Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24439 del 30/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 30/11/2016, (ud. 26/10/2016, dep. 30/11/2016), n.24439

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

T.R., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dagli Avv. Alberto Lucchetti e

Alessandro Lucchetti, con domicilio eletto nello studio dell’Avv.

Luigi Pettinari in Roma, via Magliano Sabina, n. 24;

– ricorrente –

contro

M.P. e M.C., rappresentati e difesi, in forza

di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Alberto

Bomprezzi, con domicilio eletto nello studio dell’Avv. Nicoletta

Gervasi in Roma, corso d’Italia, n. 102;

– controricorrenti –

e nei confronti di:

C.P. e C.S., rappresentati e difesi, in forza

di procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv. Claudio

Santarelli e Francesco Da Riva Grechi, con domicilio eletto nello

studio di quest’ultimo in Roma, via Della Vite, n. 32;

– controricorrenti e ricorrenti in via incidentale –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 362/2012 in

data 24 maggio 2012;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 26

ottobre 2016 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

uditi gli Avv. Alessandro Lucchetti, Claudio Santarelli e Pasquale

Mosca, quest’ultimo per delega dell’Avv. Alberto Bomprezzi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’accoglimento

del secondo, del terzo e del quarto motivo del ricorso principale e

del secondo motivo del ricorso incidentale, e per il rigetto dei

restanti motivi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – In esito ad un giudizio presupposto, definito con sentenza n. 111/2002 del 21 gennaio 2002, il Tribunale di Ancona ha dichiarato T.R. e C.L. – che con scrittura privata del (OMISSIS), integrante un’espromissione, avevano fatto proprie le obbligazioni della società SPES s.n.c. verso M.G. – tenuti in solido all’adempimento degli obblighi assunti con le scritture del (OMISSIS) e del (OMISSIS), e quindi a trasferire a M.P. e a M.C., eredi di M.G., le consistenze immobiliari ancora dovute in base alla predette scritture, tenendo conto di quanto già dato dal C..

2. – Sulla base della sentenza n. 111/2002, passata in cosa giudicata, M.P. e M.C., con citazione del 3 novembre 2003, hanno convenuto in giudizio T.R. e C.L., chiedendo la condanna dei convenuti al pagamento, in favore di essi attori, della somma di Euro 213.296, oltre interessi e rivalutazione, lamentando l’inadempimento dell’obbligazione di cui alle predette scritture private.

Si costituivano i convenuti, resistendo.

Il Tribunale di Ancora, con sentenza n. 762/2005 in data 13 maggio 2005, accoglieva la domanda, condannando i convenuti al pagamento, in favore degli attori, della somma di Euro 213.296, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla domanda al saldo.

3. – La Corte d’appello di Ancona, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 24 maggio 2012, ha rigettato l’appello.

3.1. – La Corte distrettuale ha preliminarmente rilevato che il Tribunale – in assenza di richieste formulate dalle parti – non era obbligato a concedere i termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 5, e art. 184 c.p.c.. Nondimeno – ha precisato la Corte d’appello – anche se il giudice li avesse negati in presenza di una richiesta di parte, non si sarebbe verificata alcuna nullità, nè vi sarebbe stata una lesione del contraddittorio o del diritto di difesa delle parti, giacchè soltanto una lesione in concreto di questi diritti, nella specie non ravvisabile, abilitava l’appellante a sollevare la questione nel corso del giudizio di secondo grado.

Nel merito, la Corte d’appello ha premesso che il giudice del procedimento presupposto si è pronunciato soltanto sulla domanda principale, di accertamento dell’obbligo, ma non ha preso in esame le domande subordinate, tra le quali quella di pagamento del valore delle unità immobiliari dovute, formulata in questo giudizio a causa del mancato trasferimento delle consistenze immobiliari.

Ha rilevato la Corte di Ancona che sull’esistenza del diritto si è già pronunciato il primo giudice, imponendo ai convenuti un Tacere, mentre l’obbligo sostitutivo di corrispondere il valore nasce in dipendenza della prima pronuncia.

“La situazione sopravvenuta, d’inadempimento della parte al dettato del giudice, ha determinato” – ha proseguito la Corte territoriale – “una sorta di reviviscenza della domanda subordinata, conferendo agli attori in primo grado la possibilità di richiedere una statuizione di natura sostitutiva, rispetto a quella già adottata, ma per la quale comunque, considerato il rapporto di pregiudizialità, operava il giudicato anche sui contenuti della pronuncia e non soltanto in senso meramente formale”.

