Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2444 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/02/2020, (ud. 09/10/2019, dep. 04/02/2020), n.2444

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9985-2017 proposto da:

A.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLO

SEGNERI 14, presso lo studio dell’avvocato LAURA SCHIRINZI,

rappresentata e difesa dall’avvocato CARMELA PEPE GROSSO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 80078750587, in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati NICOLA

VALENTE, EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI, MANUELA MASSA, LUIGI

CALIULO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1621/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 19/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa DORONZO

ADRIANA.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza pubblicata in data 19/11/2016, in accoglimento dell’appello proposto dall’Inps ed in riforma della sentenza del Tribunale di Paola – che aveva riconosciuto a A.I. l’assegno ordinario di invalidità con decorrenza dal 1/11/2009 – ha rigettato la domanda proposta dalla A.;

il rigetto è stato motivato sulla base delle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio nominato in appello, che aveva escluso che le infermità da cui la ricorrente era affetta raggiungessero il livello invalidante previsto per legge;

contro la sentenza la A. propone ricorso per cassazione e formula due motivi, cui resiste l’Inps con controricorso;

la proposta del relatore sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

i motivi di ricorso sono due, il primo fondato sul “difetto-insufficienza e/o contraddittoria motivazione in relazione ad un punto decisivo” e il secondo per violazione della L. n. 222 del 1984, art. 1 e dell’art. 421 c.p.c.;

il primo motivo è inammissibile, non ravvisandosi il denunciato difetto di motivazione, ai sensi della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con modifiche in L. 7 agosto 2012 n. 134), applicabile al caso di specie per effetto della disposizione transitoria contenuta nello stesso art. 54, comma 3, secondo cui la norma si applica ai ricorsi per cassazione contro provvedimenti pubblicati dopo 11 settembre 2012 (quindi al caso in esame);

le Sezioni Unite di questa Corte (SU 8053/14) hanno avuto modo di precisare che a seguito della modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 citato il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di legge e, cioè, dell’art. 132 c.p.c., che impone al giudice di indicare nella sentenza “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”;

perchè sussista la violazione si deve essere in presenza di un vizio così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione, fattispecie che si verifica quando la motivazione manchi del tutto oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo “talmente contraddittori() da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del deasum”;

a seguito della riforma del 2012 scompare così il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza;

quanto allo specifico vizio previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in cui è scomparso il termine motivazione, deve trattarsi di un omesso esame di un fitto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

al riguardo è onere della parte ricorrente indicare nel rigoroso

rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui risulti l’esistenza, il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso;

il motivo all’esame non presenta alcuno dei requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 così come novellato nella interpretazione fornitane dalle Sezioni unite di questa Corte;

la Corte ha infatti dato atto delle conclusioni cui è pervenuto il consulente tecnico d’ufficio, le quali depongono per l’insussistenza dello stato di invalidità necessario per il riconoscimento della prestazione richiesta, sicchè la motivazione e non solo formalmente ma anche sostanzialmente esistente ed è priva di incongruenze logico -giuridiche;

nè può dirsi insussistente la motivazione per il sol fatto che la Corte non ha specificato la percentuale invalidante e l’eventuale diminuzione a meno di 1/3 della capacità di lavoro, trattandosi di specificazioni superflue a fronte della più radicale affermazione circa l’insussistenza del requisito sanitario;

d’altro canto, la ricorrente non ha indicato alcun fatto, principale o secondario, il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte territoriale;

quanto al secondo motivo, la ricorrente non indica quale affermazione della Corte si porrebbe in violazione delle norme indicate, in particolare della L. n. 222 del 1984, art. 1 e art. 421 c.p.c., sicchè il vizio è dedotto in modo non conforme a quanto dispone l’art. 366 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass., 8/3/2007, n. 5353; Cass., 19/1/2005, n. 1063; Cass., 6/4/ 2006, n. 8106);

in realtà, esso, pur essendo formulato sotto la specie della violazione delle disposizioni di legge, si risolve in una critica dell’accertamento di fatto compiuto dalla Corte territoriale circa il mancato raggiungimento da parte della lavoratrice della soglia invalidante;

in altri termini, la censura si pone al di fuori dell’alveo tipico del motivo di ricorso per cassazione previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3, riproponendo sotto altra veste il vizio motivazionale, sottratto al sindacato di legittimità se non nei ristretti limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come sopra evidenziati (Cass. n. 24155/2017; Cass. n. 3340/2019);

deve aggiungersi, per completezza, che per costante insegnamento di questa S.C., in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell’assicurato, il difetto di motivazione, denunciabile in cassazione, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio è ravvisabile solo in caso di palese deviazione dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non si può prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi;

al di fuori di tale ambito la censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale, che si traduce, quindi, in una inammissibile critica del convincimento del giudice (giurisprudenza consolidata: v. da ultimo Cass. 03/02/2012, n. 1652; Cass. 12/01/2011, n. 569; Cass. 08/11/2010, n. 22707; Cass. 29/04/2009, n. 9988);

il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del presente giudizio, non risultando dal ricorso per cassazione, in ossequi() al principio di autosufficienza, la sussistenza delle condizioni richieste per usufruire dell’esenzione dal pagamento delle spese ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nemmeno emergenti con la necessaria chiarezza dalla sentenza d’appello;

sussistono altresì i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 2200, di cui Euro 200,00 per esborsi e 2000,00 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario del 15% delle spese generali e agli altri accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 9 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 4 febbraio 2020

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