Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24440 del 30/10/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 24440 Anno 2013
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: OLIVIERI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso 19743-2008 proposto da:
SOCIETA’ JANNONE ARM SPA in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA OVIDIO 20, presso lo studio dell’avvocato
LANDOLFI ROBERTO, che lo rappresenta e difende giusta
delega a margine;
– ricorrente –

2013
contro

16

AGENZIA DELLE DOGANE

DI

NAPOLI in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

Data pubblicazione: 30/10/2013

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende
ope legis;

controricorrente

avverso la sentenza n. 9/2008 della COMM.TRIB.REG. di
NAPOLI, depositata 1’08/02/2008;

udienza del 08/01/2013 dal Consigliere Dott. STEFANO
OLIVIERI;
udito per il ricorrente l’Avvocato LANDOLFI che si
riporta;
udito per il controricorrente l’Avvocato ALBENZIO che
si riporta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

+.

Svolgimento del processo

La Commissione tributaria della regione Campania con sentenza 8.2.2008
n. 9 rigettava l’appello proposto da Jannone Arm s.p.a. e confermava la

dall’Ufficio doganale ai sensi dell’art. 11 Dlgs n. 374/1990, con il quale era
stato richiesto il pagamento del dazio antidumping in relazione alla
importazione di accessori per tubi di ghisa malleabile, dichiarati di origine
argentina nella bolletta di importazione definitiva 1M14 n. 2318 E
presentata dalla società in data 11 febbraio 2002 e ritenuti invece
dall’Ufficio doganale di origine brasiliana.
I Giudici territoriali rilevavano che:
– l’avviso di rettifica doveva ritenersi correttamente motivato in quanto
era stato notificato contestualmente al PVC che si basava essenzialmente
sui risultati dell’attività di indagine svolta dalla Missione comunitaria in
Argentina nel periodo 6-18.12.2004 (la mancata allegazione della circolare
n. 1174/UDC/AS dell’Ufficio Antifrode era irrilevante atteso che tale
documento conteneva istruzioni rivolte agli Uffici prive di riferimento al
caso specifico)
– erano state osservate le norme comunitarie che disciplinavano i
controlli delle merci esportate in regime preferenziale (art. 94 reg. CE n.
2454/1993) atteso che le risposte fornite dalle autorità argentine, in
particolare dalla Camera degli esportatori della Repubblica argentinaCERA, non concernevano la effettiva origine dei prodotti ma la mera
regolarità formale dei certificati di origine emessi
– il disconoscimento della origine argentina della merce indicata nei
certificati trovava riscontro: 1-nella mancanza di impianti produttivi della
TUPY Argentina; 2-nella identità delle caratteristiche di “peso, valore e
RG n. 19743/2008
ric. Jannone Ann s.p.a. c/Ag.Dogane

1

est.
C
Stefano ivieri

sentenza di prime cure dichiarando legittimo l’avviso di rettifica, emesso

codice identificativo” delle merci importate da TUPY Argentina dal Brasile
e dei prodotti asseritamente lavorati dalla ditte appaltatrici ed esportati,
tenuto conto delle differenze che si sarebbero invece dovute riscontrare
dopo la zincatura e filettatura (essendo irrazionale sotto l’aspetto
economico che la TUPY Argentina importasse prodotti già zincati per poi
procedere alla filettatura e quindi nuovamente al processo di zincatura); 3-

penale dalla AG argentina (sentenza di assoluzione dei rapp.ti legali di
TUPY Argentina dal reato di contrabbando) in quanto se tra le merci
rivenute presso i locali del società vi erano anche “raccordi non filettati”, e
se era stata accertata la regolarità della documentazione contabile della
merce rinvenuta nei depositi di TUPY corrispondendo tali dati a quelli
indicati nei certificati di “importazione” dal Brasile, tuttavia non era stato
possibile identificare quale fosse la destinazione (al mercato interno o alla
esportazione) di tale merce; 4-la Jannone s.p.a. non aveva dimostrato che
le incongruenze temporali, rilevate dalle date delle fatture depositate in
giudizio, in riferimento ai tempi di importazione del prodotto zincato non
filettato, di trasporto e consegna per la lavorazione di filettatura e di
immagazzinamento ed esportazione del prodotto finito, fossero
specificamente riferibili alla merce importata in Italia oggetto dell’avviso di
rettifica impugnato, o comunque si riferissero a prodotti non filettati; 5-non
era stata fornita alcuna prova che le merci non lavorate rinvenute nei locali
della TUPY fossero state consegnate alle ditte appaltatrici per la filettatura
e quindi esportate in Europa; 6-era sfornita di prova la allegazione secondo
cui fino al 28.2.2002 i “raccordi non filettati” non fossero commercializzati
in Argentina e quindi mancasse un autonomo codice identificativo diverso
da quello 2454 IRAM utilizzato per la classificazione tariffaria dei
“raccordi filettati”.

RG n. 19743/2008
ric. Jannone Arm s.p.a. c/Ag.Dogane

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• est.
Olivieri

nella mancanza di decisività degli accertamenti svolti nel procedimento

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Jannone ARM
s.p.a. deducendo quattro motivi di cui tre corredati di quesito di diritto ex
art. 366 bis c.p.c..
Ha resistito la Agenzia delle Dogane con controricorso eccependo la
inammissibilità del ricorso in quanto proposto nei confronti della Agenzia
delle Dogane di Napoli anzichè nei confronti della Agenzia delle Dogane

La parte resistente ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

1. La eccezione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso è
manifestamente infondata.

1.1 H ricorso è stato proposto nei confronti della “Agenzia delle Dogane
di Napoli in persona del Direttore p.t.-, con sede in Napoli…rappresentata
e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato ed elettivamente
domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12” e notificato in data 15.7.2008
presso il domicilio indicato.
La duplice irregolarità attinente rispettivamente, alla indicazione del
soggetto resistente ed al destinatario della notifica (non essendo stato
rappresentato e difeso l’Ufficio doganale nel precedente grado di giudizio dalla
Avvocatura erariale), non determina tuttavia la inammissibilità del ricorso in

quanto:

– relativamente alla indicazione del soggetto resistente la irregolarità
risulta sanata dalla costituzione della Agenzia delle Dogane (mediante
notifica del controricorso in data 18.9.2008 -peraltro nel termine di cui all’art. 327
c.p.c.- e rituale deposito dello stesso in Cancelleraia), e comunque dovendo

ribadirsi il principio affermato da questa Corte secondo cui “la nuova realtà
ordinamentale [ndr. introdotta dal Dlgs 30.7.1999 n. 300 istitut vo delle
RG n. 19743/2008
ric. Jannone Arm s.p.a. c/Ag.Dogane

3

Co q.
Stefano O vieri

con sede in Roma.

Agenzie fiscali] caratterizzata dal conferimento della capacità di stare in
giudizio agli uffici periferici della Agenzia in via concorrente ed alternativa
rispetto al direttore, consente di ritenere che la notifica della sentenza di
merito ……e quella del ricorso possano essere effettuate, alternativamente,
preso la sede centrale della Agenzia o presso i suoi uffici periferici, in tal
senso orientando la interpretazione sia il principio di effettività della tutela

inammissibilità, sia il carattere impugnatorio del processo tributario, che
attribuisce la qualità di parte necessaria all’organo che ha emesso l’atto o
il provvedimento impugnato” (cfr. Corte cass. SU 14.2.2006 n. 3116 e n. 3118
e le altre successive)

– relativamente al vizio della notifica del ricorso eseguita presso
l’Avvocatura Generale dello Stato anziché presso la sede centrale della
Agenzia fiscale, occorre considerare che :
a) in tema di contenzioso tributario, qualora nel giudizio di merito
l’Agenzia fiscale non sia stata rappresentata dall’Avvocatura dello
Stato, è nulla, e non inesistente, la notifica del ricorso per cassazione
effettuata presso l’Avvocatura dello Stato, non potendosi escludere
l’esistenza di un astratto collegamento tra il luogo di esecuzione
della notifica ed il destinatario della stessa, in considerazione delle
facoltà, concesse all’Agenzia fiscale dall’art. 72 del d.lgs. 30 luglio
1999, n. 300, di avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura (cfr. Corte
cass. SU 29.10.007 n. 22641)

b) la tipologia del vizio di invalidità della notifica consente la sanatoria
“ex tunc” dell’atto, per raggiungimento dello scopo ex art. 156co3
c.p.c., mediante rinnovazione della notificazione o costituzione in
giudizio dell’intimato (ipotesi che ricorre nek caso di specie), anche
se effettuata al scolo scopo di eccepire la nullità (cfr. Corte eass. III
sez. 19.7.2005 n. 15190; id. I sez. 11.6.2007 n. 13667; id. SU n. 22641/2007
cit.; id. V sez. 4.4.2008 n. 8777).
RG n. 19743/2008
ric. Jannone Arm s.p.a. c/Ag.Dogane

4

Cons. st.
ieri
Stefano

giurisdizionale, che impone di ridurre al massimo le ipotesi di

Ne consegue che, essendosi costituita la parte resistente nel presente
giudizio, senza peraltro limitarsi alla proposizione della relativa eccezione
ma svolgendo ulteriori difese che presuppongono l’accettazione del
contraddittorio e l’assenza di pregiudizi all’effettivo esercizio del diritto di

