Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24443 del 30/10/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 24443 Anno 2013
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: OLIVIERI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso 7233-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

2013
27

JANNONE SPA;
– intimato –

Nonché da:
SOCIETA’ JANNONE SPA in concordato preventivo in

Data pubblicazione: 30/10/2013

liquidazione, in persona del Commissario liquidatore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA OVIDIO 20,
presso lo studio dell’Avvocato LANDOLFI ROBERTO che la
rappresenta e difende giusta delega a margine;
– controricorrente incidentale contro

AGENZIA DELLE DOGANE;

intimato

avverso la sentenza n. 49/2010 della COMM.TRIB.REG. di
NAPOLI, depositata 1’08/03/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/01/2013 dal Consigliere Dott. STEFANO
OLIVIERI;
udito per il ricorrente l’Avvocato ALBENZIO che si
riporta;
udito per il controricorrente l’Avvocato LANDOLFI che
si riporta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso principale, rigetto del
ricorso incidentale.

4

La Commissione tributaria della regione Campania con sentenza
8.3.2010 n. 49 ha rigettato l’appello principale proposto dall’Ufficio
Dogane di Napoli e dichiarato assorbito l’appello incidentale proposto da
Jannone s.p.a., confermando la sentenza di prime cure che aveva dichiarato
illegittimo l’avviso di rettifica emesso ai sensi dell’art. 11 Dlgs n. 374/1990
con il quale veniva recuperato il dazio antidumping dovuto sulla
importazione di accessori per tubi di ghisa malleabile dichiarati di origine
argentina nella bolletta di importazione definitiva IM 4 n. 3427/M
presentata dalla società in data 21.3.2002 e ritenuti invece dall’Ufficio
doganale di origine brasiliana.

I Giudici di merito hanno ritenuto decisivo il rilievo per cui l’art. 220
paragr. 2 lett. b) del reg. CEE n. 2913/1992 (CDC) non determinava una
inversione dell’onere della prova a carico dell’importatore ma disciplinava
invece le ipotesi di affidamento incolpevole (buona fede) dell’importatore
in ordine alla regolarità della operazione doganale, con la conseguenza che
eventuali inesattezze contenute nel certificato di origine emesso dalle
autorità del Paese terzo legittimavano il contribuente ad invocare la propria
buona fede laddove l’errore non potesse essere ragionevolmente scoperto.
Tale ipotesi ricorreva nel caso di specie, essendo state svolte le
operazioni di importazioni in data anteriore alla apertura della inchiesta
antifrode da parte della Commissione UE (marzo 2002) ed al procedimento
I
RG n. 7233/2011
ric. Ag.Dogane c/Jannone s.p.a.

Svolgimento del processo

penale celebratosi in Argentina e definito con provvedimento di
archiviazione (ottobre 2002) dal quale erano emerse circostanze (quali
l’affidamento da parte dell’esportatore a ditte appaltatrici della lavorazione
del prodotto semilavorato effettivamente dotate di attrezzature e macchinari
idonei) che escludevano la configurabilità di ulteriori oneri di diligenza da
parte dell’importatore italiano per acclarare la diversa origine del prodotto,

della collusione o consapevolezza da parte dell’importatore del
meccanismo frodatorio ovvero dimostrato che l’illecito fosse conoscibile
con l’ordinaria diligenza.

Avverso la sentenza di appello la Agenzia delle Dogane ha proposto
ricorso per cassazione affidato a cinque mezzi.
Ha resistito la società con controricorso e ricorso incidentale affidato ad
un unico mezzo.

Motivi della decisione

1. Va esaminato preventivamente, in quanto idoneo a definire
pregiudizialmente la contoriversia, l’unico motivo del ricorso incidentale
con il quale la società resistente formula eccezione di giudicato esterno e
censura la sentenza di appello per violazione degli artt. 112 e 324 c.p.c., per
omessa rilevazione della inammissibilità dell’appello proposto dall’Ufficio
in conseguenza del giudicato, formatosi in altro giudizio, su un punto
fondamentale comune alla presente controversia.
Sostiene la ricorrente incidentale che in precedente giudizio avente ad
oggetto la opposizione avverso analoghi avvisi di rettifica concernenti il
disconoscimento del trattamento preferenziale alla importazione di
medesimi prodotti era stato eccepito il giudicato interno -formatosi per
2
RG n. 7233/2011
ric. Ag.Dogane c/Jannone s.p.a.

Cd. est.
Stefan Olivieri

non avendo, peraltro, fornito l’Amministrazione doganale alcuna prova

omessa specifica impugnazione- in relazione alla statuizione della sentenza
delle CTP di Napoli n. 485 in data 11.11.2005 che aveva dichiarato
intangibili i certificati di origine FORM-A emessi dal Paese beneficiario in
difetto di accertamento giudiziale della falsità di tali atti ed aveva inoltre
dichiarato privi dei requisiti ex art. 2729 c.c. gli indizi forniti dall’Ufficio
doganale a sostegno della diversa origine della merce.

entrambe le cause, viene invocata la estensione della efficacia preclusiva
nel presente giudizio, alla stregua dei principi di diritto espressi dal
precedente di questa Corte di cui alla sentenza resa a SSUU 13.6.2006 n.
13916.