Quanto, poi, all’eccezione di prescrizione, la Corte l’ha ritenuta tardiva, in quanto proposta soltanto all’udienza di precisazione delle conclusioni del 5 novembre 2004.

4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello T.R. ha proposto ricorso, con atto notificato il 16 ottobre 2002, sulla base di sette motivi.

M.P. e M.C. hanno resistito con controricorso.

C.P. e C.S., eredi di C.L., hanno depositato un atto denominato controricorso, con il quale hanno chiesto, sulla base di tre motivi, la cassazione della sentenza d’appello.

In prossimità dell’udienza il T. ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (violazione degli artt. 183 e 184 c.p.c.) il ricorrente in via principale T. si duole che la Corte d’appello abbia ritenuto legittima la mancata concessione dei termini di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c.. Rileva che, contrariamente a quanto affermato in sentenza, la parte convenuta aveva chiesto fissarsi i termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 5. Inoltre la Corte territoriale avrebbe omesso di rimettere in termini i convenuti per l’espletamento delle attività deduttive ed istruttorie già loro precluse in primo grado.

Analoga censura è sollevata con il primo motivo del ricorso incidentale di P. e C.S., rubricato “erronea motivazione in ordine alla omessa concessione da parte del giudice di primo grado dei termini di cui agli artt. 180, 183 e 184 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c.”.

1.1. – Entrambi i motivi sono infondati.

L’appellante non può limitarsi a dedurre la violazione del contraddittorio per la mancata concessione dei termini di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c., ma deve specificare sia quale sarebbe stato il thema decidendum sul quale il giudice di primo grado si sarebbe dovuto pronunciare ove fosse stata consentita la richiesta appendice di cui all’art. 183 c.p.c., comma 5, sia quali prove sarebbero state dedotte, poichè in questo caso il giudice d’appello è tenuto soltanto a rimettere le parti in termini per l’esercizio delle attività istruttorie non potute svolgere in primo grado (Cass., Sez. 1, 9 aprile 2008, n. 9169; Cass., Sez. 3, 31 ottobre 2014, n. 23162).

Il principio risponde a quello più generale, in forza del quale l’ordinamento non appresta alcuna tutela all’interesse alla mera regolarità formale del processo, sicchè l’interesse a denunciare la violazione di una norma processuale in tanto sussiste in quanto ciò abbia comportato un pregiudizio alla sfera giuridica della parte (Cass., Sez. Un., 19 luglio 2011, n. 15763), la quale è pertanto tenuta ad allegare e dimostrare quali specifiche attività avrebbe svolto, che tanto aveva sottoposto invano al giudice del merito e quali danni sarebbero derivati dalla mancata osservanza delle norme sulla regolarità formale.

Ora, è bensì esatto quanto deducono i ricorrenti, che cioè, nel giudizio di primo grado, all’udienza successiva a quella di prima comparizione, svoltasi il 23 settembre 2004, la parte convenuta aveva espressamente chiesto fissarsi i termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 5, e, all’udienza di precisazione delle conclusioni (cui il giudice aveva rinviato le parti avendo ritenuto la causa matura per la decisione), la medesima parte convenuta aveva rinnovato tale richiesta.

Sennonchè, il T. e i C. deducono di avere nell’atto di appello ribadito la richiesta di essere rimessi in termini ai sensi degli artt. 183 e 184 c.p.c., senza tuttavia indicare quali consentite modificazioni o integrazioni avrebbero arrecato al thema decidendum, ove fossero stati concessi i termini chiesti ai sensi dell’art. 183 c.p.c., , nè quali prove specifiche ulteriori avrebbero invocato o dedotto nel prosieguo.

Di qui la genericità della doglianza articolata in appello e, di conseguenza, l’infondatezza dell’uno e dell’altro motivo di ricorso per cassazione, in quanto non accompagnati dalla specifica deduzione di quale sarebbe stato il thema decidendum e di quali prove sarebbero state articolate.

2. – Con il secondo motivo del ricorso principale si denuncia omessa o, comunque, assolutamente carente motivazione sulla questione centrale della controversia: l’interpretazione del giudicato contenuto nella sentenza presupposta n. 111/2002 nonchè l’interpretazione delle scritture a cui detta sentenza rinvia, essendo necessario stabilire quale fosse l’obbligazione alla quale erano solidalmente tenuti il T. e il C. in forza della citata sentenza ed accertare, di conseguenza, la sussistenza, o meno, della loro inadempienza.

