Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24445 del 30/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 30/11/2016, (ud. 25/05/2016, dep. 30/11/2016), n.24445

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Intestazione

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13473-2015 proposto da:

VODAFONE OMNITEL B.V., C.F. (OMISSIS), già VODAFONE OMNITEL N.V., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA VIRGILIO 8, presso lo studio dell’avvocato

ENRICO CICCOTTI, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati ANDREA MUSTI, FRANCO TOFACCHI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.R., C.F. (OMISSIS), + ALTRI OMESSI

– controricorrenti –

e contro

M.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA GERMANICO, 172, presso lo studio dell’avvocato CARLO GUGLIELMI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIER LUIGI

PANICI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2701/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/03/2015 R.G.N. 211/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2016 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;

udito l’Avvocato TOFACCHI FRANCO;

udito l’Avvocato LUBERTO ENRICO;

udito l’Avvocato GUGLIELMI CARLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Roma con la sentenza n. 2707 del 2015 rigettava il reclamo proposto L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 58 da Vodafone Omnitel B.V. e per l’effetto confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato nullo il licenziamento collettivo intimato dalla società il 18 ottobre 2012 a B.R. ed altri litisconsorti e le ordinava di reintegrare tutti i ricorrenti nel posto di lavoro in precedenza occupato, nonchè al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni globali di fatto dal giorno del licenziamento all’effettiva reintegrazione, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, ed al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali.

La Corte territoriale confermava la valutazione operata dal Tribunale in sede di opposizione, che era andato di diverso avviso rispetto al giudice della fase sommaria ed aveva ritenuto il licenziamento ritorsivo e discriminatorio, in quanto l’unico criterio utilizzato per individuare i lavoratori da licenziare nell’ambito della procedura ex L. n. 223 del 1991 era stato quello dell’essere essi appartenuti al reparto ceduto nel 2007 da Vodafone a Comdata Care s.p.a., avere vinto in giudizio l’azione proposta per violazione dell’art. 2112 c.c. ed essere stati riammessi in servizio. Difatti, rilevava la Corte, la società aveva scelto di applicare l’unico criterio legale delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative costituito dall’appartenenza di tutti i licenziati al reparto ceduto nel novembre 2007; inoltre, la società inizialmente aveva dichiarato un esubero pari a 100 unità, quante erano quelle cedute e riammesse servizio per ordine giudiziale; durante la procedura, avvedutasi che 17 di queste 100 unità non erano licenziabili (per matrimonio o gravidanza) invece di procedere oltre ed eliminare il detto esubero si era arrestata a 83 licenziamenti; inoltre, l’inserimento nel numero degli 83 lavoratori da licenziare di quelli che erano stati riassunti dopo l’annullamento giudiziale della cessione d’azienda era dovuto al fatto che tutti coloro che erano rimasti in Vodafone avevano ottenuto un punteggio di 100 per il criterio delle esigenze tecnico produttive, mentre gli altri avevano avuto zero. Aggiungeva la Corte che anche dato per ammesso che i lavoratori ceduti e poi riammessi in Vodafone avessero perso la professionalità, la specializzazione e gli aggiornamenti dei loro colleghi rimasti in servizio, ed a prescindere dal fatto che il riequilibrio poteva essere ottenuto per ammissione della stessa Vodafone con pochi giorni lavorativi di formazione, ciò tuttavia era un dato imputabile all’illegittima operazione realizzata da Vodafone, che non poteva ricadere su chi quell’ illegittima operazione aveva subito.

Per la cassazione della sentenza Vodafone Omnitel B.V. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui hanno resistito con separati controricorsi B.R. ed altri e M.M.. Vodafone Omnitel B.V.e B.R. ed altri hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Come primo motivo di ricorso, Vodafone Omnitel B.V. deduce violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 15 e art. 18, comma 1 come modificato dalla L. n. 92 del 2012, della L. n. 108 del 1990, art. 3 e dell’art. 1345 c.c.. Lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto effettiva e sussistente la motivazione di natura organizzativa dei licenziamenti, ossia l’esubero di personale, e ciononostante sussistente la motivazione discriminatoria degli stessi. Sostiene che in presenza di un legittimo motivo di recesso debba escludersi qualunque profilo di discriminatorietà; oltretutto, nel caso in esame, sarebbe pacifico e documentale che l’individuazione dei lavoratori da licenziare era stata effettuata sulla base della loro oggettiva infungibilità, effetto della loro adibizione ad attività integralmente e definitivamente cessata da oltre quattro anni in Vodafone, nonchè delle rilevanti modifiche organizzative nelle more intervenute presso il call center di (OMISSIS) mentre gli stessi erano alle dipendenze di Comdata care, infungibilità che rendeva i lavoratori oggettivamente non comparabili con tutti gli altri presenti in Vodafone.

2. Il motivo non è fondato.

Occorre premettere che in relazione al licenziamento ritorsivo e discriminatorio, la giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis: Cass. n. 3986/2015; Cass. n. 17087/11; Cass. n. 6282/11; Cass. n. 16155/09) ha affermato non essere sufficiente che il licenziamento sia ingiustificato, essendo piuttosto necessario che il motivo pretesamente illecito sia stato l’unico determinante.