1.1 H motivo è infondato.

1.2 Secondo un costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, il
giudicato si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione,
anche ove ne sia solo il necessario presupposto logico (cfr. Corte eass. sez.
lav. Sentenza n. 7140 del 16/05/2002).

Tale indirizzo giurisprudenziale richiede che entrambe la cause, tra le
stesse parti, abbiano ad oggetto un medesimo negozio o rapporto
giuridico ed una di esse sia stata definita con sentenza passata in giudicato:

in tal caso, infatti, l’accertamento compiuto in merito ad una situazione
giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto

incidente su

un punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituente
indispensabile premessa logica della statuizione

contenuta nella sentenza

passata in giudicato, precludono l’esame del punto accertato e risolto, anche
nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che
costituiscono lo scopo ed il “petitum” del primo (cfr. Corte cass. III sez.
16.5.2006 n. 1365; id. III sez. 3.10.2005 n. 19317; vedi III sez. 24.3.2006 n. 6628).

3
RG n. 7233/2011
ric. Ag.Dogane c/Jannone s.p.a.

In relazione a tale giudicato, che investe un punto determinate comune ad

1.3 Tanto premesso, rileva il Collegio che difetta nella concreta
fattispecie sottoposta all’esame della Corte, la identità del titolo o del
rapporto dal quale derivano le pretese fatte valere nelle due cause, attesa la
oggettiva autonomia dei rapporti giuridici tributari, tra le stesse parti, che
hanno costituito, rispettivamente, oggetto del giudizio nel quale si sarebbe

I due giudizi attengono, infatti, a distinti provvedimenti impositivi
relativi a diversi anni di imposta, e si riferiscono ad obbligazioni tributarie
che, se presentano caratteri comuni quanto al tipo di dazio applicato ed alla
contestazione formulata dall’Ufficio finanziario

(difetto di origine

preferenziale delle merce), sono tuttavia originate da situazioni fattuali diverse
(differenti operazioni di importazioni della merce nel territorio doganale della UE)

non riconducibili ad un medesimo fatto generatore di imposta,

rimanendo

esclusa, pertanto, contrariamente a quanto ipotizzato dalla società
ricorrente, la “identità oggettiva del rapporto giuridico”, dedotto in
entrambi i giudizi, che unicamente consente -anche in caso di differente
“petitum”: idest di diversa finalità cui è rivolto ciascun giudizio- di
ravvisare quella unitarietà della “causa petendi” che soltanto può
giustificare la esigenza di evitare contrasti in ordine a questioni giuridiche
che costituiscono il necessario presupposto logico-giuridico comune ad
entrambe le decisioni. Le differenti situazioni giuridiche dalle quali
originano le diverse pretese tributarie si qualificano, infatti, in relazione alla
“concreta” modalità di realizzazione del presupposto impositivo, che si
configra in modo autonomo rispetto a ciascuna importazione di merce, con
la conseguenza che le statuizioni adottate in una causa, anche se
concernenti identiche questioni di diritto, non possono spiegare efficacia
vincolante nell’altra causa (cfr. Corte cass. V sez. 20.6.2008 n. 16816 secondo
cui “Ai fini dell’incidenza di un giudicato su di una controversia non inerente il
4
RG n. 7233/2011
Ag.Dogane c/Jannone s.p.a.

est.
Stefano livieri

formato il giudicato interno, ed oggetto della presente controversia.

medesimo rapporto fondamentale, non può riconoscersi alcun effetto preclusivo sia
alle statuizioni incidentali relative a rapporti pregiudiziali sia alla soluzione di
singole questioni di fatto o di diritto, contenuta nella motivazione ed effettuata dal
giudice solo per pronunciare sulla specifica situazione dedotta in giudizio”; id. V
sez. 30.12.2009 n. 28042).

ricorrente incidentale laddove viene invocata, peraltro non l’applicazione
diretta ma la “estensione” del giudicato esterno -in ipotesi formatosi in un
altro giudizio- sul

“punto fondamentale comune”

concernente la

intangibilità da parte delle Autorità doganale comunitarie dei certificati di
origine emessi dal Paese beneficiario, alla stregua del principio di diritto
affermato da Corte cass. SU 16.6.2006 n. 13916, al quale si sono
uniformate le successive sentenze delle sezioni semplici, secondo cui
l’accertamento giudiziale del “modo di essere di una obbligazione relativa
ad un singolo periodo di imposta” fa stato con forza di giudicato nel
giudizio relativo alla obbligazione sorta in un periodo d’imposta
successivo.
La sentenza delle SS.UU. viene, infatti, richiamata a sproposito, avendo
omesso di considerare la parte resistente che la “invarianza dell’elemento
preliminare” rispetto alla costituzione della fattispecie tributaria (ovvero
dell’elemento che costituisce il referente per l’applicazione della specifica disciplina
normativa), si caratterizza per il collegamento ad una situazione fattuale che
(nella sua qualificazione giuridica)

deve presentarsi

“tendenzialmente

permanente” e dunque durevole, costante nel tempo, entrando “a comporre
la fattispecie medesima per una pluralità di periodi di imposta”, e deve
essere correlata ad un interesse protetto che abbia il carattere della
durevolezza. Tali condizioni, come puntualizzato nell’indicato precedente
delle SS.UU., possono verificarsi nella ipotesi di “tributi periodici” (recte:
di obbligazioni tributarie il cui adempimento è frazionato nel tempo)
5
RG n. 7233/2011
ric. Ag.Dogane c/Jannone s.p.a.

