Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24442 del 21/11/2011

Cassazione civile sez. I, 21/11/2011, (ud. 27/10/2011, dep. 21/11/2011), n.24442

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24942/2007 proposto da:

C.D. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CASSIA 531, presso il Dott. LEONETTI FRANCO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MASSA GIANFRANCO, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

L.G. (C.F. (OMISSIS)), M.T. (C.F.

(OMISSIS)), CO.SE. (C.F. (OMISSIS));

– intimati –

avverso la sentenza n. 20/2007 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 16/01/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.D., con citazione del 21.1.1997, citava in giudizio dinanzi al Tribunale di Lecce, L.G..

Esponeva: che il (OMISSIS) aveva contratto matrimonio con il convenuto, in regime di comunione dei beni; che, in seguito, era intervenuta la separazione personale con sentenza del Tribunale di Brindisi del 26.4.1989; che tale sentenza non era, però, divenuta definitiva, avendo il L. proposto appello non ancora definito;

che, in costanza di matrimonio, il L. aveva acquistato insieme a Co.Se. alcuni beni immobili subastati, dichiarando falsamente di trovarsi in regime di separazione dei beni; che detti acquisti, effettuati prima che la sentenza di separazione fosse divenuta definitiva, dovevano,invece, ritenersi caduti in comunione legale, ai sensi dell’art. 177 c.c..

Chiedeva, quindi, il Tribunale di dichiarare che i beni in questione costituivano oggetto di comunione legale.

Instauratosi il contraddittorio, il L. contestava la fondatezza della domanda, deducendo che la sentenza di separazione personale, pronunciata dal Tribunale di Brindisi il 10.6.1989 era passata in giudicato, perchè le parti non avevano proposto appello avverso il capo attinente alla separazione; eccepiva, inoltre, la prescrizione e la decadenza dall’azione, non esercitata entro un anno dalla data di trascrizione dell’atto di acquisto, ex art. 184 c.c..

Con successivo atto di citazione notificato il 12.10.2000, la C. premesso: che, sulla base di quanto asserito dal difensore del L., nella sua comparsa del 6.4.2000 nel giudizio da essa proposto con citazione del 20.1.2003, era venuta a conoscenza che il L., asserendo di trovarsi in regime di separazione; con atto rogito per notar Barone il 30.12.1998 aveva alienato per il prezzo di L. 42.000.000 ai coniugi Co.Se. e M.T., la sua quota di comproprietà di un appartamento sito in (OMISSIS), che egli aveva acquistato il 14.4.92; che tuttavia operando il scioglimento della comunione ex nunc, l’immobile in questione era caduto, all’atto dell’acquisto da parte del L., in regime di comunione legale, posto che la sentenza di separazione personale era divenuta definitiva solo nel 1997, allorchè la Corte territoriale aveva rigettato l’appello proposto da L.; che, giusta il disposto dell’art. 184 c.c., gli atti di disposizione compiuti da uno dei coniugi senza il necessario consenso dell’altro, erano sottoposti ad annullamento; tanto premesso, evocava in giudizio, dinanzi allo stesso Tribunale di Lecce, il L. e i coniugi Co.Se. e M.T., chiedendone la condanna, in solido, al pagamento della somma di L. 21.000.000, pari alla sua quota parte del prezzo di vendita dell’immobile in questione.

Il L. restava contumace, mentre i coniugi Co. – M., costituitisi in giudizio, eccepivano l’infondatezza della domanda.

Disposta la riunione del due giudizi, il Tribunale di Lecce, in composizione monocratica, con sentenza del 6.8-29.10.2002 n. 2155, rigettava le domande, condannando la C. alla rifusione delle spese.

Avverso tale sentenza, con atto di citazione notificato il 17.11.2003, C.D. proponeva appello dinanzi alla Corte, d’appello di Lecce.

Resistevano il L. e i coniugi Co. – M..

La Corte territoriale rigettava il gravame con sentenza 20/07 avverso la quale ricorre per cassazione la C. sulla base di tre motivi, illustrati con memoria, cui non resistono gli intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la C. deduce la violazione e falsa applicazione del disposto dell’art. 184 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per non avere ritenuto la Corte d’appello che gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro, e da questi non convalidati, siano annullabili.

Con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 177 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3: per non avere ritenuto i Giudici di merito rientranti nella comunione dei beni dei coniugali gli immobili acquistati negli anni 1992-1993 da L.G., nelle more del giudizio di appello alla sentenza di separazione giudiziale del Tribunale di Brindisi.

Con il terzo motivo assume che erroneamente la Corte d’appello non ha ritenuto che la sentenza di separazione tra i coniugi fosse passata in giudicato il 7.3.97, per effetto della sentenza della Corte d’appello di Lecce emessa in detta data, anzichè nel 1990, come acclarato anche da altre due sentenze della Corte d’appello di Lecce rispettivamente la n. 2 del 1999 e la n. 577 del 2003.

Tale ultimo motivo riveste carattere pregiudiziale e va quindi esaminato per primo.

Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha rilevato che l’appello proposto dalla C. l’8.2.90 avverso la sentenza del tribunale di Brindisi che aveva pronunciato la separazione aveva investito solo la questione dell’addebito onde doveva ritenersi formato fin dal 1990 il giudicato sulla sola pronuncia di separazione.

Tale statuizione è del tutto corretta risultando conforme al costante orientamento di questa Corte che ha, a più riprese affermato che nel giudizio di separazione personale dei coniugi, la richiesta di addebito, pur essendo proponibile solo nell’ambito del giudizio di separazione, ha natura di domanda autonoma; infatti, la stessa presuppone l’iniziativa di parte, soggiace alle regole e alle preclusioni stabilite per le domande, ha una “causa petendi” (la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio in rapporto causale con le ragioni giustificatrici della separazione, intollerabilità della convivenza o dannosità per la prole) ed un “petitum” (statuizione destinata a incidere sui rapporti patrimoniali con la perdita del diritto al mantenimento e della qualità di erede riservatario e di erede legittimo) distinti da quelli della domanda di separazione.

Pertanto, in carenza di ragioni sistematiche contrarie e di norme derogative dell’art. 329 c.p.c., comma 2, l’impugnazione proposta con esclusivo riferimento all’addebito contro la sentenza che abbia pronunciato la separazione ed al contempo ne abbia dichiarato l’addebitabilità, implica il passaggio in giudicato del capo sulla separazione, rendendo esperibile l’azione di divorzio pur in pendenza di detta impugnazione. (Ex plurimis Cass. Sez. un 15279/01, Cass. 16985/07; Cass. 565/07).

A tale proposito del tutto infondato risulta l’assunto della ricorrente secondo cui il giudicato in questione si sarebbe in realtà formato il 7.3.97 per effetto della pronuncia della Corte d’appello di Lecce, non impugnata, che ha dichiarato improponibile la domanda di divorzio ritenendo ancora pendente a quella data la causa di separazione.

Questa Corte ha infatti ripetutamente affermato che le decisioni su questioni processuali sono suscettibili di formazione del giudicato soltanto nell’ambito dello stesso processo (cosiddetto giudicato interno), e non impediscono la proposizione delle medesime questioni in un successivo giudizio (v. da ultimo Cass. 22212/04; Cass. 14.11.2003, n. 17248; Cass. 8.3.1995, n. 2697).

Il giudicato formatosi nel 1997 non è dunque in grado di riverberare i suoi effetti nel presente giudizio.

Altrettanto deve dirsi per ciò che concerne il giudicato di cui alla sentenza 577 del 2003 riguardante altra controversia patrimoniale tra le parti avente oggetto diverso da quello della presente causa.

Questa Corte ha infatti ripetutamente affermato che, ai fini dell’accertamento della preclusione derivante dall’esistenza di un giudicato esterno, fondamentale ed imprescindibile risulta, oltre all’identificazione della statuizione contenuta nella precedente decisione, il raffronto della stessa con l’oggetto specifico del processo nell’ambito del quale il giudicato dovrebbe fare stato, e quindi il riscontro dell’esistenza di una relazione giuridica tra i diritti dedotti nei due giudizi: la preclusione dev’essere pertanto esclusa qualora il giudizio abbia ad oggetto un rapporto giuridico diverso da quello deciso con la sentenza passata in giudicato, (Cass. 2438/07; Cass. 17883/07).

Nel caso di specie, vertendosi nelle due cause di rapporti patrimoniali diversi non è dubbio che il giudicato accertato dalla sentenza 577/03 non ha alcuna efficacia nel presente giudizio.

Dal rigetto del terzo motivo discende quello dei primi due.

Quanto al primo motivo,con cui contesta il rigetto della domanda relativa ad una serie di immobili (appartamenti in (OMISSIS)) che si assume acquistati in pendenza di matrimonio e successivamente venduti ed in relazione ai quali si chiede l’attribuzione del 50% del prezzo di vendita, si osserva che la sentenza impugnata non contiene alcuna indicazione della data in cui il L. avrebbe acquistato i detti immobili nè tale indicazione viene fornita dalla ricorrente. In ragione pertanto della genericità del motivo, non risultando accertata la data di acquisto di detti immobili da parte del L. che consenta di affermare che l’acquisto avvenne in costanza di matrimonio, il motivo va respinto.

Quanto al secondo motivo, con cui si chiede l’attribuzione della metà della somma ricavata dalla vendita dell’appartamento sito in (OMISSIS), si osserva che, se la sentenza di separazione è passata in giudicato nel 1990, è evidente che l’acquisto nel 1992 dell’immobile da parte del L. è avvenuto al di fuori del regime di comunione legale e che pertanto su di tale immobile e sul prezzo ricavato dalla successiva vendita del medesimo nessun diritto può accampare la C..

Il ricorso va quindi respinto.

Nulla per le spese.

Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 si dispone che in caso di diffusione della presente sentenza vengano omessi le generalità e gli altri elementi identificativi delle parti e dei soggetti in essa citati.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2011

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