Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24441 del 21/11/2011

Cassazione civile sez. I, 21/11/2011, (ud. 26/10/2011, dep. 21/11/2011), n.24441

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 27201 del Ruolo Generale degli affari civili dell’anno

2006 da:

G.R. ((OMISSIS)), titolare dell’omonima

impresa di costruzione, elettivamente domiciliato in Roma, alla Via

Giuseppe Gioacchino Belli n. 122, presso l’avv. MASOTTI Giulio, che

lo rappresenta e difende, per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE di S. ELIA FIUMERAPIDO (FR) (c.f. (OMISSIS)), in persona

del sindaco p.t., autorizzato a stare in giudizio da Delib. G.M. 8

novembre 2006, n. 233 ed elettivamente domiciliato in Roma al Viale

delle Province n. 114 B 23, nello studio dell’avv. D’AMICO Paola,

presso l’avv. Gildo Ciaraldi, che rappresenta e difende l’ente

locale, per procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2977/05, del 1

marzo – 4 luglio 2005.

Udita all’udienza del 26 ottobre 2011 la relazione del Cons. Dr.

Fabrizio Forte;

uditi l’avv. Casotti per il ricorrente e l’avv. Ciaraldi per

controricorrente; sentito il P.M. Dr. FUCCI Costantino, che conclude

per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 2 novembre 2000, il Tribunale di Cassino accoglieva parzialmente le domande del 1987 e del 1993, riunite in una sola causa, di G.R., che aveva preso in appalto nel 1983 la costruzione di una scuola per conto del Comune di S. Elia Fiumerapido (FR) e condannava il convenuto a pagare all’attore L. 20.529.730, oltre la rivalutazione e gli interessi, quale corrispettivo, revisione prezzi e titoli accessori, negando vi fossero stati lavori extra contratto legittimamente eseguiti dall’imprenditore e riconosciuti dal committente.

Nel 1987 il G. aveva chiesto per lavori extra contratto disposti dal sindaco e pagati in parte L. 10.084.475 e per il rimborso delle polizze fideiussorie da cui l’ente locale non lo aveva svincolato, nonostante il suo recesso con adesione del committente, L. 6.890.488 e accessori.

Il Comune convenuto, in riconvenzionale, aveva chiesto la somma di L. 1.312.366 che dai registri di contabilità, cioè dal conto finale dei lavori, risultava a debito dell’attore; questo, dopo la ricostruzione della contabilità dell’appalto operata da un suo tecnico con documenti acquisiti anche presso l’ente locale, nel 1993 chiedeva il pagamento di L. 42.219.055, con le stesse causali della domanda precedente, per saldo lavori e revisione prezzi.

Il Comune proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Cassino, deducendo che il saldo prezzo dovuto a parere del c.t.u., pari a L. 13.021.731, era ingiustificato, in base al registro di contabilità da cui risultava invece un credito di esso committente per L. 1.312.366 di cui aveva chiesto in riconvenzione al G. il pagamento, insistendo in tale domanda anche con il gravame.

Per il Comune di S. Elia Fiumerapide, le riserve del G. iscritte nel conto finale dei lavori erano state rinunciate, non essendo state precisate nei termini di legge, per cui neppure gli interessi erano dovuti e la sentenza appellata doveva riformarsi accogliendo la sua riconvenzionale.

Il G. con l’appello incidentale insisteva perchè fossero riconosciute anche le ulteriori somme dovute dal Comune di Sant’Elia Fiumerapido, quale saldo dell’appalto e per lavori extra contratto riconosciuti da controparte, per i quali il primo giudice aveva respinto le domande con statuizioni da riformare e accoglimento delle richieste dell’appaltatore respinte dal Tribunale di Cassino.