o di

Cn est.
Stefan
ivieri

1.4 Non può, pertanto, essere condivisa la tesi sostenuta dalla società

fattispecie quali le “esenzioni od agevolazioni pluriennali”

(ipotesi in

concreto esaminata nella sentenza delle SS.UU.) in cui la specifica disciplina

normativa assume la “pluriennalità” come elemento costitutivo della
fattispecie, venendo ad essere sostanzialmente trattati i diversi periodi di
imposta “come una sorta di maxiperiodo” (cfr. motiv. sent. SU paragr. 4.1).
Orbene nessuna di tali condizioni è riscontrabile nel caso di specie, atteso

individuato nella importazione ed immissione in libera pratica della merce nel
terriotrio doganale della Comunità), il “tempo” non è considerato dalla

disciplina normativa come elemento costitutivo essenziale del rapporto
tributario, e tanto meno il diritto alla fruizione del trattamento daziario più
favorevole risulta correlato, dalla norma tributaria, alla qualificazione
giuridica di una situazione fattuale connotata dal carattere della durevolezza
(il diritto in questione, infatti, è condizionato alla presentazione del titolo -certificato
di origine emesso in relazione a ciascuna importazione- ed alla effettiva origine delle
merce nel Paese beneficiario: trattasi di un rapporto tributario in cui l’elemento della
periodicità rimane estraneo alla fattispecie).

2. La eccezione della società resistente di inammissibilità dei motivi del
ricorso principale per violazione dell’art. 366 bis c.p.c. è manifestamente
infondata. L’onere di formulazione nel ricorso per cassazione del “quesito
di diritto”, prescritto dall’art. 366 bis c.p.c. (norma successivamente abrogata
dall’art. 47 Legge 18.6.2009 n. 69), è stato introdotto dall’art. 6 del Dlgs

2.2.2006 n. 40 e la norma trova applicazione esclusivamente ai ricorsi
proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data
di entrata in vigore dello stesso decreto (2.3.2006), e fino al 4.7.2009, data
dalla quale opera la successiva abrogazione disposta dall’art. 47co l lett. d)
Legge 18.6.2009 n. 69.

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RG n. 7233/2011
ric. Ag.Dogane c/Jannone s.p.a.

Con est.
Stefano livieri

che, in relazione alla specifica fattispecie impositiva (il cui fatto generatore va

Essendo stata pubblicata la sentenza impugnata in data 8.3.2010 la
norma processuale in questione non trova applicazione (capziosa è la
interpretazione che dell’art. 47 Legge n. 69/2009 -meramente abrogativo dell’art. 366
bis c.p.c.- fornisce la resistente asserendo che trova applicazione ai solo
“procedimenti instaurati” dopo la data del 4.7.2009 e non ai “provvedimenti
pubblicati” dopo tale data: è appena il caso di osservare in contrario come,

procedimenti pendenti).

3. Venendo all’esame dei motivi del ricorso principale, occorre rilevare
che la sentenza di appello affida la decisione ai seguenti motivi:
– l’art. 220 paragr. 2 lett. b) CDC non prevede alcuna inversione dell’onere
della prova a carico della società importatrice, mentre esclude che possa
procedersi a contabilizzazione a posteriori nel caso in cui l’importatore
dimostri di avere agito n buona fede
– nel caso di specie la buona fede della società importatrice (da intendersi
nel senso che l’erronea indicazione nei certificati rilasciati adalla autorità
argentina della origine dei prodotti “non poteva essere ragionevolmente
scoperta”) deve desumersi dalla data della operazione di importazione
anteriore all’avvio della indagine disposta dagli Organi comunutari
antifrode
– alcun ulteriore onere di diligenza doveva essere osservato dalla società
importatrice essendo stato accertato nel corso del procedimento penale
svoltosi in Argentina che le imprese ivi esistenti erano dotate di macchinari
ed impianti
– non era stata fornita dall’Ufficio prova che la società importatrice fosse a
conoscenza della diversa origine della merce.

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RG n. 7233/2011
ric. Ag.Dogane c/Jannone s.p.a.

trattandosi di norme processuali, le stesse trovano immediata applicazione ai

3.1 Con il primo motivo la Agenzia censura la sentenza per violazione e
falsa applicazione degli artt. 1 e 2 Dpr n. 43/1973, degli art. 4, 201, 202 reg.
CEE n. 2913/2002 e dei principi generali in materia di imposizione fiscale
delle importazioni, in relazione all’art. 360co 1 n. 3 c.p.c.. Sostiene la
ricorrente che la irregolare introduzione nel territorio comunitario della
merce, fatto al quale si collega la insorgenza della obbligazione doganale,

mancanza di un valido titolo del regime doganale preferenziale, ipotesi che
ricorreva nel caso di specie, in quanto a seguito alla Missione comunitaria
svolta dall’OLAF, era rimasta accertata la inesattezza della origine
argentina della merce, indicata nel certificato FORM A, trattandosi di
prodotti orginari del Brasile. Tanto era sufficiente, secondo la Agenzia
fiscale ricorrente, a legittimare la pretesa tributaria oggetto dell’avviso di
rettifica in quanto le norme comunitarie e statali indicate in rubrica
ponevano a carico dell’importatore l’obbligo di pagamento del dazio
indipendentemente dall’eventuale stato di buone fede dell’operatore
economico.