Analoga censura è articolata con il secondo motivo del ricorso incidentale (“omessa e insufficiente motivazione relativamente alla considerazione da parte della sentenza oggetto di appello delle consistenze immobiliari che gli appellanti sarebbero stati tenuti a trasferire e che vennero consegnate; astrattezza in tema di determinazione del quantum debeatur”).

2.1. – I motivi sono infondati.

La sentenza n. 111 del 2002, passata in giudicato, ha dichiarato il T. ed il C. “tenuti, in solido tra loro, ad adempiere esattamente gli obblighi assunti con le scritture del (OMISSIS) e del (OMISSIS)”, con obbligo di “procurare di trasferire agli attori le consistenze immobiliari ancora dovute in base a dette scritture, tenendo ovviamente conto di quanto già dato dal C.”.

La Corte d’appello – diversamente a quanto ritenuto dai ricorrenti – non si è limitata a riportare il dispositivo di tale sentenza, ma ha proceduto ad interpretare la portata oggettiva del giudicato, e quindi non ha affatto omesso di precisare l’entità delle consistenze immobiliari da trasferire ai M. e così di individuare la regola del caso concreto a cui le parti avrebbero dovuto attenersi.

Infatti, nel confermare la sentenza di primo grado n. 762 del 2005, la Corte territoriale ha condiviso quanto sul punto affermato dallo stesso Tribunale, che cioè la portata oggettiva dell’obbligo, discendente dal giudicato, di trasferimento agli attori delle consistenze immobiliari non poteva essere ridimensionata, o addirittura venir meno, per effetto delle restrizioni urbanistiche introdotte dal Comune di Numana.

Ora, i ricorrenti sostengono che dal tenore delle scritture private del (OMISSIS) risulterebbe che le parti, in riferimento alle particelle nn. (OMISSIS), avrebbero stabilito che in tanto sarebbero stati dati appartamenti in permuta in quanto venisse consentita l’edificazione su dette particelle sulla base di progetti regolarmente approvati.

Ma nulla di tutto questo si ricava dalla sentenza, passata in giudicato, n. 111 del 2002 del Tribunale di Ancona.

Essa ha stabilito un obbligo attuale (e solidale) di T.R. e di C.L. di trasferire agli attori “le consistenze immobiliari previste nelle scritture (OMISSIS) e (OMISSIS)”, senza affatto subordinare, o condizionare, quell’obbligo di trasferimento discendente dalla permuta all’edificabilità del terreno e all’approvazione del progetto da parte delle competenti autorità.

Il T. e il C. avrebbe dovuto far valere la loro tesi – la tesi cioè che nelle scritture il trasferimento degli appartamenti, secondo le superfici menzionate nell’accordo, era sospensivamente subordinato alla condizione dell’edificazione sulla base di progetti regolarmente approvati – impugnando in appello la sentenza n. 111 del 2002 del Tribunale di Ancona recante la statuizione circa la sussistenza dell’obbligo attuale di trasferire gli immobili menzionati nelle due scritture.

Ma, poichè l’appello non è stato proposto e la citata sentenza è passata in giudicato, non è più possibile introdurre, ora, la questione della sussistenza di un impegno (di trasferire le consistenze immobiliari) condizionato all’edificazione, perchè questo sarebbe contrario al vincolo derivante dalla portata oggettiva del giudicato.

E poichè è pacifico che nessun adempimento dell’obbligo di trasferimento vi è stato da parte del T. e del C. in favore dei M. dopo e per effetto della sentenza passata in giudicato, correttamente il giudice del merito, accertato l’inadempimento, ha dichiarato i convenuti tenuti all’obbligo succedaneo, condannandoli a corrispondere il valore delle consistenze immobiliari non trasferite per gli 80 mq relativi al lotto di cui alle particelle (OMISSIS).

3. – Il terzo mezzo del ricorso principale denuncia vizio di motivazione per omessa ammissione dell’istanza istruttoria formulata dagli appellanti e reiterata nelle conclusioni.

3.1. – Il motivo è infondato perchè la prova testimoniale non ammessa non attiene ad un punto decisivo della controversia.

Infatti quella prova – mirando a dimostrare, come si desume dal capitolato riportato a pag. 11 del ricorso, che “ripetutamente, nel corso degli incontri inter partes, protrattisi per anni, relativi all’affare per cui è causa, fu stabilito, quale presupposto e condizione per la consegna degli appartamenti, in relazione al terreno di cui alle particelle (OMISSIS) che il Comune di Numana rilasciasse concessione edilizia per l’edificazione su detto terreno” – si muove in una prospettiva preclusa dal giudicato, non essendovi più spazio, nel presente giudizio, per accertare come condizionato un obbligo che invece, secondo giudicato, è dichiarato attuale ed incondizionato.