2. Con il primo motivo (lett. A, pag. 23 ricorso) e con il terzo motivo (lett.
B, pag. 37 ricorso) la società ricorrente censura la sentenza di appello per
violazione degli artt. 112 e 324 c.p.c., per omessa rilevazione della
inammissibilità dell’appello proposto dall’Ufficio in conseguenza del
giudicato, formatosi in altro giudizio, su un punto fondamentale comune
alla presente controversia.
Sostiene la ricorrente che in precedente giudizio avente ad oggetto la
opposizione avverso analoghi avvisi di rettifica concernenti il
disconoscimento del trattamento preferenziale alla importazione di
medesimi prodotti era stato eccepito il giudicato interno formatosi, per
omessa specifica impugnazione, in relazione alla statuizione della sentenza
delle CTP di Napoli n. 486/2005 che aveva dichiarato intangibili i
certificati di origine FORM-A emessi dal Paese beneficiano in difetto di
accertamento giudiziale della falsità di tali atti ed aveva dichiarato privi dei
requisiti ex art. 2729 c.c. gli indizi forniti dall’Ufficio a sostegno della
diversa origine della merce.
In relazione a tale giudicato, che investe un punto determinate comune ad
entrambe le cause, viene invocata la estensione della efficacia preclusiva
nel presente giudizio, alla stregua dei principi di diritto espressi dal
precedente di questa Corte di cui alla sentenza resa a SSUU 13.6.2006 n.
13916.

2.1 I motivi sono infondati.
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ric. Jannone Arm s.p.a. c/Ag.Dogane

oòj est.

5
Ste

ivieri

difesa, il vizio di nullità della notifica deve ritenersi sanato.

2.2 In disparte il rilievo che, tranne il caso in cui il giudicato esterno sia
conseguito a pronuncia della stessa Corte di cassazione, l’omesso deposito
della sentenza di merito emessa in diverso giudizio corredata di
attestazione di passaggio in giudicato, impedisce alla Corte di verificare
l’invocato effetto preclusivo (i motivi di ricorso appaiono infatti fondati su una
una sentenza passata -parzialmente- in giudicato); in disparte altresì il rilievo per

cui i motivi di ricorso appaiono carenti sotto il profilo della specificità ex
art. 366 c.p.c. in quanto la parte ricorrente, nel denunciare
cumulativamente e contraddittoriamente sotto il profilo del vizio di

peraltro

“error in

procedendo”, sembra per omessa pronuncia sulla eccezione di giudicato esterno, e
del vizio di “error in judicando”, che al contrario presuppone che tale eccezione sia
stata presa in esame e decisa, in ipotesi, erroneamente-

l’omesso rilievo del

giudicato formatosi in altro giudizio, trascura del tutto di riferire il
momento in cui si sarebbe formato il giudicato, e se e quando tale
eccezione sia stata ritualmente proposta al Giudice di merito che ha
pronunciato la sentenza impugnata per cassazione; in disparte ancora il
rilievo per cui i quesiti di diritto formulati in calce al primo e terzo motivo
ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. —applicabile ratione temporis- appaiono
gravemente carenti in quanto, da un lato, si limitano ad affermare
apoditticamente la intervenuta formazione del giudicato, e dall’altro si
risolvono nella domanda tautologica

priva di qualisasi riferimento alla

fattispecie concreta se, intervenuta la formazione di un giudicato esterno “tra

le medesime parti, avente ad oggetto le medesime contestazione ed il
medesimo rapporto giuridico”, il Giudice sia o meno tenuto a rilevarlo
d’ufficio ed a dichiarare “precluso il riesame dello stesso punto di diritto
già accertato e risolto”, ebbene indipendentemente dai predetti rilievi
osserva il Collegio come nel caso di specie non sia neppure astrattamente
invocabile una estensione del giudicato formatosi nel diverso giudizio.

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6

Con
t.
Stefano O ‘N/ieri

mera eccezione di giudicato interno, proposta in altro giudizio, piuttosto che su di

2.3 Secondo un costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, il
giudicato si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione,
anche ove ne sia solo il necessario presupposto logico (cfr. Corte cass. sez.
lav. Sentenza n. 7140 de/ 16/05/2002).

Tale indirizzo giurisprudenziale richiede che entrambe la cause, tra le
stesse parti, abbiano ad oggetto un medesimo negozio o rapporto

in tal caso, infatti, l’accertamento compiuto in merito ad una situazione

giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto

incidente su

un punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituente

indispensabile premessa logica della statuizione

contenuta nella sentenza

passata in giudicato, precludono l’esame del punto accertato e risolto, anche
nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che
costituiscono lo scopo ed il “petitum” del primo (cfr. Corte cass. III sez.
16.5.2006 n. 1365; id. III sez. 3.10.2005 n. 19317; vedi III sez. 24.3.2006 n. 6628).

2.4 Tanto premesso, rileva il Collegio che difetta nella concreta
fattispecie sottoposta all’esame della Corte, la identità del titolo o del
rapporto dal quale derivano le pretese fatte valere nelle due cause, attesa la
oggettiva autonomia dei rapporti giuridici tributari, tra le stesse parti, che
hanno costituito, rispettivamente, oggetto del giudizio nel quale si sarebbe
formato il giudicato interno, ed oggetto della presente controversia.
I due giudizi attengono, infatti, a distinti provvedimenti impositivi
relativi a diversi anni di imposta, e si riferiscono ad obbligazioni tributarie
che, se presentano caratteri comuni quanto al tipo di dazio applicato ed alla
contestazione formulata dall’Ufficio finanziario

(difetto di origine

preferenziale delle merce), sono tuttavia originate da situazioni fattuali diverse
(differenti operazioni di importazioni della merce nel territorio doganale della UE)

non riconducibili ad un medesimo fatto generatore di imposta,

rimanendo

esclusa, pertanto, contrariamente a quanto ipotizzato dalla società
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Co est.
Stefano
vieri

giuridico ed una di esse sia stata definita con sentenza passata in giudicato:

ricorrente, la “identità oggettiva del rapporto giuridico”, dedotto in
entrambi i giudizi, che unicamente consente -anche in caso di differente
“petitum”: idest di diversa finalità cui è rivolto ciascun giudizio- di
ravvisare quella unitarietà della “causa petendi” che soltanto può
giustificare la esigenza di evitare contrasti in ordine a questioni giuridiche
che costituiscono il necessario presupposto logico-giuridico comune ad

originano le diverse pretese tributarie si qualificano, infatti, in relazione alla
“concreta” modalità di realizzazione del presupposto impositivo, che si
configra in modo autonomo rispetto a ciascuna importazione di merce, con
la conseguenza che le statuizioni adottate in una causa, anche se
concernenti identiche questioni di diritto, non possono spiegare efficacia
vincolante nell’altra causa (cfr. Corte eass. V sez. 20.6.2008 n. 16816 secondo
cui “Ai fini dell’incidenza di un giudicato su di una controversia non inerente il
medesimo rapporto fondamentale, non può riconoscersi alcun effetto preclusivo sia
alle statuizioni incidentali relative a rapporti pregiudiziali sia alla soluzione di
singole questioni di fatto o di diritto, contenuta nella motivazione ed effettuata dal
giudice solo per pronunciare sulla specifica situazione dedotta in giudizio”; id. V
sez. 30.12.2009 n. 28042).

2.5 Non può, pertanto, essere condivisa la tesi sostenuta dalla società
ricorrente laddove viene invocata, peraltro non l’applicazione diretta ma la
“estensione” del giudicato esterno -in ipotesi formatosi in un altro giudiziosul “punto fondamentale comune” concernente la intangibilità da parte delle
Autorità doganale comunitarie dei certificati di origine emessi dal Paese
beneficiario, alla stregua del principio di diritto affermato da Corte cass.
SU 16.6.2006 n. 13916, al quale si sono uniformate le successive sentenze
delle sezioni semplici, secondo cui l’accertamento giudiziale del “modo di
essere di una obbligazione relativa ad un singolo periodo di imposta” fa
stato con forza di giudicato nel giudizio relativo alla obbligazione sorta in
un periodo d’imposta successivo.
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Co est.
ivieri
Stefan

entrambe le decisioni. Le differenti situazioni giuridiche dalle quali

La sentenza delle SS.UU. viene, infatti, richiamata a sproposito, avendo
omesso di considerare la parte ricorrente che la “invarianza dell’elemento
preliminare” rispetto alla costituzione della fattispecie tributaria (ovvero
dell’elemento che costituisce il referente per l’applicazione della specifica disciplina
normativa), si caratterizza per il collegamento ad una situazione fattuale che

deve presentarsi

(nella sua qualificazione giuridica)

“tendenzialmente

la fattispecie medesima per una pluralità di periodi di imposta”, e deve
essere correlata ad un interesse protetto che abbia il carattere della
durevolezza. Tali condizioni, come puntualizzato nell’indicato precedente
delle SS.UU., possono verificarsi nella ipotesi di “tributi periodici” (recte:
di obbligazioni tributarie il cui adempimento è frazionato nel tempo)

fattispecie quali le “esenzioni od agevolazioni pluriennali”

o di

(ipotesi in

concreto esaminata nella sentenza delle SS.UU.) in cui la specifica disciplina

normativa assume la “pluriennalità” come elemento costitutivo della
fattispecie, venendo ad essere sostanzialmente trattati i diversi periodi di
imposta “come una sorta di maxiperiodo” (cfr. motiv. sent. SU paragr. 4.1).
Orbene nessuna di tali condizioni è riscontrabile nel caso di specie, atteso
che, in relazione alla specifica fattispecie impositiva (il cui fatto generatore va
individuato nella importazione ed immissione in libera pratica della merce nel
terriotrio doganale della Comunità), il “tempo” non è considerato dalla

disciplina normativa come elemento costitutivo essenziale del rapporto
tributario, e tanto meno il diritto alla fruizione del trattamento daziario più
favorevole risulta correlato, dalla norma tributaria, alla qualificazione
giuridica di una situazione fattuale connotata dal carattere della durevolezza
(il diritto in questione, infatti, è condizionato alla presentazione del titolo -certificato
di origine emesso in relazione a ciascuna importazione- ed alla effettiva origine delle
merce nel Paese beneficiario: trattasi di un rapporto tributario in cui l’elemento della
periodicità rimane estraneo alla fattispecie).

