Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24432 del 30/10/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 24432 Anno 2013
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: VIRGILIO BIAGIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SUBALPINA GOMME s.r.I., in liquidazione, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via
Valadier n. 43, presso l’avv. Giovanni Romano, che la rappresenta e difende
unitamente all’avv. Massimo Spina, giusta delega in atti;

2.254-1

ricorrente

contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

controricorrente

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n.
50/31/08, depositata il 26 novembre 2008.

Data pubblicazione: 30/10/2013

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3 dicembre
2012 dal Relatore Cons. Biagio Virgilio;
uditi l’avv. Giovanni Romano per la ricorrente e l’avvocato dello Stato
Gianni De Bellis per la controricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Sergio Del
Core, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso o, in subordine, la
rimessione degli atti alle Sezioni unite.

1. La Subalpina Gomme s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la
sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte indicata in
epigrafe, con la quale, rigettando l’appello della contribuente, è stata
confermata la legittimità dell’avviso di rettifica dell’IVA emesso nei suoi
confronti in relazione all’anno 2000, a seguito di verifica fiscale eseguita
dalla Guardia di finanza, che aveva messo in luce un meccanismo di truffa
nel settore del commercio all’ingrosso di pneumatici.
Il giudice d’appello ha ritenuto, condividendo la decisione di primo
grado, che “gli acquisti avvenivano presso la ditta tedesca Eska Reifendienst
di Regensburg e direttamente consegnati nei magazzini dell’appellante ma
fatturati attraverso società irregolari, le cosiddette , prive di
struttura aziendale e sedi operative, create con l’unico scopo di emettere e
ricevere documenti cartacei per la realizzazione o l’elusione delle imposte.
Il meccanismo consisteva nell’acquistare fittiziamente la merce in
Germania, in regime di non imponibilità IVA, e cederla fittiziamente con
fattura imponibile alla Subalpina Gomme s.r.l. generando un credito IVA”.
Inoltre, in base alla documentazione acquisita, il giudice ha ritenuto
dimostrata “inequivocabilmente la conoscenza tra i soggetti e la
cointeressenza economica delle operazioni”. Infine, la CTR ha affermato, in
ordine alla questione del risarcimento del danno intervenuto in sede penale,
che, “in base al principio del , il processo penale e quello
tributario hanno vita autonoma”, per cui “l’eventuale pagamento effettuato
ex art. 62 sesto comma c.p. alla già costituita parte civile Agenzia delle
entrate non può far riferimento agli avvisi di rettifica notificati poiché è
ontologicamente diversa la genesi dell’obbligazione sottesa al pagamento”.
2. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
3. La ricorrente ha depositato memoria.
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Ritenuto in fatto

Considerato in diritto
1. Con il primo motivo, è denunciata la violazione degli artt. 19 e 21,
comma 7, del d.P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 2, 4 e 5 della sesta direttiva
CEE 17 maggio 1977, e succ. modd., nonché vizio di motivazione. Si chiede
se negare all’intestatario di una fattura la detrazione dell’IVA determini
l’obbligo di un doppio pagamento dell’imposta, così introducendo nel
sistema una fattispecie sostanzialmente sanzionatoria, e se, poiché la ratio

impositivo dell’IVA, fondato sui principi della rivalsa e della detrazione,
mentre in presenza di operazioni il presupposto impositivo è
costituito dalla effettuazione delle operazioni anche in mancanza di una loro
rappresentazione documentale, là dove, invece, si sia in presenza di
fatturazione di operazioni , “il presupposto stesso non può che
essere costituito dal contenuto del documento che le rappresenta (appunto la
fattura), che, per il solo fatto della sua emissione, è titolo di credito
d’imposta per il suo destinatario”.
Con il secondo motivo, la società denuncia la violazione degli artt. 56 del
d.P.R. n. 633 del 1972, 2697, 2727 e 2729 cod. civ, 116 e 132 cod. proc.
civ., 8, comma 2, del d.P.R. 633 del 1972 e 7, terzo comma, del d.lgs. n. 471
del 1997, nonché vizio di motivazione; formula, in conclusione, i quesiti se:
a) nel processo tributario, nel quale è preclusa la possibilità per la parte di
utilizzare gli strumenti probatori dell’interrogatorio formale, della prova per
testi e del giuramento decisorio, risulti necessario, “ove il provvedimento
della Commissione sia motivato attraverso l’utilizzo di presunzioni
semplici, che le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, previste
come requisiti di ammissibilità dal disposto dell’art. 2725 (recte, 2729) cod.
civ., siano rigorosamente inequivoche e convergenti onde fondare il
convincimento del Giudicante”; b) ai fini della valutazione circa l’esistenza
di un accordo simulatorio nell’ambito di una “frode carosello”, “nell’ipotesi
in cui non vi sia prova né dell’identità tra la merce venduta e la merce
acquistata in attuazione dell’accordo simulatorio né dell’avvenuta
applicazione di un prezzo (…) della stessa non in linea con quelli di mercato
(…), risultano sufficientemente integrati i presupposti legittimanti la
necessità dell’ammissione di una consulenza tecnica ricostruttivo-contabile
da parte del giudice tributario”.
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dell’art. 21, comma 7, cit. è quella di ricondurre a coerenza il sistema