Nella prospettazione della parte ricorrente, che invoca tali arresti, la natura ritorsiva e discriminatoria del licenziamento sarebbe esclusa dall’ esistenza del motivo economico, riconosciuto reale e sussistente dalla stessa Corte territoriale. Il motivo soffre tuttavia della scissione del profilo attinente le motivazioni del licenziamento collettivo da quello relativo ai criteri che hanno governato la scelta dei lavoratori da licenziare: i presupposti del legittimo esercizio del potere di recesso attengono infatti ad entrambi tali requisiti, ovvero la sussistenza delle ragioni oggettive della procedura e l’incidenza delle stesse sulla specifica posizione del lavoratore; solo nella sussistenza di entrambi può dirsi legittimo il recesso ed esclusa la rilevanza del motivo illecito. Nel caso, sarebbe stato quindi onere del datore di lavoro dedurre e dimostrare non solo l’esistenza delle ragioni oggettive del licenziamento collettivo, ma anche l’esatta individuazione dei lavoratori licenziati sulla base dei criteri di scelta legali o concordati.

Ciò che nel caso non è successo, in quanto il nesso di causalità tra i presupposti del licenziamento e l’individuazione dei lavoratori licenziati può essere ravvisato solo mediante l’applicazione della condotta e delle scelte che valgono a manifestare l’intento discriminatorio o ritorsivo. E difatti, non viene censurata nel ricorso la motivazione della Corte territoriale secondo la quale il gap di professionalità tra i lavoratori licenziati, già estromessi dal complesso produttivo e riammessi in servizio per effetto delle sentenze che avevano ritenuto l’inefficacia della cessione d’azienda, e gli altri lavoratori, avrebbe potuto essere colmato con pochi giorni lavorativi di formazione, nè la motivazione secondo la quale di tale gap di professionalità non poteva tenersi conto in quanto determinato dall’illegittima condotta di Vodafone, che non poteva pertanto valersene al fine di farne ricadere sugli stessi lavoratori danneggiati. Venuta meno quindi la valenza oggettiva dell’appartenenza al ramo ceduto come ragionevole giustificazione dell’applicazione agli altri lavoratori del punteggio aggiuntivo relativo al criterio delle esigenze tecniche e produttive, non poteva che residuarne la sua valorizzazione come motivo illecito determinante l’applicazione dei criteri di scelta.

2. Come secondo motivo, la società ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 51 violazione e/o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 6. Lamenta che la Corte d’appello non abbia considerato lo specifico motivo di gravame con il quale si faceva valere la diversità delle domande formulate nella fase di opposizione rispetto a quelle formulate con il ricorso introduttivo (nel ricorso in opposizione infatti era rimasta identica la domanda proposta in via principale, ovverosia la richiesta di dichiarazione di nullità/illegittimità/inefficacia del licenziamento in quanto discriminatorio, ma in via subordinata era stata chiesta l’applicazione non già della L. n. 92 del 2012, art. 42, comma 7 per manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo, oggetto della domanda subordinata nella fase sommaria, ma per violazione dei criteri di scelta previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1), mentre in fase di opposizione non possono essere fatte valere domande diverse, salvo che siano fondate sugli identici fatti costitutivi. Sostiene che la Corte d’appello, abbia contraddittoriamente affermato che le domande proposte in via subordinata non avevano avuto rilievo nella decisione del Tribunale, essendo stata ritenuta la natura discriminatoria del recesso, ma abbia poi valorizzato ai fini della discriminatorietà l’applicazione dell’unico criterio legale delle esigenze tecnico produttive ed organizzative costituito dall’appartenenza di tutti i licenziati al reparto ceduto nel novembre 2007.

2.1. Neppure tale motivo è fondato.

La Corte territoriale ha confutato l’analoga argomentazione proposta come motivo di ricorso in appello, osservando che il Tribunale aveva accolto la domanda principale, formulata sin dal primo atto introduttivo; ha aggiunto che la parte reclamante non aveva evidenziato che il giudice dell’opposizione avesse valorizzato a fondamento del decisum allegazioni o produzioni effettuate per la prima volta in sede di opposizione.

La Corte ha quindi rilevato, con argomentazione che non soffre delle censure lamentate nel ricorso in quanto le risolve in radice, come non fossero state accolte domande nuove, nè vi fosse stata deduzione di nuovi e diversi elementi costitutivi; nè può darsi rilevo alla circostanza che deduzioni fattuali già proposte siano state poste nel ricorso in opposizione a fondamento di un petitum che non è stato accolto, in quanto improduttiva di effetti processuali.

3. Segue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, con la richiesta distrazione ex art. 93 c.p.c..

L’esito del giudizio determina la sussistenza dei presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater primo periodo, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il raddoppio del contributo unificato dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida per compensi professionali in complessivi Euro 8.000,00 in favore di B.R. ed altri litisconsorti ed Euro 4.000,00 in favore di M.M., oltre ad Euro 100,00 per esborsi, rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge, con distrazione in favore dei rispettivi difensori per la dichiarata anticipazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2016

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