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C
est.
Stefano ivieri

permanente” e dunque durevole, costante nel tempo, entrando “a comporre

2.6 Entrambi i motivi primo e terzo aventi ad oggetto la eccezione di
estensione del giudicato esterno debbono ritenersi, in conseguenza,
infondati.

3. Con il secondo motivo (lett. B, pag. 29 ricorso) la società ricorrente

per violazione degli art. 7 legge n. 241/1990, 11 co5 bis Dlgs n. 374/1990 ,
3 e 24 Cost. in relazione all’art. 360co1 n. 5 c.p.c..
Sostiene la società ricorrente che i Giudici territoriali erroneamente
hanno riconosciuto legittima la motivazione dell’avviso di rettifica
effettuata “per relationem” all’allegato PVC in data 31.1.2005 ed alla
circolare dell’Ufficio Antifrode Centrale della Ag. Dogane n.
1174/UDC/AS, non tenendo conto che il primo documento si limitava a sua
volta soltanto a rinviare ai risultati della Missione comunitaria in Argentina,
ed inoltre che non erano stati comunicati alla società contribuente gli atti
allegati alla predetta circolare dell’Ufficio Antifrode, tra cui la
comunicazione OLAF in data 20.5.2005 -prodotta successivamente solo nel
corso del giudizio- che descriveva in maniera esaustiva i risultati della
indagine amministrativa antifrode. Inoltre la sentenza della CTR appariva
contraddittoria laddove, da un lato, era stata ritenuta legittima la mancata
comunicazione alla società contribuente dei verbali della Missione
comunitaria per “motivi di segretezza di ufficio” e, dall’altro, che la società
era stata comunque in grado di spiegare le sue difese atteso che tali verbali
erano stati successivamente prodotti nel corso del giudizio.

3.1 H motivo va dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.

3.2 L’onere della formulazione del “quesito di diritto” a conclusione di
ciascun motivo del ricorso per cassazione con il quale si denuncino i vizi di
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10

C
Stefa

est.
livieri

impugna la sentenza per contraddittorietà e/o illogicità della motivazione,

violazione di legge di cui all’art. 360co1 nn. 1-4) c.p.c., nonché l’analogo
onere di chiara formulazione del fatto controverso ovvero di indicazione
delle ragioni della incogruenza della decisione a conclusione del motivo di
ricorso con il quale si denunciano vizi motivazionali della sentenza
impugnata ex art. 360co l n. 5) c.p.c. (“chiara indicazione del fatto controverso
in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le

giustificare la decisione”), sono prescritti a pena di inammissibilità dall’art.

366 bis c.p.c., norma che è stata introdotta dall’art. 6 del Dlgs 2.2.2006 n.
40 e che trova applicazione ai ricorsi proposti avverso sentenze e
provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2.3.2006 data di entrata in vigore
dello stesso decreto (e fino al 4.7.2009, data dalla quale opera la successiva
abrogazione disposta dall’art. 47co1 lett. d) Legge 18.6.2009 n. 69).

Il motivo in esame, con il quale si deducono vizi di motivazione e di
violazione di norme diritto, non assolve al requisito indicato e va dunque
dichiarato inammissibile
4. Con il terzo motivo (indicato anch’esso con la lett. B, pag. 37 ricorso) la
società ricorrente -oltre a formulare la eccezione di giudicato già esaminata
unitamente al primo motivo- impugna la sentenza di appello per violazione
di norme comunitarie (artt. 26, 67, 81, 83, 87 e 94 CDC -recte: artt. 67, 81,
83, 87, 94 del reg. n. 2454/1993 att. CDC-) in relazione all’art. 360co l nn.
3 e 5 c.p.c..
La tesi sostenuta dalla ricorrente si incentra sull’illegittimo
riconoscimento del potere della Autorità doganale comunitaria di
“invalidare” i certificati di origine FORM-A, atteso che le norme
comunitarie, in caso di dubbi e contestazioni sulla validità o sulla
indicazione di origine dei prodotti contenute in tali documenti, prevedono
un sistema di “cooperazione” con le autorità del Paese beneficiario,
competenti a controllare i dati riportati nel certificato e ad effettuare le
verifiche a posteriori su richiesta degli organi comunitari: solo all autorità
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ric. Jannone Arm s.p.a. c/Ag.Dogane

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Cons. st.
Stefax1vieri

ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a

del Paese terzo esportatore è affidata la verifica della origine dei prodotti e
dunque alle autorità doganali comunitarie non è consentito disapplicare o
invalidare i certificati di origine in questione. Avendo opposto l’autorità
argentina (CERA) un rifiuto alla revoca od annullamento dei certificati di
origine, l’Amministrazione doganale era tenuta a conformarsi alle
indicazioni contenute nei certificati ed a riconoscere il trattamento daziario

4.1 H motivo è infondato.

4.2 Occorre premettere che per quanto concerne la disciplina dell’onere
probatorio applicabile ai diritti che trovano fondamento nei regimi doganali
di origine preferenziale (art. 20 paragr. 3, lett. d) ed e), nonchè art. 27 reg. CEE
2913/92 CDC) e non preferenziale (art. 20 -con esclusione delle misure di cui al
paragr. 3, lett. d) ed e), nonchè art. 22 reg. CEE 2913/92 CDC) delle merci “le

norme relative all’onere della prova ed ai mezzi probatori del carattere
originario delle merci rientrano nel diritto nazionale solo in quanto non
derivino dal diritto comunitario” (cfr. Corte giustizia 14.5.1996, Faroe
Seaf000d, cit., punto 60).

In applicazione del principio indicato al certificato di origine FORM-A
(ed analogamente al certificato di origine EUR-1, previsto nel caso in cui il regime
preferenziale tariffario sia disposto a seguito di accordo di libero scambio tra
l’Unione e lo Stato terzo) viene riconosciuto dall’ordinamento comunitario

uno speciale regime giuridico che si impone agli Stati membri: tale
certificato, infatti, costituisce il documento indispensabile attraverso il
quale deve essere dimostrata la origine della merce, con la conseguenza
che, all’importatore che intenda avvalersi delle agevolazioni tariffarie
concesse in base ad un regime tariffario preferenziale ovvero intenda
dimostrare -in relazione ad un regime tariffario non preferenziale- la origine
del prodotto al fine di evitare la applicazione di misure “antidumping”, non
è dato prescindere dal predetto documento e provare aliunde il pr supposto
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c
Stef

st.
ivieri

previsto per le merci di orgine argentina esportate in Italia.

di fatto cui è condizionata la applicazione del beneficio fiscale (inequivoca la
disposizione dell’art. 26 paragr. 1 CDC —secondo cui la normativa comunitaria può
prevedere

“che l’origine delle merci debba essere comprovata mediante

presentazione di un documento”- e di quella dell’art. 84 reg. CEE n. 2454/1993 modificato dal reg. CE n. 12/97 della Commissione in data 18.12.1997-, applicabile
“ratione temporis” secondo cui “il certificato d’origine, modulo A, costituisce il

preferenze tariffarie…” -analogamente dispone l’attuale art. 110 paragr. 2 del reg. n.
2454/93 come modificato dal reg. CEE n. 1602/2000 della Commissione in data
24.7.2000-; del pari inequivoca la disposizione dell’art. 81 paragr. 1 e 2 del
medesimo reg. CEE n. 2454/1993 —come sopra modificato- secondo cui “i prodotti
originari…possono all’atto dell’importazione nella Comunità beneficiare delle
preferenze tariffarie…su presentazione di un certificato di origine,

modulo A…Il

certificato di origine, modulo A, viene rilasciato solo se può costituire titolo
giustificativo ai fini delle referenze tariffarie…”).