3.1 H motivo è inconferente e comunque infondato.

3.2 I Giudici di appello non hanno affatto disatteso le norme
comunitarie e nazionali che disciplinano la insorgenza della obbligazione
doganale ed il regime doganale di origine preferenziale dei prodotti
importati, ma hanno deciso la controversia facendo applicazione della
norma comunitaria

-che regola specificamente la ipotesi di omessa

contabilizzazione per errore della autorità doganale, tale essendo anche il rilascio di
un certificato che si sia rivelato inesatto- di cui all’art. 220 paragr. 2 lett. b)

CDC (nel testo sostituito dall’art. 1 reg. CEE 16.11.2000 n. 2700): la norma
in questione, nel caso in cui “l’importo dei dazi legalmente dovuto non è
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RG n. 7233/2011
ric. Ag.Dogane c/Jannone s.p.a.

Cons.’.
Stefano 01 ieri

doveva essere ravvisata anche nel caso di importazione effettuata in

stato contabilizzato per un errore della autorità doganale”, determina
infatti le condizioni alle quali “non si procede a contabilizzazione a
posteriori”, condizioni che la CTR ha inteso ravvisare ed esaurire nella
sussistenza della buona fede dell’importatore.
La norma comunitaria richiamata, pertanto, si pone come species ad
genus rispetto alla generale disciplina della obbligazione doganale,

tutti gli elementi costitutivi della fattispecie tributaria, il soggetto
astrattamente obbligato (nella specie l’importatore della merce) rimane
esonerato, a determinate condizioni, dal versamento del dazio o del
maggior dazio dovuto.
Inconferente rispetto al “decisum” e, comunque, palesemente errato in
diritto deve, pertanto, ritenersi l’assunto della Agenzia fiscale posto a
fondamento del motivo in esame, in quanto non tiene conto della disciplina
normativa applicata alla fattispecie concreta dalla CTR.

4. Con il secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione
dell’art. 220 CDC e degli arti. 199 e 904 punto c) reg. n. 2454/1993, in
relazione all’art. 360co 1 n. 3 c.p.c.
Sostiene la ricorrente che l’elemento della buona fede dell’importatore
sarebbe irrilevante e non consentirebbe di escludere il recupero del dazio
doganale in quanto, per costante giurisprudenza comunitaria, da un lato, la
Comunità europea non è tenuta a sopportare le conseguenze pregiudizievoli
di comportamenti scorretti dei fornitori degli importatori; dall’altro
l’importatore quale “operatore esperto del settore” è tenuto ad adottare
nell’ambito dello svolgimento dei propri rapporti contrattuali tutte le misure
idonee a prevenire od evitare le conseguenze di eventuali scorrettezze od
inadempimenti della controparte, valutando ed accettando tra i rischi
economici della operazione anche quello del possibile recupero del dazio da
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RG n. 7233/2011
ric. Ag.Dogane c/Jannone s.p.a.

Co
t.
Stefano Oivieri

prevedendo la eccezionale ipotesi in cui, pur sussistendo oggettivamente

parte della Amministrazione doganale (cfr. Corte Giustizia in data
26.11.1998, in causa C-379/96, Covita ). Nella specie, continua l’Agenzia
fiscale, l’importatore non aveva fornito alcuna prova di avere impiegato la
dovuta diligenza nell’accertare la reale corrispondenza della origine della
merce a quella dichiarata dall’esportatore, ed inoltre la CTR aveva omesso
del tutto di accertare l’altro presupposto richiesto dalla norma comunitaria

indicazione della origine della merce riportata nel certificato FORM-A
fosse attribuibile ad errore della stessa autorità pubblica emittente (idest che
l’errore fosse dipeso da “condotta attiva” della autorità che aveva messo il
certificato).

5. Con il terzo motivo la Agenzia delle Dogane denuncia la violazione
dell’art. 199 reg. n. 2454/1993 in relazione all’art. 360col n. 3 c.p.c.
Sostiene la ricorrente che i presupposti per legittimare la pretesa di non
contabilizzazione a posteriori del dazio ai sensi dell’art. 220 CDC,
richiederebbero altresì la prova da parte dell’importatore, ovvero del
soggetto nei cui confronti sorge la obbligazione tributaria con la
presentazione della dichiarazione doganale di immissione della merce nel
territorio della Comunità, di aver adottato tutte le iniziative e gli
accorgimenti idonei a verificare la conformità al vero delle dichiarazioni
rese dall’esportatore ai fini del rilascio dei certificati di origine. Tale
prova è difettata ed ha errato, pertanto la CTR, affermando che alcun
ulteriore controllo avrebbe potuto o dovuto eseguire l’importatore.

6 Entrambi i motivi secondo e terzo -che possono essere esaminati
congiuntamente in quanto diretti a criticare la medesima applicazione della
norma derogatoria della contabilizzazione a posteriori del dazio- sono
fondati.
10
RG n. 7233/2011
ric. Ag.Dogane c/Jannone s.p.a.

