratuito patrocinio la disposizione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82, comma 1, debba riferirsi ai valori medi delle tariffe professionali tenuto conto della natura dell’impegno professionale, ciò in relazione al fatto che non sia stato liquidato l’onorario entro tale limite”.

1.1. – Il motivo – con cui in sostanza si contesta come nell’ordinanza impugnata “alla puntuale enunciazione del principio di diritto” “non corrisponda un’altrettanto corretta applicazione al caso concreto” – è inammissibile.

Con esso, infatti, il ricorrente, nel dolersi della valutazione compiuta dal giudice del merito nello stabilire il valore medio della tariffa professionale, articola una doglianza generica, perchè priva di contenuti di effettiva critica alla giustificazione della decisione impugnata (in particolare, nella parte in cui si lamenta che il giudice della Corte d’assise d’appello non avrebbe adeguatamente valutato la complessità e la delicatezza ed il correlato impegno professionale profuso) e mediante censure non rispettose del canone dell’autosufficienza del ricorso per cassazione (là dove si afferma che il giudice avrebbe espunto alcune voci corrispondenti ad attività effettivamente svolte nell’ambito dell’incarico professionale assunto per il secondo grado di giudizio).

2. – Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 2 e 3, della tariffa penale di cui al D.M. n. 127 del 2004, nonchè totale assenza di motivazione in ordine al diniego dell’applicazione del criterio. Esso si conclude con il quesito “se il disposto del D.M. n. 127 del 2004, art. 1, commi 1 e 2, debba essere considerato quale elemento astrattamente determinante la quantità degli onorari, al di fuori della valutazione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82, trattandosi di una metodologia di determinazione dei compensi applicabile in via generale e quindi anche agli onorari liquidati al difensore in gratuito patrocinio; la dizione del succitato art. 82 ha infatti finalità diversa rispetto a quella invocata per l’aumento dovuto ad attività di particolare difficoltà stante la natura, complessità e gravita della causa”.

2.1. – Il motivo è infondato.

L’art. 1, comma 2, della tariffa penale, contenuta nel D.M. 8 aprile 2004, n. 127, stabilisce che “per le cause che richiedono un particolare impegno, per la complessità dei fatti o per le questioni giuridiche trattate, gli onorari possono essere elevati fino al quadruplo dei massimi stabiliti”.

Questa norma va coordinata con quella contenuta nel D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 82, che, con specifico riferimento alla liquidazione dei compensi a favore del difensore di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato, stabilisce che l’onorario e le spese spettanti al difensore sono liquidati dall’autorità giudiziaria “osservando la tariffa professionale in modo che, in ogni caso, non risultino superiori ai valori medi delle tariffe professionali vigenti relative ad onorari, diritti ed indennità, tenuto conto della natura dell’impegno professionale”.

E’ dunque indiscusso che il giudice della liquidazione debba fare riferimento alla tariffa professionale.

Il problema che occorre risolvere è invece quello di verificare se il riferimento ai valori medi delle tariffe professionali, contenuto nel citato art. 82, precluda o meno la possibilità di applicare il criterio adeguatore previsto dall’art. 1, comma 2, della tariffa penale.

Secondo il provvedimento impugnato questa possibilità adeguatrice sarebbe esclusa dalla formulazione della norma che, con la locuzione usata (“in ogni caso”), avrebbe escluso per qualsiasi situazione ipotizzabile la possibilità di superare i valori medi previsti dalle tariffe professionali. Secondo il ricorrente, al contrario, la norma indicata non escluderebbe affatto la possibilità di applicare l’aumento, perchè il riferimento alla tariffa professionale dovrebbe ritenersi omnicomprensivo di tutte le disposizioni del decreto ministeriale di approvazione delle tariffe.

A parere della Corte, l’interpretazione della normativa accolta dal provvedimento impugnato deve ritenersi corretta.

Decisivo – nel senso dell’esistenza di una preclusione a superare i valori medi previsti dalle tariffe professionali – appare infatti l’uso della locuzione “in ogni caso”, il cui significato non può che essere quello di precludere la possibilità di superare questi valori in tutte le fattispecie ipotizzatali. L’uso di questa espressione indica la volontà del legislatore di escludere che singole e specifiche ipotesi di superamento dei valori indicati nelle tariffe professionali, pur normativamente previsti in generale, possano consentire il superamento dei valori medi.

Una diversa interpretazione renderebbe priva di significato l’espressione usata dal legislatore che, nell’adozione di una disciplina rivolta a garantire l’effettività della difesa, ha voluto delineare un assetto complessivo che tenesse conto anche della necessità di contemperare questo principio con la previsione di limiti ad una spesa incombente sullo Stato.

Una conferma della correttezza di questa interpretazione si rinviene nel testo del medesimo art. 82, là dove – al fine di determinare i criteri che il giudice deve utilizzare per procedere alla liquidazione dei compensi – si fa menzione della “natura dell’impegno professionale”, con evidente riferimento anche alla complessità dell’attività svolta, che dunque costituisce uno dei criteri che il giudice deve prendere in considerazione nel liquidare l’importo del compenso nella forbice compresa tra il minimo delle tariffe ed la media di tali valori.

Deve pertanto affermarsi – in continuità con l’insegnamento di Cass., 4^ Sez. pen., 2 marzo 2007-19 aprile 2007, n. 15847, Antoci, e ribadito da Cass., Sez. un. pen., 24 aprile 2008-26 giugno 2008, n. 25931, Albanese – il seguente principio di diritto: “In tema di patrocinio a spese dello Stato, i criteri cui l’autorità giudiziaria ha l’obbligo di attenersi nella liquidazione degli onorari e delle spese spettanti al difensore, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 82, devono ritenersi esaustivi, sicchè il giudice, nell’applicare la tariffa professionale, non può invece fare riferimento anche ai criteri integrativi e adeguatori della tariffa medesima, non essendo operante l’art. 1, comma 2, della tariffa penale, che consente di quadruplicare il compenso per le cause che richiedono un particolare impegno per la complessità dei fatti o per le questioni giuridiche trattate: ciò sia per l’espresso divieto, contenuto nel citato art. 82, del superamento dei valori medi di tariffa, sia perchè la norma già contempla la natura dell’impegno professionale come un elemento da prendere in considerazione ai fini della liquidazione del compenso tra il minimo della tariffa e la media di tali valori”.

3. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna, il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal Ministero controricorrente, che liquida in complessivi Euro 600,00 per onorari, oltre alle spese eventualmente prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2011

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