4.3 Tuttavia tale “efficacia giustificativa” del trattamento tariffario più
favorevole (idest: tale efficacia rappresentativa della origine del prodotto),
attribuita ai predetti moduli, non è assoluta, in quanto le autorità doganali
dello Stato membro in cui la merce viene immessa al consumo possono
verificare “a posteriori” (dunque successivamente al rilascio del predetto
certificato) la genuinità del documento e la esattezza della origine del
prodotto indicata nel certificato FORM-A od EUR-1 (cfr. Corte giustizia
17.7.1997, Pascoal & Filhos, cit.,punto 30; id. 9.3.2006 Beemsterboer, cit, punti
32-33), venendo pertanto ad essere privato, il documento, della propria

efficacia “giustificativa-dimostrativa” in caso di accertamento, non soltanto
della contraffazione od alterazione del certificato, ma anche della falsa od
inesatta rappresentazione dei fatti in esso indicati (cfr. art. 26 paragr. 2 CDC
-che dispone: “Nonostante la presentazione di detto documento l’autorità doganale
può richiedere, in caso di seri dubbi, qualsiasi altra provacomplementare per
accertarsi che l’origine indicata risponda alle regole stabilite dalla normativa
comunitaria”—; art. 220 reg. CEE n. 2913/1992 CDC, con la norma di attuazione
di cui all’art. 94 comma 1 e 5 reg. n. 2454/93 -nel testo vigente “ration temporis”,
C
est.
RG n. 19743/2008
13
ric. Jannone Arm s.p.a. c/Ag.Dogane

Stefao ivieri

documento giustificativo dell’applicazione delle disposizioni relative alle

ed attualmente riprodotta nell’art. 122 del regolamento di esecuzione- che dispone:
“il controllo a posteriori dei certificati di origine, modulo A, viene effettuato per
sondaggio ovvero ogniqualvolta le autorità doganali della Comunità nutrano dubbi
fondati circa la autenticità del documento o la esattezza delle informazioni circa la
origine effettiva dei prodotti

in questione”, ed autorizza le autorità doganali a

rifiutare il beneficio delle misure tariffarie preferenziali, ove persistano “dubbi

pubbliche del Paese beneficiario).

Ne consegue che la normativa comunitaria che disciplina espressamente
la “contabilizzazione a posteriori” del dazio doganale (art. 220 CDC; art.
94 DAC), attribuendo espressamente alle autorità dello Stato membro di
importazione la facoltà di contestare -anche in seguito al provvedimento
definitivo di accettazione della importazione- la origine della merce e di
rifiutare la applicazione del regime preferenziale di origine (recuperando
l’importo daziario dovuto), si palesa del tutto incompatibile con
l’attribuzione di “fede privilegiata” al documento rilasciato dalle autorità
del Paese terzo beneficiario.
In proposito l’art. 220, paragr. 2, punto b) del reg. CEE n. 2913/92 (nel
testo modificato dal reg. CE n. 2700/2000 applicabile “ratione temporis”) dispone

che:
a-) non si procede a contabilizzazione a posteriori quando l’importo del
dazio non è stato liquidato “per un errore della autorità doganale, che non
poteva ragionevolmente essere scoperto dal debitore, avendo questi agito
in buona fede e rispettato tutte le disposizioni previste dalla normativa in
vigore riguardo alla dichiarazione alla dogana”
b-) l’ipotesi predetta ricorre anche quando la posizione preferenziale di
una merce è stabilita in base ad un sistema di cooperazione amministrativa
che coinvolge le autorità di un Paese terzo: in tal caso il rilascio da parte di
queste ultime di un certificato, ove esso si riveli inesatto, costituisce “un
errore” che non poteva ragionevolmente essere scoperto dal debitore
purchè questi abbia agito in buona fede
RG n. 19743/2008
ric. Jannone Arm s.p.a. c/Ag.Dogane

14
Ste

est.
Olivieri

fondati” all’esito delle verifiche eseguite o delle informazioni fornite dalle autorità

c-) in deroga alla disposizione precedente il rilascio di un certificato
irregolare “non costituisce tuttavia un errore in tal senso se il certificato si
basa su una situazione fattuale inesatta riferita dall’esportatore”, salvo che
(eccezione alla deroga) risulti provato che le autorità che hanno rilasciato il
certificato “erano informate o avrebbero ragionevolmente dovuto essere
informate” che le merci non avevano i requisiti per beneficiare del

del debitore, il quale è tenuto a fornire la prova di aver “agito con diligenza
per assicurarsi che sono state rispettate tutte le condizioni per il
trattamento preferenziale” (la prova della buone fede è, in ogni caso, esclusa
dalla pubblicazione sulla GUCE di avvisi che segnalino fondati dubbi sulla corretta
applicazione del regime preferenziale da parte del Paese beneficiario).

La descritta disciplina normativa del “controllo a posteriori” rifluisce
direttamente anche sulla efficacia probatoria del certificato di origine e
sulla applicazione della regola del riparto dell’onere probatorio.
Premesso, infatti, che la prova del carattere originario dei prodotti deve
essere fornita dall’operatore mediante il certificato FORM-A od EUR-1 e la
procedura di controllo a posteriori è volta essenzialmente a verificare
l’esattezza dell’origine indicata nei certificati precedentemente rilasciati
(cfr. Corte giustizia 7.12.1993 in causa C-12/92 , Huygen, punto 16; id. 17.7.1997
in causa C-97/95 Pascoal & Filhos LD, punto 30; id. 9.3.2006, in causa C-293/04,
Beemsterboer Coldstore Service, punto 32; id. 15.12.2011, in causa C-409110,
Afasia Knits Deutschland, punto 43; id. 8.11.2012 in causa C-438/11, Lagura
Vermogensverwaltung Gmbh, punto 17) :

– spetta alla Autorità doganale comunitaria che intenda recuperare a
posteriori il dazio fornire elementi atti ad invalidare la prova
documentale in questione, ovvero dimostrare che “il rilascio dei
certificati inesatti è imputabile alla inesatta presentazione dei fatti
da parte dell’esportatore” (cfr. Corte giustizia 9.3.2006 Beemsterboer
in causa C-293/04, punto 39; Corte cass. V sez. 27.7.2012 n. 13483), a

meno che la prova di tale imputabilità sia resa impossibile a causa di
RG n. 19743/2008
ric. Jannone Arm s.p.a. c/Ag.Dogane

15

C1Qs. est.
Stef

livieri

trattamento preferenziale, e sempre che risulti dimostrata la “buone fede”

negligenza od impedimento opposto dalla stessa ditta esportatrice
(perdita o mancata esibizione dei documenti allegati -a comprova della
origine della merce- alla richiesta di emissione del certificato FORM-A od
EUR-1, e comunque di qualisiasi altro documento commerciale, fiscale,
doganale, di trasporto dal quale possa evincersi la reale origine del prodotto:
tale impossibilità riveste carattere oggettivo, dovendo ravvisarsi anche nel

quale ad esempio la naturale cessazione dell’attività: cfr. Corte giustizia in
data 8.11.2012 in causa C-438/11, Lagura Vermogensverwaltung Gmbh,

punto 32)

– spetterà, in tal caso, all’interessato -invertendosi il relativo onerefornire la prova contraria della esattezza delle indicazioni fornite
dall’esportatore al momento della richiesta di rilascio del certificato,
ovvero la prova che le autorità che hanno emesso il certificato
inesatto. successivamente eventualmente invalidato, al tempo del
rilascio dello stesso erano informate o avrebbero dovuto essere
informate che la dichiarazione della ditta esportatrice era inveritiera
in quanto le merci non avevano i requisiti per beneficiare del
trattamento preferenziale: in questo caso non può procedersi,
pertanto, a contabilizzazione a posteriori -volta al recupero del dazio
applicato in misura ridotta in virtù del regime preferenziale di
origine- soltanto se l’operatore economico interessato ha fornito la
prova dell’esistenza dell’errore “colpevole” commesso dalle autorità
che hanno emesso il certificato, ovvero la prova della violazione di
obblighi di controllo previsti da norme che vincolano tali autorità, e
sempre che venga dimostrata altresì la “buona fede” della impresa
importatrice (cfr. Corte giustizia 9.3.2006 Beemsterboer in causa C293/04, punto 45 e 46).

