Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24444 del 10/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 10/09/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 10/09/2021), n.24444

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32979-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.G., nella qualità di amministratore di sostegno della

signora S.M.B., elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA GIUSEPPE AVEZZANA, 51, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLO

ZUCCONI, rappresentato e difeso dall’avvocato VIERI ROMAGNOLI;

– controricorrente –

contro

– intimata –

avverso la sentenza n. 1241/9/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della TOSCANA, depositata il 28/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MICHELE

CATALDI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza n. 1241/09/2018, depositata il 28 giugno 2018, con la quale la Commissione tributaria regionale della Toscana ha rigettato il suo appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Firenze, che aveva accolto il ricorso proposto da S.M.B. contro l’avviso d’accertamento sintetico emesso, per l’anno d’imposta 2006, in materia di Irpef, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38″ in considerazione dello scostamento dal reddito determinabile sinteticamente in ragione delle spese per mantenimento di beni immobili e di autovetture e di incrementi patrimoniali.

2. La contribuente, in persona del suo Amministratore di sostegno, si è costituita con controricorso.

3. La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la ricorrente Agenzia deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o la falsa applicazione del D.L. n. 78 del 2009, art. 13 bis; del D.L. n. 350 del 2001, art. 14; e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, assumendo che avrebbe errato il giudice a quo nel ritenere che “avendo il contribuente regolarmente beneficiato dello “scudo fiscale” per le attività detenute all’estero negli anni precedenti il 2008, al Fisco era precluso effettuare accertamenti per l’anno 2006, con la conseguenza che l’avviso notificato deve ritenersi illegittimo”. Sostiene infatti l’Ufficio che la preclusione all’accertamento derivante dallo “scudo fiscale” opera esclusivamente con riferimento alle medesime somme oggetto di rimpatrio. Invece, nel caso di specie, la CTR ha esteso l’effetto preclusivo dell’accertamento anche a manifestazioni di spesa rilevanti emerse già nel 2006, laddove la reale disponibilità dei capitali detenuti all’estero doveva ritenersi acquisita solo nel 2009, al momento del rimpatrio, prima del quale essi non avrebbero potuto contribuire alle spese ed agli incrementi oggetto dell’accertamento sintetico.

1.1. Il motivo, a differenza di quanto eccepisce la controricorrente, non è inammissibille per violazione del principio della doppia conforme ex art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5.

Infatti, non può condividersi l’affermazione che la censura, pur rubricata come violazione di legge, attinga il merito della controversia, in quanto essa investe piuttosto l’interpretazione e l’applicazione delle norme che disciplinano l’effetto preclusivo dello “scudo fiscale” (in particolare sotto il profilo dell’estensione oggettiva della preclusione) e di quelle in materia di accertamento sintetico.

Neppure il motivo è inammissibile per l’eccepita violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, riguardo alla mancata trascrizione ed alla mancata indicazione, nel ricorso, della produzione nel giudizio di merito, e della relativa collocazione nei fascicoli di parte o d’ufficio, di documenti rilevanti.

Infatti, i dati rilevanti in ordine alla questione della correlazione, specie sotto l’aspetto cronologico, tra capitali scudati e disponibilità rilevante ai fini del reddito accertabile sinteticamente, emergono immediatamente dalla stessa sentenza impugnata (oltre che dall’avviso d’accertamento allegato al ricorso ed in esso richiamato), con la conseguenza che il motivo, che si riporta anche ai relativi passaggi della motivazione della CTR, è autosufficiente.

Tanto meno, infine, il mezzo è inammissibile per l’eccepita violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, riguardo alla mancata specificità del motivo per il quale si chiede la cassazione della sentenza impugnata, che invece è argomentato in maniera non generica e correlata alla motivazione della sentenza impugnata ed alla relativa ratio decidendi.

1.2. Il motivo è fondato.

Infatti, con riferimento allo “scudo fiscale”, come questa Corte ha già chiarito, ” In tema di esercizio del potere d’imposizione sui capitali c.d. “scudati”, l’effetto preclusivo del generale potere di accertamento tributario, previsto al D.L. n. 350 del 2001, art. 14, comma 1, lett. a), ha natura di misura eccezionale di agevolazione per il contribuente, il quale ha l’onere di fornire la prova della ricorrenza dei presupposti; la limitazione normativa dell’inibizione dell’accertamento in riferimento agli “imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio” richiede la dimostrazione di una concreta correlazione oggettiva (quanto meno di compatibilità, se non di immediata derivazione, oltre che cronologica e quantitativa) tra il reddito accertato e la provenienza delle somme o dei beni rimpatriati o regolarizzati, nel senso che il reddito non dichiarato, oggetto di accertamento, deve essere collegato alle somme o ai beni emersi a seguito dei rimpatrio, restando pertanto escluse dall’efficacia inibente dello “scudo” tutte quelle fattispecie in cui l’accertamento abbia ad oggetto componenti estranei rispetto alle attività “scudate” e con essi non compatibili.” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 34577 del 30/12/2019).

Inoltre, con riferimento alla prova liberatoria necessaria in materia di accertamento sintetico, è stato precisato che ” In tema di accertamento cd. sintetico, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva da risorse di natura non reddituale di cui ha goduto il proprio nucleo familiare, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6 (applicabile “ratione temporis”), per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva a tali ulteriori redditi, è onerato della prova contraria in ordine alla loro disponibilità, alla loro entità ed alla durata del relativo possesso, sicché, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti da cui emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere.” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 16637 del 04/08/2020).