Con st.
Stefano livieri

ai fini della non contabilizzazione a posteriori e cioè se l’inesatta

6.1 La CTR si è limitata desumere la buona fede dell’importatore dalla
cronologia degli eventi (la importazione della merce in Italia era stata eseguita in
data anteriore alla apertura della inchiesta OLAF e del procedimento penale nei
confronti dei rapp.ti legali della società argentina esportatrice) e dalle risultanze

della sentenza penale argentina (da cui emergerebbe in particolare la esistenza
lavorazione di filettatura).

Tali elementi sono stati ritenuti sufficienti dalla

CTR ai fini della esclusione del diritto della Amministrazione doganale al
recupero del dazio.

6.2 Tanto premesso ritiene il Collegio che i Giudici territoriali siano
incorsi in palese violazione dell’art. 220 CDC.

6.3 L’art. 220, paragr. 2, punto b) del reg. CEE n. 2913/92 (nel testo
modificato dal reg. CE n. 2700/2000 applicabile ratione temporis) dispone che:

a-) non si procede a contabilizzazione a posteriori quando l’importo del
dazio non è stato liquidato “per un errore della autorità doganale, che non
poteva ragionevolmente esser scoperto dal debitore, avendo questi agito in
buona fede e rispettato tutte le disposizioni previste dalla normativa in
vigore riguardo alla dichiarazione alla dogana”
b-) l’ipotesi predetta ricorre quando la posizione preferenziale di una
merce è stabilita in base ad un sistema di cooperazione amministrativa che
coinvolge le autorità di un Paese terzo: in tal caso il rilascio da parte di
queste ultime di un certificato, ove esso si riveli inesatto, costituisce un
errore che non poteva ragionevolmente essere scoperto dal debitore purché
questi abbia agito in buona fede

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ric. Ag.Dogane c/Jannone s.p.a.

Co est.
Stefan Olivieri

presso i locali delle ditte appaltatrice di macchinari idonei ad effettuare la

c-) in deroga alla disposizione precedente, il rilascio di un certificato
irregolare “non costituisce tuttavia un errore in tal senso se il certificato si
basa su una situazione fattuale inesatta riferita dall’esportatore”
d-) salvo che risultasse provato che le autorità che hanno rilasciato il
certificato “erano informate o avrebbero ragionevolmente dovuto essere
informate” che le merci non avevano i requisiti per beneficiare del

e-) e sempre che risulti dimostrata la “buone fede” del debitore, il quale
è tenuto a fornire la prova di aver “agito con diligenza per assicurarsi che
sono state rispettate tutte le condizioni per il trattamento preferenziale” (la
prova della buone fede rimane tuttavia, esclusa dalla pubblicazione sulla GUCE di
avvisi che segnalino fondati dubbi sulla corretta applicazione del regime
preferenziale da parte del Paese beneficiario).

6.4 Tale norma è stata interpretata dal Giudice lussemburghese nel senso
che “l’importatore può utilmente invocare il legittimo affidamento ai sensi
dell’art. 220 paragr. 2 lett b) del codice doganale e così beneficiarie della
deroga al recupero a posteriori prevista da detta disposizione solo quando
ricorrano tre condizioni cumulative. Occorre anzitutto che il rilascio
irregolare dei certifìcati … …sia dovuto ad un errore delle autorità
competenti stesse, poi che l’errore commesso dalle medesime sia di natura
tale da non poter essere ragionevolmente rilevato dal debitore di buona
fede e infine, che quest’ultimo abbia osservato tutte le prescrizioni della
normativa in vigore ” (cfr. Corte giustizia UE 15.12.2011, causa C-409110,
Hauptzollamt Hambur-Afasia Knits, punto 47, che richiama le sentenze in data
14.5.1996 cause riunite C-153/94 e C-204/94, Faroe Seafood; in data 3.3.2005 in
causa C-499/03 , Biegi Nahrungsmittel e Commonfood c/ Commissione , punto

46; in data 18.10.2007 in causa C-173/06 Agrover, punto 30).

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ric. Ag.Dogane c/Jannone s.p.a.

Co est.
Stefano ivieri

trattamento preferenziale

6.5 Orbene, premesso che la prova del carattere originario dei prodotti è
fornita mediante il certificato FORMA-A ovvero EUR-1 e la procedura di
controllo è volta essenzialmente a verificare l’esattezza dell’origine indicata
nei certificati precedentemente rilasciati (cfr. Corte giustizia 7.12.1993 in
causa C-12192 , Huygen, punto 16; id. 17.7.1997 in causa C-97195 Pascoal &
Filhos LD, punto 30; id. 9.3.2006, in causa C-293/04, Beemsterboer Coldstore

punto 43; id. 8.11.2012 in causa C-438/11, Lagura Vermogensverwaltung Gmbh,
punto 17), ne consegue sullo specifico piano del riparto dell’onere

probatorio che :
– spetta alla Autorità doganale comunitaria che intenda recuperare a
posteriori il dazio fornire elementi atti ad invalidare la prova
documentale in questione, ovvero dimostrare che “il rilascio dei
certificati inesatti è imputabile alla inesatta presentazione dei fatti
da parte dell’esportatore” (cfr. Corte giustizia 9.3.2006 Beemsterboer
in causa C-293104, punto 39; Corte cass. V sez. 27.7.2012 n. 13483), a

meno che la prova di tale imputabilità sia resa impossibile a causa di
negligenza od impedimento opposto dalla stessa ditta esportatrice
(perdita o mancata esibizione dei documenti allegati -a comprova della
origine della merce- alla richiesta di emissione del certificato FORM-A od
EUR-1, e comunque di qualisiasi altro documento commerciale, fiscale,
doganale, di trasporto dal quale possa evincersi la reale origine del prodotto:
tale impossibilità riveste carattere oggettivo, dovendo ravvisarsi anche nel
caso di eventi non riferibili a condotta dolosa o colposa dell’esportatore,
quale ad esempio la naturale cessazione dell’attività: cfr. Corte giustizia in
data 8.11.2012, in causa C-438111, Lagura Vermogensverwaltung Gmbh,

punto 32)