Con la terza doglianza, infine, la ricorrente lamenta la violazione degli
artt. 1195, 1199 e 1223 cod. civ., 62 n. 6 cod. pen. e 144 cod. proc. pen.,
oltre a vizio di motivazione; chiede che l’avvenuto risarcimento del danno
da parte dell’imputato, cui consegua la pronuncia di patteggiamento che
riconosca la diminuente di cui al citato art. 62, n. 6, c.p., sia considerato
“satisfattivo anche di ogni pretesa fiscale attivata in diversa sede, civile e/o
tributaria, conseguente agli stessi fatti oggetto dell’indagine penale”.

operazioni inesistenti (oggettivamente o soggettivamente) o per operazioni
comunque iscritte in un meccanismo negoziale attuato allo scopo di frodare
il fisco (comunemente dette “frodi carosello”), è stata oggetto di numerose,
anche recentissime, pronunce di questa Corte (emesse, doverosamente,
anche alla luce di varie sentenze della Corte di giustizia in tema di IVA), i
cui principi – attinenti essenzialmente al problema di cosa deve essere
provato e da chi, cioè dell’oggetto della prova e della distribuzione del
relativo onere tra fisco e contribuente – è utile in questa sede riepilogare e,
ove occorra, precisare.
2.2. Va premesso che la fattura (di regola, salva l’ipotesi di contabilità
inattendibile) è documento idoneo a rappresentare un costo dell’impresa,
come si evince dall’art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, purché sia
redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto ivi prescritti, tra i
quali l’indicazione dell’oggetto e del corrispettivo dell’operazione (cfr. art.
226 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006,
relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto) (tra le altre, Cass.
nn. 15395 del 2008, 9108 del 2012).
Ne deriva, in generale, che una regolare fattura, lasciando presumere la
verità di quanto in essa rappresentato, costituisce titolo per il contribuente ai
fini del diritto alla detrazione dell’IVA.
A fronte, quindi, della esibizione di una tale fattura, spetta all’Ufficio
dimostrare il difetto delle condizioni per la detrazione.
E’ superfluo precisare, trattandosi di principi generali in tema di prova,
che questa può ben consistere in presunzioni semplici, poiché la prova
presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto
alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice
di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della
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2.1. La tematica della detraibilità dell’IVA nel caso di fatturazione per

formazione del proprio convincimento (Cass. n. 9108 del 2012, cit.).
2.3. Nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni
oggettivamente inesistenti, cioè sia una mera espressione cartolare di
operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, e quindi contesti
l’indebita detrazione dell’IVA, ha l’onere di fornire elementi probatori del
fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata (ad esempio, provando
che la società emittente la fattura è una “cartiera”) e a quel punto passerà sul

contestate. Quest’ultima prova non potrà consistere, però, per quanto detto
sopra, nella esibizione della fattura, né nella sola dimostrazione della
regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento
adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far
apparire reale un’operazione fittizia (tra le altre, Cass. nn. 15228 del 2001,
12802 del 2011).
E’ poi evidente che, in caso di accertata assenza dell’operazione, è
escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente
(il quale sa bene se una determinata fornitura di beni o prestazione di servizi
l’ha effettivamente ricevuta o meno).
2.4. Principi più articolati trovano applicazione in relazione al caso in cui
l’Amministrazione contesti che la fatturazione attenga ad operazioni (solo)
soggettivamente inesistenti, cioè che la fattura sia stata emessa da soggetto
diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione in essa
rappresentata (e della quale il cessionario o il committente è stato realmente
destinatario).
Anche in questo caso l’IVA, in linea di principio, non è detraibile.
L’imposta è stata, infatti, versata ad un soggetto non legittimato alla
rivalsa, né assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta: non entrano
cioè nel conteggio del dare ed avere ai fini Iva le fatture emesse da chi non è
stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, in quanto tali
fatture riguardano operazioni, per quanto lo riguarda, inesistenti, ed a nulla
rileva che le medesime fatture costituiscano la “copertura” di prestazioni
acquisite da altri soggetti. Il versamento dell’iva ad un soggetto che non sia
la genuina controparte – aprendo la strada ad un indebito recupero
dell’imposta — è, quindi, evento dirompente, nell’ambito del complessivo
sistema IVA, essendo questo finalizzato a che l’imposta sia versata a chi ha
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contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni

eseguito prestazioni imponibili, perché la compensi con l’imposta, a sua
volta, corrisposta per l’acquisto di beni e di servizi (tra le altre, Cass. nn.
5719 del 2007, 29467 del 2008, 23987 del 2009, 735 e 4750 del 2010, 8132
del 2011, 7672 e 15741 del 2012).
2.5. In relazione al tema delle fatture per operazioni (solo)
soggettivamente inesistenti, sorge, tuttavia, l’esigenza della tutela della
buona fede del contribuente, anche in applicazione della giurisprudenza

In particolare, il giudice comunitario ha ripetutamente affermato i
seguenti principi: a) il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui
sono debitori l’IVA dovuta o versata a monte per i beni acquistati e per i
servizi loro prestati costituisce un principio fondamentale del sistema
comune dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a
limitazioni; b) il sistema comune dell’IVA garantisce la perfetta neutralità
dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente
dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano di per sé
soggette all’IVA; c) è irrilevante, ai fini del diritto del soggetto passivo di
detrarre l’IVA pagata a monte, stabilire se l’IVA dovuta sulle operazioni di
vendita precedenti o successive riguardanti i beni interessati sia stata versata
o meno all’Erario; d) peraltro, dalla formulazione dell’articolo 168, lettera
a), della direttiva 2006/112 emerge che, per poter beneficiare del diritto a
detrazione, occorre, da un lato, che l’interessato sia un soggetto passivo ai
sensi di tale direttiva e, dall’altro, che i beni o servizi invocati a base di tale
diritto siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie
operazioni soggette a imposta e che, a monte, detti beni o servizi siano
forniti da un altro soggetto passivo; e) la lotta contro evasioni, elusioni ed
eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto ed incoraggiato dalla
direttiva 2006/112; i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o
abusivamente delle norme del diritto dell’Unione, e pertanto, è compito
delle autorità e dei giudici nazionali negare il beneficio del diritto a
detrazione ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che lo stesso
diritto è invocato fraudolentemente o abusivamente; f) un soggetto passivo
che sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava
ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA dev’essere
considerato, ai fini della direttiva 2006/112, partecipante a tale evasione,
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della Corte di giustizia dell’Unione europea.

indipendentemente dalla circostanza che egli tragga o meno beneficio dalla
rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni
soggette a imposta da lui effettuate a valle; g) ne consegue che è possibile
negare ad un soggetto passivo il beneficio del diritto a detrazione solamente
qualora si dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che detto soggetto
passivo, al quale sono stati ceduti o forniti i beni o i servizi posti a
fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che,

un’evasione dell’IVA commessa dal fornitore o da un altro operatore
intervenuto a monte o a valle nella catena di tali cessioni o prestazioni; h)
non è invece compatibile con il regime del diritto a detrazione previsto dalla
suddetta direttiva sanzionare con il diniego di tale diritto un soggetto
passivo che non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l’operazione
interessata si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore, o che
un’altra operazione nell’ambito della catena delle cessioni, precedente o
successiva a quella realizzata da detto soggetto passivo, era viziata da
evasione dell’IVA; infatti, l’istituzione di un sistema di responsabilità
oggettiva andrebbe al di là di quanto necessario per garantire i diritti
dell’Erario; i) l’amministrazione tributaria non può, d’altra parte, esigere in
maniera generale che il soggetto passivo che intende esercitare il diritto alla
detrazione dell’IVA, da un lato — al fine di assicurarsi che non sussistano
irregolarità o evasioni a livello degli operatori a monte — verifichi che
l’emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi a titolo dei quali viene
richiesto l’esercizio di tale diritto abbia la qualità di soggetto passivo, che
disponesse dei beni di cui trattasi e fosse in grado di fornirli e che abbia
soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’IVA, o,
dall’altro lato, che il suddetto soggetto passivo disponga di documenti a tale
riguardo; 1) di conseguenza, dato che il diniego del diritto a detrazione è
un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto
costituisce, spetta all’amministrazione tributaria dimostrare adeguatamente
gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo
sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del
diritto a detrazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da
un altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena di cessioni (cfr.
sentenze 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling, C-439/04 e C-440/04; 21
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con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in