4. – Con il quarto motivo il ricorrente in via principale lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, motivazione carente ed illogica della statuizione di reiezione dell’eccezione di prescrizione in quanto tardivamente proposta, pur ammettendone la proposizione in primo grado con memoria ex art. 170 c.p.c. nel termine stabilito dal giudice, nonchè la sua reiterazione in sede di conclusioni, cioè nell’unica udienza successiva a quella in cui fu negato il termine ex art. 183 c.p.c..

Con il quinto mezzo del medesimo ricorso (violazione degli artt. 170 e 183 c.p.c.) si censura che la Corte territoriale abbia ritenuto gli appellanti decaduti in primo grado dalla proposizione della eccezione di prescrizione.

4.1. – I motivi – da esaminare congiuntamente, stante la stretta connessione – sono infondati.

Ogni questione sulla tempestività della proposizione dell’eccezione di prescrizione (in quanto contenuta nella memoria, oggetto di scambio tra le parti dopo la prima udienza ex art. 170 c.p.c., comma 1, la quale era stata autorizzata proprio per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio) è assorbita dalla manifesta infondatezza dell’eccezione medesima, giacchè nella specie l’obbligo inadempiuto è quello discendente dal giudicato.

Poichè il danno consegue all’inadempimento di un obbligo riconosciuto sussistente in base ad una sentenza passata in giudicato e la sentenza è del 2002, la prescrizione del diritto fatto valere inizia a decorrere soltanto dalla data del passaggio in giudicato, quindi dal 2002, non già dalle scritture private del 1973 e del 1979, sicchè l’azione risarcitoria da inadempimento, promossa con citazione del 2003, è iniziata ben prima che il diritto si sia estinto per il decorso del termine di prescrizione.

5. – Con il sesto motivo il ricorrente T. denuncia l’omessa o comunque carente motivazione in ordine all’eccezione di giudicato.

5.1. – Il mezzo è infondato.

La sentenza n. 111 del 2002 – dichiarativa dell’obbligo di trasferire le consistenze immobiliari previste nelle scritture private – non contiene alcun giudicato negativo sulla domanda subordinata di condanna a pagare il controvalore delle unità immobiliari ancora dovute: tale domanda era stata proposta, in quel giudizio, soltanto in via subordinata, ed il Tribunale non l’ha esaminata (l’ha implicitamente dichiarata assorbita), avendo accolto la principale, nei termini della dichiarazione dell’obbligo dei convenuti di procurare agli attori le consistenze immobiliari menzionate nelle scritture.

Era pertanto ben possibile azionare – a fronte dell’inadempimento di quell’obbligo accertato come sussistente dal giudicato – la conseguente pretesa risarcitoria.

6. – Il settimo motivo (violazione degli artt. 2729 e 2697 c.c. e degli artt. 115, 116 e 201 c.p.c.) del ricorso principale lamenta che la Corte d’appello, senza neppure avere stabilito l’entità delle consistenze che secondo i M. avrebbero dovuto essere loro trasferite sulla base delle scritture private, abbia ritenuto legittima e corretta la condanna al pagamento di Euro 213.296 quale danno unicamente risultante da un atto di parte, del tutto privo di valore probatorio, costituente null’altro che la quantificazione della pretesa dei M..

Analoga censura è posta dai ricorrenti in via incidentale, i quali, con il loro terzo motivo, deducono erronea motivazione in riferimento alla invalidità della perizia giurata di parte ed assunta dal giudice di primo grado a fondamento dell’accoglimento della domanda nel quantum debeatur.

6.1. – Entrambi i motivi sono infondati.

Non sussistono i vizi denunciati, perchè il giudice del merito, con congruo e motivato apprezzamento delle risultanze di causa, ha desunto il valore delle unità immobiliari ancora dovute da una perizia estimativa giurata, alla luce anche dell’assenza, nella fase iniziale del giudizio, di specifiche contestazioni circa l’ammontare complessivo del danno. E ciò è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. 2, 11 ottobre 2001, n. 12411; Cass., Sez. 6-5, 12 dicembre 2011, n. 26550).

7. – I ricorsi sono rigettati.

Le spese – liquidate come da dispositivo – seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale. Condanna il T. al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti M., che liquida in complessivi Euro 6.200, di cui Euro 6.000 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 26 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2016

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