4.4 La norma comunitaria in esame non pone, pertanto, alcuna
limitazione alla contestazione da parte della autorità doganali comunitarie
RG n. 19743/2008
ric. Jannone Ann s.p.a. c/Ag.Dogane

16

C
Stef

est.
ivieri

caso di eventi non riferibili a condotta dolosa o colposa dell’esportatore,

delle “irregolarità” del certificato di origine emesso dal Paese beneficiario
(ivi inclusa la contestazione del requisito di origine dei prodotti falsamente od
inesattamente “riferito” dall’esportatore nella richiesta di emissione del certificato),

individuando esclusivamente le circostanze di fatto che integrano la
esenzione dalla contabilizzazione a posteriori dell’importatore incolpevole
che abbia legittimamente confidato nella correttezza della operazione (e

da un comportamento attivo, doloso o colposo, imputabile alle autorità
pubbliche del Paese beneficiario.
Limitazioni al potere di contestazione della effettiva origine delle merci
non sono rinvenibili neppure nel regolamento CEE n. 2454/1993 di
attuazione del CDC (cfr. art. 94 DAC nel testo vigente “ratione temporis”) che
legittima le autorità della Comunità a rifiutare, anche in presenza di
certificati “formalmente” regolari, il riconoscimento del trattamento
preferenziale ai prodotti importati nel territorio doganale UE, laddove
sussistano “ragionevoli dubbi” in ordine alla diversa origine delle merci,
ovvero qualora gli elementi informativi acquisiti dai Paesi beneficiari ed i
risultati delle indagini svolte dalle autorità di quei Paesi ovvero dagli organi
antifrode della Comunità, non consentano di pervenire con certezza alla
prova della origine dei prodotti (ipotesi quest’ultima che integra una
“irregolarità sostanziale” del certificato, non più idoneo, in conseguenza, a costituire
“titolo giustificativo” della applicazione della esenzione o riduzione daziaria: Corte
cass. V sez. 6.9.2006 n. 19195; id. V sez. 27.7.2012 n. 13496), come nel caso in

cui all’esito delle verifiche la origine delle merci sia rimasta ignota (cfr.
Corte di giustizia 7.12.1993, causa C-12/92 Huygen, punto 17 e 18,; id. 14.5.1996
cause riunite C-153/94 e C-204/94, Faroe Seafood, punto 16; id. 9.3.206 causa C293/04 Beemsterboer, punto 34; id. 15.12.2011, causa C — 409/10, Afasia, punto
44; id. 8.11.2012 causa C-438/11, Lagura, punto 18).

4.5 Dalla disamina della disciplina normativa comunitaria emerge,
dunque, una netta distinzione tra il piano della “validità formale” (o della
RG n. 19743/2008
ric. Jannone Ann s.p.a. c/Ag.Dogane

17

C
Stefa

est.
livieri

nella effettiva origine della merce) in conseguenza di un errore determinato

autenticità) del documento (in quanto atto formato dalla autorità dello Stato
competente ad emetterlo, ed esente da vizi formali e materiali in quanto non alterato
nel suo originario contenuto e dotato di tutti i requisiti legali di esistenza e validità sottoscrizione, apposizione di timbri, vidimazioni, ecc.- prescritti dall’ordinamento
dello Stato di esportazione) ed il piano degli “effetti giuridici”

ad esso

ricollegabili, nell’ambito dei quali occorre ulteriormente distinguere tra la
all’esercizio del diritto al

conseguimento del trattamento doganale preferenziale, e la “efficacia
rappresentativa”

del documento concernente la attestazione delle

caratteristiche e delle qualità delle merci esportate (tra cui, nella specie, la
“origine delle merci” come definita dagli artt. 23 e 24 CDC), distinzioni che

risultano tanto più evidenti ove si consideri che la formazione e la
emissione del certificato in questione non implica alcun obbligo di
preventivo controllo, da parte della autorità pubblica emittente, della verità
delle dichiarazioni rese dall’esportatore circa l’effettiva origine delle merci
(significativa in proposito la risposta fornita all’OLAF dalla Camera degli
esportatori della Repubblica argentina — CERA con nota in data 10.1.2005

secondo cui il certificato di origine FORM-A veniva rilasciato sulla base di una
dichiarazione giurata dell’esportatore, con la conseguenza che gli organi certtficatori
del Paese beneficiario non potevano essere ritenuti responsabili

per fatti che

esulavano dall’ambito dei loro poteri di controllo, quali in particolare l’accertamento
della verità delle informazioni relative alla origine dei prodotti fornite
dall’esportatore con la predetta dichiarazione giurata: cfr. ricorso principale pag. 17-

18), con la conseguenza che il fatto direttamente percepito ed attestato dal
funzionario della autorità pubblica del Paese beneficiario che emette il
certificato FORM-A (ed al quale in ipotesi dovrebbe essere riconosciuta efficacia
probatoria privilegiata), non concerne gli atti ed i risultati delle indagini

compiute per accertare la reale origine del prodotto, ma semplicemente ed
esclusivamente la riferibilità al soggetto esportatore della dichiarazione
dallo stesso resa circa tale origine, rimanendo quindi, in ogni caso (idest:
anche nel caso in cui il certificato fosse considerato atto pubblico fidefaciente
secondo l’ordinamento giuridico del Paese terzo)
RG n. 19743/2008
18
ric. Jannone Arm s.p.a. c/Ag.Dogane

sottratta alla efficacia

Stef

s. est.
livieri

“efficacia di titolo esclusivo di legittimazione”

probatoria privilegiata -ed alla necessaria impugnazione di falso- la
indicazione di origine dei prodotti contenuta nel predetto documento.
Nella specifica materia doganale in esame (regime di origine preferenziale
delle merci: art. 20 paragr. 3, lett. d, ed e), ed artt. 23-27 CDC) non è dato,

pertanto, rinvenire alcuna altra norma di diritto comunitario (né tanto meno
di diritto interno dello Stato membro comunitario) diretta ad attribuire

dalle autorità doganali dello Stato di esportazione e richiesto ai fini del
conseguimento del trattamento preferenziale di origine delle merci, né è
dato rinvenire alcuna norma che altrimenti subordini la contestazione circa
la “effettiva origine” dei prodotti, indicata nel certificato, alla previa
eliminazione dalla realtà giuridica di detto documento secondo i mezzi di
impugnazione della falsità propri dell’ordinamento giuridico nel quale tale
documento è stato formato.

4.6 Infondato deve ancora ritenersi l’assunto della società ricorrente
relativo alla asserita violazione delle norme comunitarie (art. 26 reg. CE n.
2913/1992; art. 94 reg. CE n. 2454/93) che, in attuazione del sistema di
cooperazione tra le autorità doganali dello Stato membro (importatore) e
del Paese terzo (esportatore), prevedono la previa trasmissione dei
certificati di origine alle autorità pubbliche che li hanno emessi, affinchè
tali autorità provvedano alla verifica della “autenticità” degli stessi,
disponendo le opportune indagini in loco ed assolvendo quindi all’impegno
di comunicare i risultati di tali indagini fornendo esaustivi chiarimenti,
nella specie, sulla origine effettiva della merce.

4.7 Premesso che le norme procedurali indicate non prevedono espresse
comminatorie di sanzioni di invalidità del provvedimento di
contabilizzazione a posteriori del dazio e dei conseguenti avvisi di rettifica
emessi in difformità e dunque non sembrano introdurre limiti esterni al
RG n. 19743/2008
tic. Jannone Arm s.p.a. c/Ag.Dogane

19

st.
St ano Ùlivieri

efficacia di “prova legale assoluta” (juris et de jure) al documento emesso

potere degli Stati membri di recuperare tributi propri della Comunità, rileva
il Collegio che, nella specie, non risulta violato il principio di diritto
comunitario secondo cui “il controllo a posteriori dei certificati EUR-1
rilasciati dallo Stato di esportazione, le conclusioni alle quali sono
pervenute le autorità di quest ‘ultimo, si impongono alle autorità dello Stato
membro di importazione. Infatti la cooperazione sancita da un protocollo

importazione accetta le valutazioni legalmente effettuate al riguardo dallo
Stato di esportazione (sentenze 17 luglio 1997, causa C-97/95, Pascoal & Filhos
, punto 33;……25 febbraio 2010, causa C-386/08 Brita, punto 62)” (cfr. Corte

giustizia UE 15.12.2011, causa C-409/10, Hauptzollamt Hambur-Afasia Knits,
punto 29), atteso che: 1- la Missione comunitaria si è svolta in piena

collaborazione con le autorità dello Stato argentino ed ha consentito
all’OLAF di richiedere ed acquisire anche documentazione rinvenuta in
loco (bollette di importazione, fatture, ecc.); 2- i certificati di origine sono
stati trasmessi e sottoposti ad esame della autorità pubblica argentina
(CERA) che aveva provveduto ad emetterli; 3- tale autorità (CERA) ha
comunicato i risultati della verifica anche all’OLAF (nota di risposta in data
10.1.2005), non ritenuti dirimenti ai fini della prova della effettiva origine
argentina dei prodotti, essendosi limitata la predetta autorità (CERA) a
confermare la regolarità formale dei documenti emessi, specificando che
esulava dalle proprie competenze qualsiasi verifica della effettiva
corrispondenza della merce alla origine dichiarata dall’esportatore.