– spetterà, in tal caso, all’interessato -invertendosi l’onere della provafornire la prova contraria della esattezza delle indicazioni fornite
dall’esportatore al momento della richiesta di rilascio del certificato,
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ric. Ag.Dogane c/Jannone s.p.a.

Service, punto 32; id. 15.12.2011, in causa C-409/10, Afasia Knits Deutschland,

ovvero la prova che le autorità che hanno emesso il certificato
inesatto, successivamente eventualmente invalidato, al tempo del
rilascio dello stesso erano informate o avrebbero dovuto essere
informate che la dichiarazione della ditta esportatrice era inveritiera
in quanto le merci non avevano i requisiti per beneficiare del
trattamento preferenziale: in questo caso non può procedersi,

applicato in misura ridotta in virtù del regime preferenziale di
origine, soltanto se l’operatore economico interessato ha fornito la
prova dell’esistenza dell’errore “colpevole” commesso dalle autorità
che hanno emesso il certificato, ovvero la prova della violazione di
obblighi di controllo previsti da norme che vincolano tali autorità, e
sempre che venga dimostrata altresì la “buona fede” della impresa
importatrice (cfr. Corte giustizia 9.3.2006 Beemsterboer in causa C293/04, punto 45 e 46).

6.6 Dalla disamina della disciplina normativa comunitaria risulta,
pertanto che l’elemento della “buona fede” del debitore (del quale deve
essere data prova mediante la dimostrazione sia della ignoranza incolpevole -“errore
che non poteva ragionevolmente essere scoperto”-

sia della condotta diligente

prestata al fine di verificare la esattezza della indicazione di origine dei prodotti) si

aggiunge a quello dell’ “errore”

che

deve essere imputabile a

“comportamento attivo” della autorità competente. Nel regime doganale
delle preferenze generalizzate che prevede l’intervento delle autorità di un
Paese terzo, sussiste l’indicato presupposto (errore imputabile alla autorità
competente incidente sulla liquidazione del dazio, che non può essere
ragionevolmente scoperto e che non può essere fatto gravare sull’incolpevole
importatore nei confronti del quale non può essere disposto il controllo a posteriori)

quando detta autorità, nell’esercizio delle proprie competenze, fornisca
14
RG n. 7233/2011
ric. Ag.Dogane c/Jannone s.p.a.

Con
t.
Stefano livieri

pertanto, a contabilizzazione a posteriori volta al recupero del dazio

informazioni errate ovvero emetta atti viziati in relazione ai requisiti
formali di validità (violando le norme che regolano il procedimento di formazione
ed esternazione dell’atto) od al loro contenuto sostanziale (come nel caso di
attestazione inesatta della origine della merce: indipendentemente dal fatto che la
inesatta rappresentazione della realtà o l’errato contenuto sia dipeso da condotta
illecita -falso ideologico od errore colpevole- ovvero da errore incolpevole)

e

riferibile alla condotta della stessa autorità emittente, mentre costituisce
espressa deroga normativa all’indicato principio l’ipotesi in cui la
inesattezza della origine preferenziale della merce, pur direttamente
attribuibile ad errore “incolpevole” della autorità del Paese che emesso il
relativo certificato, derivi dalle false od errate dichiarazioni
dell’esportatore: in tal caso il requisito della buona fede dell’importatore,
ove sussistente, deve ritenersi “ex se” inidoneo a sottrarre l’operatore
economico al recupero del dazio mediante controllo a posteriori (salvo che
l’interessato dimostri che le autorità emittenti erano a conoscenza o avrebbero
dovuto conoscere la diversa origine della merce), in quanto “la Comunità non

è tenuta a sopportare le conseguenze pregiudizievoli di comportamenti
scorretti dei fornitori dei suoi cittadini” e inoltre “nel calcolare i vantaggi
realizzabili mediante il commercio di prodotti che possono fruire di
preferenze tariffarie, l’operatore economico accorto e al corrente della
normativa vigente deve valutare i rischi inerenti al mercato che gli
interessa ed accettarli come faceti parte della categoria dei normali
inconvenienti della attività commerciale” con la conseguenza che “la
imposizione all’importatore in buona fede del pagamento dei dazi doganali
dovuti per la importazione di una merce rispetto alla quale l’esportatore
ha commesso un illecito doganale, cui l’importatore non ha partecipato a
nessun titolo, non è in contrasto con i principi del diritto di cui la Corte
garantisce il rispetto” (cfr. Corte giustizia 17.7.1997 causa C-7/95 Pascoal &
15
RG n. 7233/2011
ric. Ag.Dogane c/Jannone s.p.a.