La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 4 luglio 2005, ha accolto il gravame principale del Comune di Sant’Elia Fiumerapido, ritenendo che la somma a base della condanna in primo grado dell’ente locale di L. 9.235.525 per saldo lavori e di L. 3.776.214 per revisione prezzi non era dovuta, non risultando il credito dai registri contabili dei lavori regolarmente tenuta ed in particolare dal conto finale dal quale cui non risultava il credito dell’impresa, comunque non azionabile per rinuncia espressa del 2 marzo 1987 alle riserve iscritte nello stato finale dei lavori, ma non precisate nei quindici giorni successivi del R.D. 25 maggio 1885, n. 350, ex art. 54.

Ha affermato la Corte territoriale la irrilevanza di pretesi riconoscimenti del credito dell’impresa dal sindaco in corso dei tentativi di conciliazione tra le parti, non vincolando tali atti dell’organo dell’ente locale, senza previa delibera della giunta comunale che li autorizzasse, premessa necessaria del contratto da concludere per iscritto dall’ente locale, la cui domanda riconvenzionale doveva respingersi anche essa in quanto anche tale preteso suo credito non si ricavava dalla contabilità dei lavori, ma da un conteggio operato unilateralmente dal direttore dei lavori, che in data 11 aprile 1987 e dopo la chiusura della contabilità, aveva rilevato il debito dell’impresa verso il comune per la prima volta, senza vincolare il G. e al di fuori dei registri contabili dei lavori vincolanti per le parti dell’appalto.

La rilevata mancanza del credito principale del G. determinava l’assorbimento di ogni domanda e gravame sugli interessi, da calcolare ai sensi del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 35 e 36.

La Corte di merito ha infine respinto l’appello incidentale del G. per il pagamento di L. 37.233.791 per lavori extra contratto, non essendo provato che essi fossero stati autorizzati o approvati nei modi di legge e risultando gli stessi solo a dichiarazioni di tecnici anche del comune, non vincolanti per il committente.

Escluso che la firma del sindaco sugli elaborati dei tecnici del comune e dell’impresa, che avevano concordato lavori non previsti in appalto, potesse vincolare l’ente locale, la Corte di merito ha rigettato le domande relative, confermando la decisione di primo grado, in assenza di un contratto scritto idoneo a vincolare la P.A. per tali lavori.

Ad avviso della Corte d’appello doveva negarsi fosse provata l’esistenza di un diritto al rimborso del valore del ferro lasciato in cantiere per le recinzioni rimaste ineseguite, non risultando dimostrati i presupposti di fatto ora richiamati; era anche indimostrata la pretesa del G. di avere il rimborso delle sanzioni INPS e INAIL irrogate all’impresa, per mancato pagamento dei contributi previdenziali e assicurativi solo dovuto ai ritardi nei corrispettivi erogati dall’ente locale.

Per la cassazione di tale sentenza non notificata, il G. ha proposto ricorso di nove motivi notificato al Comune di Sant’Elia Fiumerapido il 3 ottobre 2006 e l’ente locale ha resistito con controricorso notificato il successivo 10 novembre dello stesso anno.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo del ricorso lamenta violazione del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 38, per avere la Corte, con chiari vizi motivazionali, dichiarato correttamente tenuta la contabilità ufficiale dei lavori.

Ad avviso del ricorrente la sentenza, rilevato che i registri contabili non erano prodotti in atti ed erano stati ricostruiti interamente da un tecnico di fiducia del G., contraddittoriamente afferma che la contabilità sebbene “incompleta” è stata “correttamente tenuta”.

Dal registro di contabilità risulta uno stato finale dei lavori risalente a novembre 1984, ma l’appalto ancora era in esecuzione a tale data, tanto che nel 1985 la Direzione lavori aveva in corso in quell’anno il calcolo della revisione dei prezzi.

Del resto, in contrasto con le risultanze contabili, sono in atti: a) “un quadro riassuntivo dare-avere” del 1987, da cui emerge un credito del G. per L. 7.111.547; b) la Delib. G.M. 17 marzo 1987, che riconosce un debito del comune verso il ricorrente per L. 4.865.662;

c) lo stato finale dei lavori, redatto dalla Direzione lavori nell’aprile 1987, da cui risulta il credito del committente preteso in riconvenzione di L. 1.312.368.