4.8 L’accertamento da parte degli organi comunitari, all’esito della
indagine antifrode, di una diversa origine della merce rispetto a quella
indicata nei certificati emessi dal Paese beneficiario

(la “missione

comunitaria” presso Paesi terzi è espressamente prevista dall’art. 20 del reg. CE del

13.3.1997 n. 515 allo scopo di assicurare l’osservanza della regolamentazione
doganale nell’ambito del sistema comunitario -art. 1 reg.-, ed ha ad oggetto la
“raccolta di tutti gli elementi comprovati l’irregolarità di operazioni che appaiono
RG n. 19743/2008
ric. Jannone Arm s.p.a. c/Ag.Dogane

20

Co
st.
Stefano vieri

relativo alla origine dei prodotti può funzionare soltanto se lo Stato di

contrarie alla regolamentazione doganale” -art. 19 reg.-. L’invio della missione è
subordinata alla condizione che il Paese terzo si sia giuridicamente impegnato a
prestare assistenza -art. 19 reg.-. L’art. 21 reg. n. 515/97 riconosce valore di
prova, utilizzabile nei procedimenti dello Stato membro -art. 45 paragr. 2-, alle
informazioni contenute in documenti trasmessi dalle autorità del Paese terzo,
lasciando tuttavia intatti i poteri di indagine della Commissione che possono essere

integrato, pertanto, alcuna violazione delle norme comunitarie di procedura
dettate per lo svolgimento delle indagini antifrode e del controllo a
posteriori tali da precludere alla Amministrazione doganale ogni possibile
contestazione sulla origine effettiva della merce e rendere illegittimo il
procedimento di revisione doganale ex art. 11 Dlgs n. 374/1990.
Dirimente, in ogni caso, a ritenere infondata la critica mossa alla
sentenza dalla società resistente, è la mancanza di un “accordo di libero
scambio” tra la Unione Europea e lo Stato argentino volto a riconoscere un
reciproco trattamento preferenziale alle merci delle parti contraenti, come è
dato evincere dal rilascio dei certificati FORM-A (e non EUR-1) da parte
della autorità competente al commercio (e non dalla autorità doganale)
dell’Argentina. Ed infatti esclusivamente all’indicato presupposto di
reciprocità, avente fonte convenzionale, la giurisprudenza comunitaria
subordina l’obbligo del necessario riconoscimento, da parte della autorità
degli Stati membri, dei risultati in ordine all’accertamento della origine del
prodotto cui sono pervenute -attraverso procedimenti legalmente svolti- le
autorità competenti (ivi incluse le sentenze emesse dalla autorità giudiziaria:
Corte di giustizia 9.2.2006, cause riunite C-23/04 e C-25104, Sfakianakis AEVE,

punto 24 e 25) del Paese terzo in cui opera la ditta esportatrice che ha

richiesto il rilascio del certificato d’origine, riconoscimento che trova
fondamento giuridico nello stesso rapporto di cooperazione amministrativa
e di equiordinazione, istituito dall’accordo, tra le autorità degli Stati
contraenti, nonché fondamento pratico nel fatto che “sono le autorità dello
Stato di esportazione a poter più agevolmente, e direttamente, accertare le
RG n. 19743/2008
ric. Jannone Ami s.p.a. c/Ag.Dogane

21

Con
t.
Stefano Olivieri

esercitati direttamente od anche avvalendosi delle autorità del Paese terzo) non ha

circostanze che condizionano l’origine del prodotto” (cfr. Corte di giustizia
12.7.1984, causa C-218183, Les Rapides Savoyards, punto 26 e 27; id.
Sfakianakis, cit., punto 23; id. Afasia, cit., punto 29). Diversamente nel caso in

cui difetti tale rapporto associativo o concordato, ovvero nel caso in cui il
regime tariffario preferenziale di origine sia stato riconosciuto
unilateralmente dalla Comunità, la giurisprudenza comunitaria ha

la necessità per le amministrazioni doganali degli Stati membri di accettare
le valutazioni effettuate dalle autorità doganali dello Stato esportatore non
si manifesta allo stesso modo allorché il regime preferenziale è introdotto
non da un accordo internazionale fra l’Unione e uno Stato terzo basato su
obblighi reciproci, ma da un provvedimento autonomo dell’Unione
(sentenza Faroe Seafood e a., cit., punto 24). 36 Pertanto, occorre
constatare che, nell’ambito del sistema di preferenze tariffarie
generalizzate instaurato unilateralmente dall’Unione, le autorità dello
Stato di esportazione non possono vincolare quest’ultima e i suoi Stati
membri alla loro valutazione in merito alla validità dei certificati
d’origine «modulo A» allorché, in circostanze come quelle oggetto del
procedimento principale, le autorità doganali dello Stato di importazione
continuano a nutrire dubbi sull’origine reale delle merci, nonostante tali
certificati d’origine non siano stati dichiarati invalidi. 37 La soluzione
contraria, che priverebbe le autorità doganali dello Stato di importazione,
nell’ambito di un procedimento come quello principale, instaurato dinanzi
ad un giudice di questo stesso Stato, della possibilità di domandare la
prova che il certificato d’origine si basa su una situazione fattuale riferita
in maniera inesatta o esatta dall’esportatore, vanificherebbe l’obiettivo
del controllo a posteriori che è, come emerge dal punto 17 della presente
sentenza, quello di verificare successivamente l’esattezza dell’origine delle
merci indicata nel certificato d’origine «modulo A» ” (cfr. Corte giustizia
8.11.2012, causa C-438/11, Lagura , cit.).
RG n. 19743/2008
ric. Jannone Arm s.p.a. c/Ag.Dogane

22

Cons est.
Stefano tvieri

puntulmente evidenziato come “35 Tuttavia, resta pur sempre il fatto che

4.9 Alla stregua di tali considerazioni deve, pertanto, essere data risposta
al quesito di diritto formulato dalla parte ricorrente e
– affermarsi il principio di diritto secondo cui il “certificato di
origine” delle merci (FORM-A, EUR-1) emesso dalle autorità del
Paese di esportazione, previsto dall’art. 26 regolamento CEE n.
2913/92 del Consiglio del 12.10.1992 e succ. mod. e dagli artt. 80

-nel testo vigente ratione temporis-, costituisce

“titolo di

legittimazione esclusivo” per esercitare il diritto alla fruizione dello
specifico regime doganale previsto in relazione alla origine del
prodotto (“condicio sine qua non”), ma allo stesso documento, in
difetto di espressa previsione delle norme comunitarie doganali, non
può riconoscersi anche efficacia di “prova legale assoluta” (juris et
de jure) dei fatti costitutivi di tale diritto, ed in specie della “effettiva
origine” della merce importata dal Paese terzo che ha emesso il
certificato, tenuto conto, da un lato, che alcun obbligo giuridico è
imposto in via generale alle autorità del Paese terzo di effettuare il
controllo della merce al momento del rilascio del certificato (come
emerge dall’art. 81 reg. CEE n. 2454/93 secondo cui tale autorità può
limitarsi ad accertare che i dati indicati nella dichiarazione resa
dall’esportatore corrispondano ai requisiti di origine previsti dalle norme
comunitarie); dall’altro che le autorità doganali dello Stato membro di

importazione, in presenza di ragionevoli dubbi, sono autorizzate a
contestare la “effettiva” origine del prodotto importato,
indipendentemente dalla regolarità e validità formale del certificato
esibito dall’importatore, ed a rifiutare l’applicazione dello specifico
regime doganale, contabilizzando a posteriori il dazio dovuto,
qualora non siano state fornite prove ovvero le prove fornite non
abbiano consentito di appurare con certezza la effettiva origine dei
prodotti, o ancora quando all’esito delle indagini svolte i prodotti
siano risultati di diversa origine da quella indicata nel certificato;
RG n. 19743/2008
ric. Jannone Ann s.p.a. c/Ag.Dogane

23

Con st.
Stefan 51ivieri

SS. del regolamento CEE n. 2494/93 della Commissione del 2.7.1993

- ribadirsi il principio di diritto secondo cui né il rifiuto del beneficio
di applicazione di tariffe preferenziali, nè il recupero “a posteriori”
dei dazi esentati o ridotti, sono subordinati all’annullamento o alla
revoca del documento (certificato FORM-A od EUR-1) da parte
delle autorità del Paese terzo emittente, in quanto l’adozione delle

risultanze delle indagini effettuate dagli organi ispettivi comunitari,
secondo il disposto dell’art. 26 del predetto Regolamento CEE n.
2913 del 1992 e dell’art. 94, par. 5 -testo vigente ratione temporis-,
del Regolamento CEE n. 2454 del 1993 (cfr. Corte cass. V sez.
6.9.2006 n. 19195; id. V sez. 12.6.2009 n. 13680; id. V sez. 4.4.2012 n.
5400).

La sentenza impugnata, in quanto emessa in conformità agli indicati
principi di diritto, va esente pertanto dalla censura mossa con il motivo di
ricorso in esame.