Ste

est.
livieri

dunque quando l’informazione o l’atto viziato sia comunque direttamente

Filhos punti 59-61; cfr. Corte cass. V sez. 3.2.2012 n. 1583; id V sez. 3.8.2012 n.
14032; id. V sez. 27.7.2012 n. 13483)

6.7 Ne consegue che in difetto del previo accertamento del presupposto
dell’errore imputabile a “condotta attiva” delle autorità doganali argentine
(nella specie dell’organismo argentino CERA che aveva emesso i certificati

dei prodotti cui è stata indotta detta autorità alla dichiarazione dell’esportatore: art.
220 paragr. 2, lett. b), CDC-

in mancanza della prova, gravante

sull’importatore, della conformità della origine dei prodotti dichiarata nei
certificati FORNI A ovvero della prova della imputabilità della inesattezza
del certificato di origine al fatto negligente (conoscibilità) o addirittura alla
collusione (conoscenza) della autorità doganale argentina nella frode ordita
dalla impresa esportatrice, la decisione della CTR campana che esclude il
recupero del dazio da parte della Amministrazione doganale sul mero
presupposto dello stato soggettivo di buona fede dell’importatore è
contraria a diritto e deve essere cassata (cfr. Corte eass. V sez. 7.3.2012 n.
3531 che ha precisato come lo stato di buona fede non ha valenza esimente “in re

ipsa” ma solo in quanto sia riconducibile ad una delle situazioni fattuali individuate
dalla normativa comunitaria tra le quali va annoverato l’errore incolpevole
dell’importatore imputabile a comportamento attivo delle autorità doganali, che non
può, tuttavia, consistere nella mera ricezione delle dichiarazioni inesatte
dell’esportatore sull’origine della merce, ma deve invece aver determinato i
presupposti su cui si basa la fiducia del debitore, dal quale è esigibile la diligenza
professionale propria degli operatori del settore).

7. Con il quarto motivo

la Agenzia fiscale ricorrente deduce la

violazione dell’art. 81 reg. CEE n. 2913/1992 e dell’art. 11 Dlgs n.
374/1990, nonché dell’art. 81 reg. n.2454/1993 e dell’art. 16 reg. CEE n.
693/1988, in relazione all’art. 360co1 n. 3 c.p.c.
16
RG n. 7233/2011
ric. Ag.Dogane c/Jannone s.p.a.

Co
st.
Stefano livieri

FORM-A) e quindi -tenuto conto che non rientra in tali ipotesi l’errore sull’origine

La Agenzia fiscale rileva come la autorità che rilascia il certificato di
origine, nell’ambito di un sistema di cooperazione tra la Comunità e gli
Stati terzi, non è tenuta in alcun modo ad effettuare in via preventiva (prima
del rilascio del certificato) controlli e verifiche volte a constatare la
veridicità delle dichiarazioni rese dall’esportatore, come è dimostrato
dall’art. 81co6 reg. 2454/1993 (nel testo sostituito dal reg. CE n. 12/1997

documenti per procedere a eventuali controlli (la cui “ratio” va rinvenuta nella
esigenza di evitare pesanti intralci e ritardi che altrimenti sarebbero imposti alla
speditezza dei traffici) e come può desumersi indirettamente anche dal potere

di revisione a posteriori delle dichiarazioni doganali divenute definitive
accordato alle autorità doganali dello Stato importatore (potere che
implicitamente esclude la esistenza di un obbligo di controllo preventivo a carico
dell’emittente il certificato di origine). Da tale premessa la ricorrente desume

che l’importatore è onerato a svolgere i preventivi accertamenti in ordine
alla reale provenneza della merce che intende importare avvalendosi di un
regime doganale di origine preferenziale. La Agenzia delle Dogane,
pertanto, censura la statuizione della sentenza della CTR che ha fatto
gravare sull’Ufficio l’onere della prova della “negligenza” dell’importatore
(nella verifica della veridicità dei dati dichiarati dall’esportatore e riportati
nel certificato di origine), richiedendo alla stesso di provare che la società
“fosse a conoscenza di una qualsivoglia operazione di dumping ovvero che
la stessa fosse conoscibile con l’ordinaria diligenza”.

7.1 H motivo è fondato.

7.2 La statuizione impugnata, infatti (riportata a pag. 28 ricorso),
esaminando la questione inerente all’obbligo di diligenza posto a carico
dell’importatore quale condizione richiesta per fruire della deroga della
17
RG n. 7233/2011
ric. Ag.Dogane c/Jannone s.p.a.