La Corte ha ritenuto non provato tale ultimo credito, negando che l’attestazione del direttore dei lavori costituisse un conto finale, essendo stato lo stesso redatto senza contraddittorio con l’appaltatore, per cui non vi è stata in esso alcuna corretta contabilità, da cui rilevare crediti e debiti delle parti.

1.2. In secondo luogo, si denuncia violazione del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 63, per avere la Corte d’appello rinvenuto il conto finale dei lavori nel registro di contabilità, nonostante tali documenti siano e debbano restare distinti, dovendo il primo essere corredato dal secondo e non certo essere ricompreso in esso.

I computi contenuti nel registro di contabilità non potevano rilevare come conto finale dei lavori redatto ai sensi del R.D. n. 350 del 1865, art. 63 e, mancando tale conto, neppure potevano esservi le riserve, che la Corte di merito ha ritenuto rinunciate dall’appaltatore.

Nessun conto finale è stato redatto dalla direzione lavori in contraddittorio con il G. che, ancora nel 1991, aveva richiesto di chiudere la contabilità dei lavori da lui eseguiti, non potendosi identificare come stato contabile finale dell’appalto il documento elaborato dalla Direzione dei lavori nell’aprile 1987, per cui era stata chiesta in riconvenzione dal Comune la condanna del G..

1.3. Il terzo motivo di ricorso censura la sentenza per violazione del R.D. n. 359 del 1895, art. 54, per avere la Corte d’appello ritenuto inefficaci le riserve apposte dal G. sul registro di contabilità un data 14 maggio 1986, non riproposte nel conto finale.

Erroneamente si è richiamato il termine per la precisazione delle riserve di cui all’art. 54 sopra citato, dovendosi negare che quelle nei registri contabili potessero ritenersi riserve iscritte in un inesistente conto finale.

Ad avviso del ricorrente, le c.d. riserve non erano state precisate dal G. nel termine dell’art. 54 del regolamento dei lavori pubblici del 1895, in quanto apposte nel registro contabile, con pretese precise che liquidavano lavori extra-contratto per L. 13.815.492 e la somma chiesta per il rimborso delle polizze fideiussorie, ammontante ad otto rate di L. 335.472 cadauna.

Nessuna quantificazione era necessaria per gli interessi da liquidare ai sensi del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 35, e per la revisione prezzi, da determinarsi in via automatica per l’aumento di questi.

1.4. Viene dedotta pure violazione dell’art. 1353 c.c., per avere la Corte d’ appello ritenuto valida la rinuncia alle riserve, mentre essa era condizionata al formalizzarsi dell’accordo transattivo con il committente.

La corte, pur rilevando che la rinuncia era stata manifestata solo per avere l’appaltatore raggiunto un accordo transattivo con il committente per evitare controversie, non ha considerato che la circostanza della avvenuta transazione era condizione di efficacia della rinuncia che quindi non poteva ritenersi effettiva in assenza di tale accordo.

1.5. Con il quinto motivo di ricorso, si deduce vizio di motivazione della sentenza di merito, nel valutare la richiesta di pagamento dei lavori extra-contratto eseguiti dal G..

La Corte territoriale non ha operato la distinzione tra lavori eseguiti dall’appaltatore per effetto di perizia di variante e quelli posti in essere su commissione del sindaco, il cui corrispettivo fatturato è stato in parte saldato. Si sono erroneamente valutati insieme i diversi lavori fuori contratto di cui sopra, affermando che essi non erano stati preceduti da delibere di G.M. che li approvavano nè risultavano concordati in atti scritti, per cui non vi erano obblighi contrattuali del comune, senza considerare la perizia di variante disposta dalla Direzione Lavori il 7.4.1984, approvata dalla G.M. con Delib. 9 giugno 1984, n. 40 e registrata il 17.10.1984, essendosi omessa ogni valutazione di tale documentazione.

1.6. Il sesto motivo di ricorso censura per violazione dell’art. 112 c.p.c. la sentenza della Corte di merito, comunque carente di motivazione sul punto, per avere omesso di rilevare che le domande attenevano ad una fattispecie di responsabilità contrattuale dell’ente locale.

