Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24431 del 30/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 30/11/2016, (ud. 06/10/2016, dep. 30/11/2016), n.24431

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10619-2012 proposto da:

A.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIPRO

46, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO NOSCHESE, rappresentato

e difeso dall’avvocato PIETRO D’ANGIOLILLO;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO di (OMISSIS) in persona dell’Amministratore pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 783/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 11/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – In accoglimento del gravame proposto dal Condominio di via Orazio n. 15 in Napoli avverso la sentenza del locale Tribunale, la Corte di Appello partenopea dichiarò che A.M. – già amministratore del detto condominio – non aveva reso correttamente il conto della gestione contabile relativa al periodo 1/1/1999-31/7/2001, accertò un avanzo di cassa in favore del condominio pari ad Euro 13.515,89 e condannò l’ A. al pagamento in favore dello stesso condominio della somma di Euro 5.609,86 (pari alla differenza tra l’avanzo di cassa correttamente calcolato e le somme a tal titolo già restituite al condomino), oltre agli interessi legali e alle spese dei due gradi del giudizio.

3. – Per la cassazione della sentenza di appello ricorre A.M. sulla base di tre motivi.

Il Condominio di via Orazio n. 15 in Napoli, ritualmente intimato, non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4 – art. 263 c.p.c. e art. 1713 c.c., nonchè la nullità della sentenza impugnata per ultrapetizione, il difetto di legittimazione sostanziale, la nullità della Delib. assembleare 6 maggio 2002 e il vizio di motivazione della sentenza impugnata. Si lamenta, in particolare, che la Corte di Appello avrebbe pronunciato ultra petita, in quanto il condominio aveva chiesto solo il rendimento del conto e non la revisione di un conto già approvato; si deduce inoltre che l’amministratore sarebbe stato privo del potere di agire in giudizio, in quanto l’assemblea condominiale lo aveva autorizzato solo a chiedere all’ex-amministratore il conto del suo operato e in tali limiti la domanda dovrebbe essere interpretata.

Le doglianze non sono fondate.

Non sussiste, innanzitutto, la dedotta ultrapetizione, risultando che il condominio attore ebbe a chiedere non solo il rendimento del conto e l’accertamento dell’avanzo, ma anche la condanna del convenuto restituzione delle somme ancora trattenute (v. p. 1-2 della sentenza impugnata).

In ogni caso, va poi ricordato il principio – dettato dalla giurisprudenza di questa Corte e condiviso dal Collegio – secondo cui la domanda di rendimento del conto include la domanda di condanna al pagamento delle somme che risultano dovute, in quanto il rendiconto, ai sensi dell’art. 263 c.p.c., comma 2, e art. 264 c.p.c., comma 3, è finalizzato proprio all’emissione di titoli di pagamento; pertanto, non viola l’art. 112 c.p.c. il giudice che, pur senza un’espressa domanda al riguardo, condanni chi rende il conto alla corresponsione delle somme dovute. (Sez. 2, Sentenza n. 2148 del 31/01/2014, Rv. 629485). Ne deriva l’insussistenza anche della denunciata carenza di potere dell’amministratore, dovendosi ritenere che la Delib. assembleare che gli ha conferito il potere di chiedere il rendiconto lo abbia anche autorizzato a chiedere la condanna al pagamento delle somme spettanti al condominio.

2. – Col secondo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di legge, nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte territoriale dichiarato la cessazione della materia del contendere, a seguito del riconoscimento – da parte del convenuto – della debenza calcolata dal C.T.U.

Il motivo è inammissibile sia perchè generico (non indica la disposizione di legge che sarebbe stata violata, nè precisa il vizio motivazionale dedotto), sia perchè non autosufficiente, in quanto non spiega come e quando vi sarebbe stato l’asserito riconoscimento del debito.

E’ agevole osservare, peraltro, come – a fronte delle domande proposte dall’attore – il mero riconoscimento del debito non avrebbe mai potuto determinare la cessazione della materia del contendere, possibile solo a seguito del pagamento delle somme dovute (che, nella specie, non risulta avvenuto).

3. – Col terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere la Corte di Appello condannato esso ricorrente al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio.

Il motivo è manifestamente infondato, avendo la Corte territoriale correttamente applicato la regola della soccombenza e non rilevando -seguito dell’accoglimento dell’appello – il fatto che le domande fossero state respinte in primo grado.

4. – Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Non avendo l’intimato svolto attività difensiva, nulla va statuito sulle spese.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 6 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2016

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