5. Con il quarto motivo (lett. C pag. 52 ricorso) la società ricorrente
denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2699 e 2700
c.c. in tema di onere della prova, degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonché il vizio
di illogicità della motivazione, in relazione all’art. 360co1 nn. 3 e 5 c.p.c..
La società ricorrente sostiene che i Giudici di appello avrebbero
erroneamente applicato il procedimento logico deduttivo di cui all’art. 2727
c.c. attribuendo agli indizi dedotti dalla Amministrazione doganale il rango
di fatti certi, quando invece trattavasi soltanto di meri sospetti dai quali
potevano derivare mere illazioni o conseguenze del tutto ipotetiche, ma non
anche la conoscenza del fatto ignorato (nella specie la diversa origine del
prodotto).
In particolare deduce la ricorrente che gli elementi utilizzati di Giudici
territoriali per fondare la decisione risultano smentiti dalle prove offerte in
RG n. 19743/2008
ric. Jannone Arm s.p.a. c/Ag.Dogane

24

CoI. st.
Stefan 1ìvieri

misure recuperatorie del dazio è legittimata anche in base alle sole

giudizio dalla stessa società in quanto: 1-in relazione alla identità del codice
2548 IRAM identificativo della merce importata dal Brasile ed esportata in
Europa, dalle dichiarazioni giurate dello spedizioniere Lagreca e dell’avv.
Gatti era, infatti, emerso che fino al 28.2.2002 (e dunque solo in data
successiva alla dichiarazione doganale 11.2.2002 oggetto del presente giudizio)

veniva utilizzato nel nomenclatore tariffario argentino un unico codice per

incongruenza temporale tra le date delle bollette di importazione in
Argentina dal Brasile e di esportazione dalla Argentina in Europa non
rivestiva i caratteri della certezza in quanto dalle verifiche eseguite era
risultato che spesso non vi era prova della identità tra la merce importata e
quella esportata; 3-la identità di peso delle merce importata ed esportata
trovava giustificazione nel fatto che per ragioni di praticità i dipendenti
della TUPY non modificavano i dati della merce -registrati nel sistema
informatico al momento della importazione- dopo che il prodotto
semilavorato era stato restituito finito (filettato e nuovamente zincato) dalle
ditte appaltatrici; 4-dalla sentenza penale risultava che non erano emerse
prove della diversa origine della merce esportata; 5-contraddittoria ed
illogica era la tesi della CTR che pur in ipotesi ammettendo la capacità
produttiva di Rubcar e Canning -e dunque discostandosi dal rapporto OLAF
secondo cui non era dato accertare se Rubcar avesse effettivamente eseguito le
lavorazioni- poneva poi a carico dell’importatore la prova diabolica della

corrispondenza delle merce lavorata da tali ditte con quella esportata in
Europa.

5.1 Il motivo è fondato in relazione ad entrambe le censure di legittimità
prospettate.

5.2 I Giudici di appello dopo aver diligentemente enumerato i singoli
elementi circostanziali addotti dalla parti a sostegno dei rispettivi assunti
difensivi, hanno ritenuto privi dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c. gJi indizi
RG n. 19743/2008
Jannone Ann s.p.a. c/Ag.Dogane

25

Cons.
Stefano O

designare tanto gli accessori filettati che i prodotti non filettati; 2-la

emersi dalla istruttoria individuati dalla società a supporto della prova delle
caratteristche e della origine dei prodotti importati.
In particolare non sono stati considerati idonei ad integrare lo schema
normativo della prova presuntiva della origine delle merci i seguenti
elementi istruttori:
– nel corso della indagine penale svolta dall’AG argentina a carico dei

all’esito della ispezione eseguita presso i locali della impresa era
stata rinvenuta “merce relativa ai certificati di importazione che
risultò conforme ai dati estratti dal sistema informatico della
società”, in particolare vennero rinvenuti anche “prodotti non
lavorati (ossia non filettati)” : tali elementi non sarebbero conducenti
in quanto la Jannone Arm s.p.a. non era identificata tra i clienti che
trattavano i maggiori volumi di acquisti e le quantità di prodotti
semilavorati in deposito potrebbero spiegarsi “sia con la grande
quantità di prodotti commercializzati dalla società, sia con
l’eventuale intento di precostituire prove della lavorazione in loco”
– le fatture con indicazione l’Italia come Paese destinatario della
esportazione, prodotte in giudizio dalla società, che smentiscono il
calcolo dei tempi di trasporto e di lavorazione della merce importata
dal Brasile (calcolo posto a fondamento della contraria tesi della Agenzia
delle Dogane secondo cui la società argentina importava dal Brasile
direttamente il prodotto finito -raccorderia zincata e filettata- e non il
semilavorato -raccorderia non filettata-): tale dato risulterebbe privo di

precisione in quanto non fornirebbe la prova che la merce indicata
nelle fatture corrisponda a quella oggetto della bolletta doganale
contestata nel presente giudizio
i contratti di appalto stipulati per la lavorazione della filettatura dalla
società Tupy Argentina con le ditte locali Rubcar e Fundiciones
Canning SA: anche tale elemento risulterebbe privo di precisione in
quanto mancherebbe la prova che i prodotti oggetto dei lavori di
RG n. 19743/2008
ric. Jannone Artn s.p.a. c/Ag.Dogane

26

Con
t
Stefano ivieri

rappresentanti legali della società esportatrice Tupy Argentina,

filettatura fossero destinati alla esportazione nella Comunità
piuttosto che al mercato interno o alla esportazione in Paesi terzi (la
CTR in conseguenza ha ritenuto superfluo l’esame delle altre
questioni concernenti la effettiva capacità produttiva delle ditte
appaltatrici, contestata dalla Agenzia delle Dogane)
– la classificazione con il codice IRAM 2548, fino alla modifica

(raccorderia in metallo malleabile non filettata) sia del prodotto
finito (raccorderia Menata): non è un dato conducente in quanto
manca la prova che fino a tale data in Argentina non venisse
importato il semilavorato (per il quale non era previsto uno specifico
codice)
la importazione dal Brasile di semilavorato già zincato che veniva
processato dalla ditte argentine appaltatrici mediante filettatura e
nuova zincatura: tale circostanza non fornisce alcuna giustificazione
della mancata registrazione del diverso peso del semilavorato
importato e del prodotto finito esportato in Europa.

5.3 Tanto premesso l’accertamento della violazione dello schema logico
presuntivo ex art. 2727-2729 c.c. deve essere compiuto alla stregua del
criterio “secondo cui le circostanze sulle quali la presunzione si fonda
devono essere tali da lasciare apparire l’esistenza del fatto ignoto come
una conseguenza ragionevolmente probabile del fatto noto, dovendosi
ravvisare una connessione fra i fatti accertati e quelli ignoti secondo regole
di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di
opinabilità” (cfr. Corte cass. III sez. 23.3.2005 n. 6220), essendo censurabile,
pertanto, in sede di legittimità il ragionamento del giudice di merito in
relazione ai requisiti propri della prova presuntiva sia qualora venga in
questione l’esistenza della base della presunzione e dei fatti noti, che fanno
parte della struttura normativa della presunzione ex art. 2727 e 2729 c.c.
RG n. 19743/2008
ric. Jannone Ami s.p.a. c/Ag.Dogane

27

Co
t.
Stefaio Oivieri

introdotta nel febbraio 2002, sia del prodotto semilavorato

(cfr. Corte cass. sez. lav. 6.8.2003 n. 11906; id. I sez. 14.5.2005 n. 10135; id. III
sez. 2.6.2008 n. 17535 secondo cui “in tema di presunzioni, qualora il giudice di

merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione
(gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a
quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, n. 3, cod.
proc. civ. (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla

norma dell’art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata esattamente a livello di
proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a
fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta”),

sia “allorchè difetti l’inferenza probabilistica, tutte le volte in cui
sussistano inferenze probabilistiche plurime o elementi discordanti rispetto
alla decisione” (cfr. Corte cass. V sez. 2.3.2012 n. 3281).

5.4 Nel caso di specie occorre considerare che il fatto oggetto della prova
era costituito dalla origine non preferenziale della merce importata da
Jannone Arm s.p.a., da un lato, sostenendo l’Agenzia delle Dogane che la
società esportatrice Tupy Argentina non effettuava alcuna lavorazione o
trasformazione sostanziale, economicamente giustificata, della merce
importata dal Brasile, tale da far acquisire al prodotto finito la origine
argentina (art. 24 CDC), limitandosi ad importare dal Brasile raccorderia di
metallo malleabile già zincata e filettata che provvedeva direttamente a
riesportare nella Comunità -simulando la origine argentina per aggirare il
dazio antidumping imposto dalla UE sull’analogo prodotto importato dal
Brasile-; di contro sostenendo la Jannone Arm s.p.a. che la società
argentina importava dal Brasile il prodotto semilavorato (raccorderia in
ghisa non filettata) che veniva sottoposto a filettatura dalle ditte appaltatrici
in Argentina, acquisendo legittimamente il carattere originario del Paese in
cui era avvenuta la trasformazione.
Le contrapposte tesi vengono fondate su elementi circostanziali dai
quali si ritiene di trarre la prova, rispettivamente, della origine brasiliana od
RG n. 19743/2008
ric. Jannone Ai-in s.p.a. c/Ag.Dogane

28

s. est.
St fano Olivieri

Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la

argentina della merce importata con la bolletta doganale oggetto del
giudizio.