Sia pure senza precisare la data, il ricorrente afferma che vi era stata una sua istanza di recesso dal rapporto di appalto, accettata dal committente il 17 marzo 1987, con delibera di approvazione di essa n. 111 della G.M..

Ad avviso del ricorrente, il recesso rendeva inutili le riserve che potevano rilevare solo in caso di prosecuzione del rapporto; dopo il recesso e prima della sua accettazione vi erano stati tra le parti tentativi di componimento della controversia, conclusi da un documento sottoscritto dal sindaco del comune committente che, con tale atto, rilevava solo obblighi preesistenti, che avevano fonte in altri accordi scritti vincolanti per l’ente locale.

1.7. In ordine alle polizze fideiussorie, il settimo motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 2697 c.c., affermando che è immotivata la decisione della Corte territoriale che nega la prova del tempestivo svincolo delle stesse polizze, risultando che una di esse fu svincolata il 17 marzo 1987, con la delibera con cui la G.M. accettò il recesso del G., ma nulla risultando dell’altra polizza.

Si afferma in sentenza che il ricorrente non avrebbe provato il mancato svincolo delle polizze fideiussorie, risultando che lo stesso si ebbe solo per una delle polizze con il provvedimento della giunta citato, senza considerarsi dalla Corte territoriale che la delibera di svincolo era stata revocata successivamente, con altro atto del 15 maggio 1987 della stessa giunta, che ha fatto venir meno il dispositivo di accettazione del recesso di controparte, con ogni altra delibera accessoria.

1.8. L’ottavo motivo di impugnazione (pag. 16 del ricorso contrassegnato con il n. 7) denunzia ancora violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello denegato che fosse provata l’esistenza del ferro lasciato dal G. nel cantiere, del cui valore si è chiesto il rimborso.

Afferma la sentenza impugnata che non vi è stata riserva per tale ferro, ma non ha considerato che nel caso non occorreva tale riserva e neppure poteva conoscersi il momento della sottrazione del materiale lasciato in cantiere e andato perduto; anzi non era stata impugnata sul punto la sentenza di primo grado, che aveva riconosciuto un credito del G. per tale ragione di L. 7.500.000, per cui tale statuizione doveva ritenersi passata in giudicato e la decisione del giudice di appello è da ritenere emessa ultra petita e in violazione dell’art. 112 c.p.c..

1.9. L’ultimo motivo di ricorso deduce violazione dalla Corte di merito dell’art. 115 c.p.c., per non avere ritenuto provato il fermo del cantiere e la colpa del committente nella causazione di esso.

La Corte territoriale ha negato al G. il risarcimento del danno per fermo cantiere, per difetto di prova, anche se vi è documentazione che prova che, dal gennaio 1985 al marzo 1987, il ricorrente aveva inviato più inviti al committente per ottenere la determinazione dei confini del cantiere mai precisata dal comune committente.

2.1 I primi tre motivi di ricorso censurano l’uso della contabilità dei lavori dai giudici di merito e il rilievo probatorio dato alla stessa e possono quindi esaminarsi insieme per il loro oggetto.

Essi sono infondati per le violazioni di legge che denunciano, mentre vanno dichiarati inammissibili in rapporto alle carenze motivazionali dedotte, non emergendo la decisività di esse in relazione al rigetto delle domande del ricorrente che censurano.

In rapporto alla contabilità che la Corte d’appello pone a fondamento della decisione, la sentenza chiarisce (pag. 4) che la stessa non è stata acquisita in corso di causa e che se un tecnico nominato dal G. è riuscito a ricostruire la documentazione contabile solo in parte e in base ad essa il ricorrente nel 1993 ha proposto la seconda domanda.

Che la documentazione contabile ricostruita fosse corrispondente a quella “tenuta dal direttore dei lavori… in maniera corretta” (pag.