Co est.
Stefano livieri

del 18.12.1996) che contempla una mera “facoltà” di richiesta di ulteriori

contabilizzazione a posteriori ex art. 220 CDC, ha ritenuto che
l’importatore non dovesse fornire alcuna prova in proposito in quanto
spettava alla Amministrazione dimostrare che l’importatore “fosse a
conoscenza di una qualsivoglia operazione di dumping ovvero che la stessa
fosse conoscibile con l’ordinaria diligenza”.
Tale applicazione della regola del riparto è manifestamente errata

paragrafo 6.5 della presente motivazione) in materia di deroga alla
contabilizzazione a posteriori in caso di errore attivo imputabile alla
autorità doganale.
Come si è già rilevato, l’Amministrazione doganale assolve, infatti, al
proprio onere probatorio dimostrando che l’inesatta origine della merce
indicata nel certificato è dipesa dalla dichiarazione dell’esportatore (nella
specie la Agenzia delel Dogane ha addotto quali prove le risultanze delle
indagini svolte dalla Missione comunitaria in Argentina ed il rapporto
redatto dall’OLAF), rimanendo in tal caso a carico dell’importatore -che
intende avvalersi del regime daziario più favorevole- la prova che la
effettiva origine della merce era quela indicata nei certificati, ovvero la
prova della consapevolezza della diversa origine od anche della negligenza
delle autorità emittenti il certificato in ordine alla rilevazione della diversa
origine della merce.
La sentenza impugnata va dunque cassata.

8. Con il quinto motivo

viene censurato il vizio di insufficiente

motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360co l
n. 5 c.p.c..
La Agenzia fiscale censura la sentenza di appello nella parte in cui
sembra ritenere accertata la orgine argentina della merce, in quanto i
Giudici territoriali non avrebbe preso in esame gli elementi probatori
18
RG n. 7233/2011
ric. Ag.Dogane c/Jannone s.p.a.

. est.
Stdfano Olivieri

venendo a violare la disciplina dell’art. 2697 c.c., come sopra delineata (al

(risultanti dalla relazione finale dell’OLAF) volti a dimostrare la diversa
origine brasiliana delle merci, e non avrebbe dcompiutamente indicato gli
elementi fattuali ritenuti prevalenti e decisivi in ordine all’accertamento
della reale origine dei prodotti.

Premesso che dalla stringata motivazione della sentenza risulta incerto:
se i Giudici territoriali abbiano ritenuto inesatta la origine argentina
indicata nei certificati FORM A (e dunque fondate le risultanze delle
indagini OLAF volte a dimostrare la origine brasiliana dei prodotti:
documenti depositati in giudizio dall’Ufficio doganale e trascritti in
stralcio alle pag. 37-39 del ricorso per cassazione), come farebbe
propendere l’esame del merito circoscritto agli elementi della
fattispecie normativa (buona fede; diligenza) volti a sottrarre
l’importatore, in presenza appunto di errore attivo dell’autorità
emittente i certificati, dal controllo a posteriori
ovvero se i Giudici di appello -se pure incidentalmente- con
riferimento all’accertamento della diligenza prestata dal’importatore,
abbiano invece ritenuto provata la origine argentina della merce
rileva il Collegio che, in ogni caso, difetta del tutto nella sentenza la
rappresentazione del percorso logico argomentativo attraverso il quale i
Giudici di merito pervengono alla soluzione in ordine allo specifico punto
controverso, non potendo ritenersi sufficiente il mero rinvio “per
relationem” ad accertamenti -relativi ad alcune imprese appaltatrici della
lavorazione dei prodotti- che sarebbero stati compiuti nel corso del
procedimento penale svolto in Argentina a carico dei rappresentanti legali
della società esportatrice Tupy Argentina, alla stregua del principio
ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui deve ritenersi
19
RG n. 7233/2011
Ag.Dogane c/Jannone s.p.a.

C1
Stef

. est.
Olivieri

Il motivo è fondato.

pienamente legittima la cd. motivazione “per relationem” agli argomenti in
punto di diritto sui quali è fondata la sentenza di primo grado od altra
sentenza intervenuta in un diverso giudizio tra le stesse parti (o come, nella
specie, ad altra sentenza emessa da un Giudice di un Paese terzo), od
ancora mediante rinvio alle ragioni di diritto rinvenibili nel corpo
motivazionale di un distinto atto espressamente richiamato nella sentenza,

esplicitazione dell’itinerario argomentativo, ricavabile dalla integrazione
dei due corpi motivazionali, dando conto dell’esame critico delle questioni
già risolte nell’atto richiamato e della idoneità delle stesse a fornire la
soluzione anche alle questioni che devono essere decise (cfr. Corte cass. II
sez. 4.3.2002 n. 3066; id. I sez. 14.2.2003 n. 2196; id. III sez. 2.2.2006 n. 2268),

diversamente incorrendo nell’indicato vizio di legittimità, come accade
quando il giudice non precisi affatto le ragioni del proprio convincimento
rinviando, genericamente e

“per relationem”, al quadro probatorio

acquisito, senza alcuna esplicitazione al riguardo, né disamina logicogiuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Corte
cass. sez. lav. 21.12.2010 n. 25866).

Anche in relazione al motivo in esame la sentenza di appelo deve,
pertanto, essere cassata.

9.

In conclusione il ricorso pricipale deve essere accolto, il ricorso

incidentale deve essere rigettato, la sentenza impugnata deve essere cassata
e la causa rinviata per nuovo esame alla Commissione tributaria della
regione Campania che provvederà anche alla liquidazione delle spese del
presente giudizio.

P.Q.M.
La Corte :
20
RG n. 7233/2011
ric. Ag.Dogane c/Jannone s.p.a.

Cons. st.
Stefano Olivieri

sempre che la sentenza assolva al requisito motivazionale mediante

- accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, cassa la
sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Commissione
tributaria della regione Campania che provvederà anche alla liquidazione
delle spese del presente giudizio.

Così deciso nella camera di consiglio 8.1.2013

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