5.5 Tanto premesso ritiene il Collegio che la CTR non abbia fatto
corretta amministrazione della norma che disciplina lo schema logico
presuntivo atteso che:

Argentina ed il fatto -peraltro non perspicuo- che la società argentina
commercializzasse una grande quantità di prodotti non elidono in
alcun modo la astratta ammissibilità della inferenza probabilistica
della lavorazione in loco dei prodotti semilavorati (raccorderia non
filettata) rinvenuti nei depositi della impresa argentina esportatrice;
quanto all’argomento concernente la precostituzione delle prove
della lavorazione dei semilavorati in Argentina, è appena il caso di
rilevare come la CTR, per elidere la potenzialità inferenziale, venga
a contrapporre ad un fatto certo una mera ipotesi congetturale
(venendo a risolversi il rilievo della CTR nella affermazione che il
fatto certo può inserirsi nello schema di una condotta illecita)
venendo in tal modo inammissibilmente a destituire la capacità
indiziaria del fatto noto (importazione di semilavorati) con
l’indicazione di un fatto ipotetico che, a sua volta, richiede di essere
provata
l’affermazione della CTR secondo cui le fatture di merce destinata in
Italia (dalle date delle quali risulterebbe smentito l’argomento probatorio
della Agenzia delle Dogane secondo cui i tempi di lavorazione del
semilavorato non sarebbero compatibili con le date di importazione e
riesportazione) non potrebbero costituire idoneo referente per la

costruzione della prova presuntiva, in quanto non forniscono la prova
che la merce in esse descritta corrisponda a quella importata con la
bolletta emessa da Jannone Arm s.p.a., si espone al duplice rilievo
critico per cui: a) la capacità inferenziale dell’indizio non può mai,
RG n. 19743/2008
ric. Jannone Arm s.p.a. c/Ag.Dogane

29

Cons t
Stefano fJivieri

il fatto che la Jannone non fosse tra i maggiori clienti di Tupy

evidentemente, coincidere con la stessa rappresentazione del fatto
(ignorato) da provare, diversamente non si sarebbe in presenza di un
indizio ma di una prova diretta; b) il giudizio sulla concludenza
probatoria, nello schema di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c., non deve
essere compiuto estrapolando i singoli elementi che compongono il
quadro inidziario, ma deve essere effettuato avendo ad oggetto il

relazione al profilo della concordanza dei vari indizi)
– ai medesimi rilievi critici si espone la statuizione della CTR secondo
cui il fatto che prodotti semilavorati importati dal Brasile fossero
sottoposti a lavorazione (filettatura) presso le ditte argentine
appaltatrici non fornirebbe la prova che quegli stessi prodotti finiti
sono stati effettivamente esportati nella Comunità: se per un verso
infatti si viene a confondere anche in questo caso la prova indiziaria
con quella diretta, per altro verso l’affermazione appare carente
anche sul piano della argomentazione logica, incorrendo pertanto
anche nel vizio motivazionale ex art. 360co1 n. 5) c.p.c., non
essendo ancorato il giudizio di insufficienza probatoria in ordine alla
corrispondenza della merce a quella lavorata dalle ditte argentine ad
altri elementi, indicati in sentenza, inducenti ad una diversa
conclusione. Peraltro la CTR non pone neppure il dilemma tra
prodotti lavorati dalle ditte appaltatrice e prodotti già finiti acquisiti
aliunde da Tupy Argentina, ma si limita soltanto a rilevare che i
prodotti finiti derivati dalla trasformazione potevano essere destinati
a diversi mercati (europeo, interno, altri paesi), circostanza che non
risulta affatto incompatibile con la efficacia indiziaria del fatto certo
in questione.

5.6 Le altre statuizioni della CTR appaiono, invece, inficiate dal
dedotto vizio di motivazione ex art. 360co l n. 5) c.p.c. che, secondo la
RG n. 19743/2008
ric. Jannone Arm s.p.a. c/Ag.Dogane

30

Con st.
Stefan
wieri

complesso di tali elementi, unitariamente considerato (anche in

giurisprudenza di questa Corte, implica un obiettivo difetto nello
sviluppo logico della argomentazione posta a fondamento della
decisione, difetto che -rilevando come “errore sul fatto”- trova genesi
nella omessa od inesatta rilevazione e valutazione delle prove acquisite
al giudizio (potendo consistere oltre che in un omesso od inesatto
apprezzamento della fonte di prova anche nella mancata rilevazione della

giudizio di prevalenza, in ogni caso sempre che tali omissioni od inesattezze
rivestano carattere decisivo, nel senso che senza il vizio logico la decisione
sarebbe stata -con certezza- differente : Corte cass. III sez. 11.5.2007 n. 10847;
id. III sez. 2.4.2009 n. 8023; id. II sez. 27.10.1010 n. 21961), con inevitabili

riflessi sulla esatta comprensione e ricostruzione della fattispecie
concreta da sussumere nello schema normativo astratto dal quale viene
desunta la “regula iuris” che disciplina il rapporto controverso.

5.7 La statuizione della CTR secondo cui la norma IRAM 2548
indicava il solo prodotto finito (raccorderia zincata e filettata) è inficiata a
monte da errore logico motivazionale ex art. 360co1 n. 5 c.p.c., in quanto
fondata su un assunto indimostrato e cioè che il semilavorato -raccorderia
non filettata- fosse contraddistinto al tempo delle importazioni dal Brasile
con un codice diverso. Premesso che, a quanto è dato evincere dagli atti
difensivi, le norme IRAM adottate dallo Stato argentino corrispondondono
alle norme internazionali “ISO” ed europee “EN” che identificano gli
“standard tecnici” dei prodotti in commercio (cfr. stralcio del rapporto
OLAF 18.12.2004 riportato a pag. 60 del ricorso), rileva il Collegio che i
Giudici di appello, da un lato, non hanno fornito alcun riscontro (normativo
od istruttorio) alla affermazione della differente codificazione del prodotto
definito e del semilavorato; dall’altro hanno del tutto omesso di prendere in
esame gli elementi porobatori dedotti dalla società importatrice
(dichiarazioni scritte rese dallo spedizioniere doganale La Greca e
dall’avv. Gatti; nota dell’organismo argentino CERA in data 10.1.2005) a
RG n. 19743/2008
ric. Jannone Arm s.p.a. c/Ag.Dogane

31
Stef

s. est.
Olivieri

incompatibilità tra diverse fonti di prova e dunque nella mancanza di un adeguato

sostegno della tesi della successiva modifica del codice tariffario NCM
7307.19.10, contemplato dalla norma IRAM 2548, che, all’epoca dei fatti,
ricomprendeva “non solo i prodotti filettati con un determinato diametro,
ma altresì anche i prodotti non filettati e quelli aventi diametro diverso,
identificati nella stessa norma regolamentare con il termine -altri-“, codice
la cui estensione SIM sarebbe stata modificata soltanto a decorrere dal 28

7307.19.10) dai prodotti semilavorati identificati con il codice NCM
7307.19.10.281 Y. Tali elementi probatori, pretermessi dalla CTR,
rivestono carattere di decisività ai fini della successiva valutazione della
inferenza presuntiva dell’elemento indiziario, atteso che l’accertamento
delle esatte caratteristiche del prodotto (raccorderia filettata o non filettata)
identificato dalla norma IRAM e dal codice tariffario indicato, rifluisce
sulla tipologia (raccordi filettati ovverro semilavorati da filettare) della
merce importata dal Brasile da Tupy Argentina s.r.l. e contraddistinta nelle
dichiarazioni di importazione con la norma IRAM 2548 e, sembra, con
l’originario codice NCM ante modifica.

5.8 Quanto alla statuizione secondo cui la società resistente “non è stata
in grado di spiegare come il cd. sfido della filettatura non producesse
alcuna riduzione di peso del materiale lavorato” la stessa appare
meramente apodittica tenuto conto che la società, sullo specifico punto
controvreso, aveva svolto i seguenti argomenti difensivi: 1- la entità delle
variazioni di peso era notevolmente ridotta -pari al 3/4 % circa- rispetto a
quella del 10% invece ritenuta dalla Agenzia delle Dogane, in
considerazione del fatto che i semilavorati provenivano dal Brasile già
zincati e quindi le ditte argentine appaltatirci procedevano ad una nuova
zincatura del prodotto dopo la filettatura; 2- per agevolare la procedura di
registrazione contabile dei documenti doganali nelle bollette di
esportazione venivano trascritti gli stessi dati delle bollette di importazione
RG n. 19743/2008
ric. Jannone Arrn s.p.a. c/Ag.Dogane

32

co

s.

StefaIlQ 1ivieri

febbraio 2002, consentendo di distinguere i prodotti finiti (codice NCM

.

,

concernenti il numero, il tipo di raccordi, i codici identificativi ed il peso
della partita, in quanto l’unica variazione rilevante ai fini doganali era
costituita dal diverso prezzo di vendita determinato dalla lavorazione , 3- la
antieconomicità della importazione dal Brasile di prodotti già zincati, che
dopo la filettatura dovevano essere nuovamente sottoposti a zincatura,
sarebbe stata compensata dalla acquisizione di origine argentina del

dazio antidumping.

5.9 Indipendentemente dalla fondatezza o meno di tali argomenti
difensivi, che implicano evidentemente accertamenti in fatto preclusi alla
Corte, la CTR ha formulato una conclusione priva di adeguato supporto
giustifcativo, incorrendo pertanto nel denunciato vizio di motivazione.

6. In conclusione il ricorso deve essere accolto, relativa,mente al quarto
motivo (infondati i motivi primo, secondo e terzo), la sentenza impugnata
deve essere cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Commissione
tributaria della regione Campania per nuovo esame e liquidazione anche
delle spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.
La Corte :
– accoglie il ricorso proposto dala società, cassa la sentenza impugnata e
rinvia la causa per nuovo esame ad altra sezione della Commissione
tributaria della regione Campania che provvederà anche alla liquidazione
delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso nella camera di consiglio 8.1.2013

prodotto e dal mancato assoggettamento delle esportazioni in Europa al

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