1 sentenza) non è smentito dai motivi di ricorso, dovendosi confermare la regolarità del registro di contabilità e delle riserve in esso espresse come ricostruiti e nessuna violazione vi è stata quindi del R.D. n. 350 del 1895, art. 38, che elenca solo i documenti amministrativi e contabili dei lavori di cui tenere conto.

Nessun rilievo probatorio la Corte di merito ha dato agli altri atti indicati in ricorso non rientranti nell’elenco della norma da ultimo citata che non è stata violata, e la sentenza non è illogica o contraddittoria allorchè conclude che dai documenti di cui all’art. 38 del regolamento del 1895 non è emersa la prova dei crediti dell’appaltatore e del committente oggetto di causa.

La decisione negativa sia sulle pretese dall’impresa iscritte con le riserve di credito nel registro generale che di quelle a debito del G. di cui al conto finale dei lavori, risulta correttamente motivata in sentenza che per la irregolare compilazione del conto finale ne nega la rilevanza probatoria, con esclusione di ogni violazione del R.D. n. 350 del 1895, art. 63, che non è stato violato con conseguente infondatezza del secondo motivo di ricorso.

E’ infatti irrilevante ogni censura alla collocazione di tale conto insieme ai registri o alla pretesa validità di tale documento, dato che la Corte territoriale ritiene lo stesso privo di effetti probatori per le modalità con cui è stato redatto dalla Direzione lavori senza contraddittorio, con la conseguenza che manca la violazione della norma di cui al secondo motivo di ricorso che deve quindi rigettarsi.

La stessa contraddittorietà tra somme a credito e a debito nei registri contabili dei lavori e nel c.d. conto finale che si è ritenuto invalido, esclude la fondatezza del secondo motivo di ricorso.

Anche la violazione del R.D. n. 350 del 1895, art. 54, non sussiste, perchè la sentenza impugnata rileva la mancanza nei registri dei comportamenti esplicativi delle riserve nei quindici giorni successivi alla loro iscrizione da parte dell’impresa; non si nega quindi che il G. abbia precisato le cifre dei compensi cui credeva di avere diritto, ma si afferma solo che egli non ha precisato le domande di indennità che intendeva proporre così impedendo alla Direzione dei lavori di scrivere le sue deduzioni.

Le uniche riserve esaminate sono quelle nel registro di contabilità del 14 maggio 1986 che la corte di merito ha equiparato a quelle del conto finale che non vi è stato, come già chiarito ed esattamente ad esse non si è dato rilievo in quanto non è stato rispettato dalle parti l’art. 54 del Regolamento più volte richiamato come esattamente afferma la Corte.

La Corte d’appello ha inoltre esattamente rilevato che la quantificazione del crediti di L. 13.815.492 attiene a lavori extra contratto, per definizione logica non soggetti a riserva, mentre per le somme chieste come rimborso delle polizze fideiussoria, non richiedibile nel corso dei lavori e non rilevabili dalla loro contabilità, nulla si è riconosciuto all’appaltatore, in mancanza della prova del perdurare della polizza anche dopo il recesso del G.. Pertanto anche il terzo motivo di ricorso è infondato.

2.2. Nessuna violazione vi è nella sentenza d’appello dell’art. 1353 c.c., nella ricostruzione delle vicende dell’appalto contenuta nella sentenza impugnata (pag. 8), per cui anche il quarto motivo di ricorso deve rigettarsi.

Non è accoglibile la deduzione di cui al quarto motivo di ricorso della esistenza di una condizione o presupposizione insita nella rinuncia alla riserva di azione del G., che contestualmente affermava di avere raggiunto un accordo con il committente, facendo riferimento ad una “attività … conciliativa” posta in essere da lui e il sindaco e irrilevante perchè mai tradotta in un contratto per iscritto e anche in ragione della perdita di efficacia delle riserve stesse per la loro insufficiente specificazione nel termine di cui all’art. 54 del regolamento.

2.3. Pure il quinto motivo di ricorso denuncia carenze motivazionali che non vi sono nella sentenza di merito in ordine al rigetto della domanda del ricorrente di pagamento di lavori non previsti nel contratto d’appalto.