Nel caso di specie la CTR – sia nella premessa astratta sulla normativa che nella sua applicazione al caso di specie- non ha fatto buon governo di entrambi i principi appena illustrati nel trattare la concreta correlazione oggettiva (di compatibilità, se non di immediata derivazione, specialmente cronologica, oltre che quantitativa) tra il reddito accertato sinteticamente e la provenienza delle somme o dei beni rimpatriati o regolarizzati.

La sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio al giudice a quo per i necessari accertamenti in fatto.

2. Con il secondo motivo la ricorrente Agenzia deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6, vigente ratione temporis, in combinato disposto con gli artt. 2697 e 2729 c.c., assumendo che avrebbe errato il giudice a quo nel ritenere che la contribuente abbia assolto all’onere della prova liberatoria attraverso la mera dichiarazione del conoscente V., che le ha elargito un importo a titolo di liberalità; ed attraverso l’assegno di Euro 140.000,00, emesso della terza V., senza che ne sia stato specificata la causale.

2.1. Il motivo non è inammissibile per l’eccepita violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, riguardo alla mancata specificità del motivo per il quale si chiede la cassazione della sentenza impugnata, che invece è argomentato in maniera non generica e correlata alla motivazione della sentenza impugnata ed alla relativa ratio decidendi.

2.2. Il motivo non è assorbito dall’accoglimento del primo, atteso che nella motivazione della sentenza impugnata sono espresse due rationes decidendi di merito autonome, la prima, relativa all’effetto preclusivo dello “scudo fiscale”, attinta dal primo motivo di ricorso; la seconda, che nonostante la preclusione dell’accertamento, comunque riconosce anche l’assolvimento della prova contraria e quindi l’infondatezza nel merito dell’atto impositivo, è attinta dal secondo motivo di ricorso.

2.3. A norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, vigente ratione temporis, ” Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. L’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione.”.

La giurisprudenza di questa Corte ha a sua volta riaffermato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, con riferimento alla determinazione sintetica del reddito complessivo netto in base ai coefficienti presuntivi individuati dai decreti ministeriali previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art.38 (cd. redditometri), la prova contraria ivi ammessa richiede la dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 30355 del 21/11/2019).

Con riferimento alle somme ricevute dal terzo V., la CTR ha accertato che risulta documentata la dazione a titolo di liberalità e che è stata quindi fornita la relativa prova liberatoria.

In materia, questa Corte ha ritenuto che ” In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio accerti induttivamente il reddito con metodo sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, il contribuente, ove deduca che l’incremento patrimoniale sia frutto di liberalità (nella specie, ad opera della madre), è tenuto a fornirne la prova con documentazione idonea a dimostrare l’entità e la permanenza nel tempo del possesso del relativo reddito.” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 916 del 20/01/2016).

Con riguardo a tale attribuzione patrimoniale, la censura della ricorrente Agenzia, è inammissibile. Infatti, come eccepito dalla controricorrente, la contestazione del titolo di liberalità, accertato dalla CTR, si traduce in una censura del giudizio di fatto, non sindacabile, in questa sede di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel caso di specie non proposto e comunque non ammissibile per il limite della c.d. “doppia conforme”.

Inoltre, la censura è inammissibile anche perché, come eccepito dalla controricorrente, la ricorrente non ha adempiuto l’onere di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di specifica indicazione, a pena d’inammissibilità del ricorso, degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito. (Cass. 15/01/2019, n. 777; Cass. 18/11/2015, n. 23575; Cass., S.U., 03/11/2011, n. 22726), con riferimento alle “dichiarazioni di un amico della ricorrente”, alle quali fa riferimento nel motivo.

2.4. Invece, riguardo all’attribuzione patrimoniale proveniente dalla terza V.D., la CTR afferma che “risulta documentata la dazione da parte della signora V.D. dell’assegno in questione”.

Il mancato accertamento anche della causa di tale dazione comporta che la verifica dell’assolvimento dell’onere della prova liberatoria, in contrasto con quanto richiesto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, non è stata condotta pure con riferimento alla natura di reddito esente o soggetto a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o non reddituale, dell’importo in questione. Invero, non essendo accertato a che titolo la terza abbia trasferito alla contribuente il non indifferente importo oggetto dell’assegno, non può ritenersi accertato neppure che si tratti di somme esenti o già sottoposte ad imposizione.

Nel caso di specie, la censura della ricorrente non attinge quindi una valutazione in merito già effettuata dal giudice a quo, ma l’interpretazione e l’applicazione erronee che la CTR ha fatto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, in punto di oggetto dell’onere della prova contraria.

Non determina, infine, l’inammissibilità del motivo la mancata riproduzione o la mancata indicazione della collocazione dell’assegno in questione nel giudizio di merito. Infatti, la questione di diritto non verte sull’esistenza e sul contenuto di quell’assegno (dati incontestati ed accertati nella sentenza impugnata), ma sulla causa sottostante al medesimo titolo di credito, dalla quale dipende la natura reddituale o meno dell’attribuzione patrimoniale. Ed essendo notoriamente l’assegno un titolo astratto, esso non può per definizione contribuire, di per sé solo, al necessario accertamento della ragione dell’attribuzione patrimoniale cartolare. Pertanto, la mancata riproduzione del titolo non incide sull’autosufficienza del motivo di ricorso, in parte qua.

Va quindi accolto, nei limiti della censura relativa all’attribuzione patrimoniale proveniente dalla terza V., il secondo motivo di ricorso, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR.

P.Q.M.

Accoglie il primo e, nei limiti di cui in motivazione, il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2021

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