giugno 2012, Mahagében e Dóvid, C-80/11 e C-142/11; 6 settembre 2012,

Tóth, C- 324/11; 6 dicembre 2012, Bonik, C-285/11; 31 gennaio 2013, Stroy
Trans, C-642/11).
In applicazione della citata giurisprudenza, questa Corte ha avuto
occasione recentemente di affermare che spetta, in primo luogo,
all’amministrazione finanziaria, la quale contesti il diritto del contribuente a
portare in detrazione VIVA pagata su fatture emesse da soggetto diverso

oggettivi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il
servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza,
che il soggetto formalmente cedente aveva, con l’emissione della relativa
fattura, evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente
disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale sospetto ed a porre
sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla
sostanziale inesistenza del contraente; ove l’amministrazione abbia assolto a
tale onere probatorio, passa poi al contribuente l’onere di fornire la prova
contraria (Cass. n. 23560 del 2012).
2.6. Deve, al riguardo, precisarsi che, quanto meno nella ipotesi — più
semplice e comune – di fatturazione per operazione soggettivamente
inesistente di tipo triangolare, caratterizzata dalla interposizione di un
soggetto italiano — fittizio – nell’acquisto di beni tra un soggetto comunitario
(reale cedente) ed un altro soggetto italiano (reale acquirente), il detto onere
probatorio dell’amministrazione ben può esaurirsi nella prova che il
soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata
all’esecuzione della prestazione fatturata (è, cioè, una cartiera), costituendo
ciò, di per sé, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona
fede del cessionario, poiché l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti
coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza
incolpevole del contribuente in merito all’avvenuto versamento dell’IVA a
soggetto non legittimato alla rivalsa né assoggettato all’obbligo del
pagamento dell’imposta; con la conseguenza che, in tal caso, sarà poi il
contribuente a dover provare — ipotesi poco verosimile, ma in assoluto da
non potersi escludere – di non essere stato a conoscenza del fatto che il
fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri
(da ult., Cass. n. 6229 del 2013).
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dall’effettivo cedente del bene o servizio, provare, in base ad elementi

2.7. Resta, infine, il fenomeno genericamente noto come “frode
carosello”: con tale definizione si intende indicare, più propriamente, una
combinazione fraudolenta posta in essere per far sì che una stessa
operazione, mediante strumentali interposizioni anche di cosiddette società
filtro, passi attraverso una catena di soggetti che si avvalgono in vario modo
del mancato versamento dell’IVA da parte di un cedente (e potendo anche
avvenire che l’ultimo cessionario, anziché immettere il bene sul mercato, lo

Nella frode carosello, quindi, possono riscontrarsi, nei vari passaggi, sia
fatturazioni per operazioni oggettivamente inesistenti, sia fatturazioni per
operazioni solo soggettivamente inesistenti. E può anche accadere che un
singolo operatore, che abbia realmente acquistato la merce da un fornitore
formalmente effettivo, sia inconsapevole di essere stato inserito in un
circuito fraudolento ideato da altri. Spetterà pertanto all’Amministrazione,
in base ai principi sopra enunciati, l’onere di provare gli elementi di fatto
che concretizzano la frode, nonché la partecipazione ad essa, o la
consapevolezza di essa, da parte del contribuente (Cass. nn. 10414 del 2011,
15741 del 2012, 6229 del 2013).
3. Nella fattispecie in esame, relativa, come risulta dalla esposizione dei
fatti riportata nella sentenza impugnata, a fatturazioni di operazioni
soggettivamente inesistenti di tipo triangolare (o, in ogni caso, ad una frode
carosello), il giudice di merito ha accertato, con congrua motivazione, che la
società ricorrente era pienamente consapevole di intrattenere rapporti con
società cartiere e, quindi, del carattere fraudolento delle operazioni.
Ne deriva l’infondatezza dei primi due motivi di ricorso.
4. Il terzo motivo, concernente gli effetti del risarcimento del danno
effettuato in sede penale — ai sensi dell’art. 62, n. 6, cod. pen. ed al fine di
ottenere il patteggiamento – in favore dell’Agenzia delle entrate costituita
parte civile, è anch’esso infondato, in ragione della obiettiva diversità
ontologica della pretesa risarcitoria rispetto all’azione di recupero del debito
tributario, nonché per il fatto che il detto risarcimento non è specificamente
previsto tra i fatti impeditivi o estintivi dell’obbligazione tributaria (cfr.
Cass. nn. 5951 del 1979, 7511 del 2000).
5. In conclusione, che il ricorso deve essere rigettato.
6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
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rivenda a sua volta al primo cedente).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida
in €. 20.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma il 3 dicembre 2012.

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