Nessun rilievo assume la differenza tra lavori oggetto di variante, comunque contrattuali, con quelli extra contratto per cui era preteso dal G. il pagamento, e quindi sul punto nessuna carenza motivazionale vi è nella sentenza impugnata che tiene ferma la differenza tra le due fattispecie e nega il diritto del ricorrente ad essere pagato in mancanza di obbligazioni sorte da un regolare contratto scritto concluso con l’ente locale.

2.4. Non sembra coerente con il motivo che precede il sesto motivo di ricorso che insiste nella natura contrattuale delle obbligazioni di cui il G. avrebbe chiesto il pagamento con domanda respinta nel merito, denunciando una extra petizione dei giudici d’appello di cui non chiarisce precisamente i termini.

Affermare che il recesso del ricorrente escludeva l’esigenza delle riserve e che comunque vi erano altri accordi per iscritto tra le parti che obbligavano il Comune ai pagamenti richiesti, senza precisare quali fossero tali atti, rende il motivo di ricorso privo di autosufficienza, e quindi inammissibile.

2.5. Gli ultimi tre motivi di ricorso possono esaminarsi insieme in quanto denunciano carenze della sentenza di merito nell’avere ritenuto non provate circostanze di fatto poste a base di domande di pagamento del ricorrente. Il settimo motivo di ricorso denuncia una violazione degli oneri probatori e dell’art. 2697 c.c., dalla Corte di merito, e non considera che la richiesta di rimborso delle somme erogate per il mantenimento delle polizze fideiussorie dall’appaltatore dopo il suo recesso è stata rigettata non essendovi prova del mancato svincolo.

In ogni caso, non bastava il recesso dall’appalto del G. fino alla chiusura dei conti per imporre al Comune di autorizzare lo svincolo prima dell’accettazione di detto recesso e il motivo non è autosufficiente per la parte in cui deduce il mancato rilievo dato alla revoca della delibera di accettazione dello svincolo del Comune del 15 maggio 1987, senza precisare in quale atto del processo di merito il G. avesse dedotto tale fatto.

Comunque anche nel ricorso non risulta provato la mancanza dello svincolo e il perdurare delle polizze a garanzia della corretta esecuzione dell’appalto, dopo la cessazione del rapporto, come affermano i giudici del merito.

In ordine alla domanda di pagamento del ferro lasciato in cantiere e andato perduto, di cui all’ottavo motivo di ricorso, deve negarsi anzitutto il preteso giudicato sul riconoscimento del relativo credito per L. 7.500.000, che si deduce essere nella sentenza del tribunale non impugnata per tale profilo, dato che tale sentenza fu interamente impugnata, per ogni profilo delle somme per cui vi era stata condanna, dall’ente locale.

La Corte d’appello afferma la mancanza di prova anche della circostanza che il ferro per le recinzioni da costruire fosse rimasto in cantiere (pag. 11 della sentenza) e non vi è censura per tale profilo della decisione, con conseguente rigetto anche dell’ottavo motivo di ricorso del G..

Infine anche il nono motivo di ricorso è inammissibile per la sua genericità censurando il mancato riconoscimento della sospensione dei lavori dovuta a colpa della stazione appaltante per mancata definizione dei confini delle aree dove andava eseguito l’appalto.

Anche per tale profilo si è negata la prova del danno per fermo cantiere, non essendo sufficienti gli inviti di cui accenna il motivo di ricorso a determinare la responsabilità dell’amministrazione, dovendosi ritenere esistenti carenze nelle operazioni di consegna dei lavori (R.D. n. 350 del 1895, art. 9, e segg.), che la legge regola analiticamente, per cui la deduzione dell’esistenza di lettere dell’appaltatore per sollecitare la mancata determinazione dei confini dell’area dove costruire la scuola, non è sufficiente a rilevare il preteso fermo del cantiere.

3. In conclusione il ricorso è infondato e, per la soccombenza, il ricorrente dovrà rimborsare al comune controricorrente le spese sostenute per il presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 4.200,00 dei quali Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 26 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2011

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