Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24430 del 30/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 30/11/2016, (ud. 05/10/2016, dep. 30/11/2016), n.24430

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16552-2012 proposto da:

B.F., (OMISSIS), BU.FI. (OMISSIS) E B.N.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, V. DILLE MILIZIE 34,

presso lo studio dell’avvocato PAOLA LIBBI, che li rappresenta e

difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

e contro

D.L., quale socio della COSTRUZIONI QUATTRODI SRL cancellata

dal registro delle imprese, elettivamente domiciliato in ROMA alla

Via COLA DI RIENZO 297, presso lo studio dell’avvocato STEFANO

PALMIERI, e rappresentato e difeso dall’avvocato GUIDO SARTORATO

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1860/2011 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 26/08/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Paola Libbi per i ricorrenti e l’Avvocato Stefano

Palmieri per delega dell’Avvocato Sartorato per il controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 5 novembre 2004 F., Fi. e B.N. convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Venezia la Quattrodi srl, lamentando che quest’ultima stava realizzando, sul terreno di sua proprietà, delle unità immobiliari con 6 passi pedonali e carrai a loro servizio.

Essi contestavano la legittimità dell’apertura dei detti passi carrai e del conseguente passaggio sulla via Firenze dei proprietari degli immobili di cui al mapp. 233, costituendo tale circostanza esercizio di una servitù di passaggio privata e non riti cives.

Gli attori chiedevano, quindi, che la società convenuta fosse condannata al ripristino dei luoghi tramite la chiusura dei 6 passi pedonali e carrai aperti sulla loro proprietà destinata a sedime di via Firenze e, in via subordinata, al pagamento di un’equa indennità.

Si costituiva la società convenuta, che chiedeva il rigetto della domanda attrice e, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’esistenza di una servitù pubblica sul mapp. (OMISSIS) in favore della collettività e, comunque, dei proprietari del mapp. (OMISSIS), acquisita per usucapione o per dicatio ad patriam.

Il Tribunale di Venezia, istruita la causa per mezzo di Ctu e di testimoni, con sentenza n.1345/08 accoglieva la domanda attrice.

La Quattrodì srl proponeva appello, chiedendo la riforma della sentenza impugnata.

La Corte di Appello di Venezia, nella resistenza degli appellati, con sentenza n. 1860/11, accoglieva l’impugnazione e rigettava le domande avanzate in primo grado dagli attori.

A sostegno della decisione adottata, la corte distrettuale evidenziava che:

– la proprietà della società appellante non confinava direttamente con quella degli appellati;

– una volta che tra due fondi privati era stata interposta un’area pubblica, l’apertura di accessi sulla semicarreggiata pubblica non poteva essere vietata in ragione dell’interesse del privato proprietario dell’opposta semicarreggiata a non vedere aumentare il traffico sulla strada pubblica;

– non ricorreva un’ipotesi di costituzione di servitù coattiva.

Avverso la indicata sentenza della Corte di Appello di Venezia hanno proposto ricorso per cassazione F., Fi. e B.N., articolandolo su tre motivi, mentre D.L., nella qualità di socio e successore della Quattrodì srl, società cancellata dal registro delle imprese, ha resistito con controricorso illustrato da memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 1027, 1028, 1031 e 1032 c.c., in quanto, a loro avviso, la corte territoriale aveva errato nel non considerare che il mapp. (OMISSIS) assolveva ad una utilità di natura privatistica a vantaggio del fondo di proprietà Quattrodì e che detta utilità non era esclusa dall’esistenza del mapp. (OMISSIS) di proprietà pubblica che, per la sua conformazione, poteva consentire l’accesso solo alla via Firenze, mapp. (OMISSIS).

Inoltre la circostanza dell’interposizione tra il fondo della società e quello dei ricorrenti di un’area di proprietà pubblica, non osta alla configurazione di un diritto di servitù, attesa l’interpretazione del requisito della vicinitas offerto dalla giurisprudenza di legittimità, che ammette l’esistenza di una servitù di passaggio anche nel caso in cui vi sia un fondo interposto tra quello dominante e quello servente.

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 825 ed 834 c.c., in quanto la corte territoriale non aveva tenuto conto che una servitù di uso pubblico poteva essere esercitata solo per la realizzazione di un interesse pubblico mentre, nella specie, controparte aveva agito per soddisfare un interesse privato.

In particolare, l’apertura di 6 nuovi accessi lungo la strada privata via Firenze aveva modificato, a loro avviso, la conformazione della strada, determinando un uso diverso da quello consentito dal vincolo pubblico e, quindi, una ulteriore limitazione del diritto del proprietario del fondo. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in quanto il mappale interposto di proprietà pubblica (OMISSIS) non era di dimensioni significative e non era una semicarreggiata della via Firenze.

La sentenza gravata nel riformare la decisione del Tribunale aveva evidenziato che, come emergeva anche dalle indagini peritali, il fondo della società non confinava direttamente con la particella dei ricorrenti, adibita a strada pubblico, in quanto gravata da una servitù di uso pubblico, sicchè gli accessi di cui ci si doleva con l’atto introduttivo del giudizio, erano stati aperti sulla particella di proprietà demaniale.

Orbene ad avviso del Collegio, e con specifico riferimento ai primi due motivi di ricorso, la motivazione della Corte distrettuale deve essere condivisa, non potendo trovare accoglimento le doglianze di parte ricorrente.

Effettivamente spiega rilevanza decisiva ai fini della decisione la circostanza, assolutamente pacifica, in quanto non contestata anche in questa sede, rappresentata dal fatto che i varchi di accesso realizzati dalla società a vantaggio del proprio fondo siano stati aperti sulla particella n. (OMISSIS) di proprietà comunale, e che costituisce parte della sede stradale di via Firenze, strada che si sviluppa per altra parte, e non immediatamente a confine con il fondo della società, sulla particella n. (OMISSIS) appartenente ai B..

Orbene, una volta ritenuta condivisibile la affermazione di cui al ricorso per la quale la nozione di contiguità, necessaria per la creazione delle servitù debba essere apprezzata in maniera elastica e tenuto conto della particolare utilità che la servitù stessa mira ad assicurare, è proprio avendo riguardo all’utilità che il fondo della convenuta ritrae dalla particella dei ricorrenti, che è possibile escludere che possa ritenersi fondato il motivo di ricorso.

Infatti, ferma restando la destinazione, per effetto del vincolo finalizzato al soddisfacimento dell’interesse pubblico sulla stessa gravante, della particella n. (OMISSIS) a pubblico transito, in quanto ormai inglobata in una strada comunale, e aperta quindi al libero accesso pedonale e veicolare, il passaggio che sulla medesima viene ad essere esercitato da coloro che provengano dal fondo della convenuta, una volta transitati dalla particella di proprietà comunale, non appare diverso da quello che possa essere esercitato da chiunque si trovi a transitare sulla pubblica via, non potendo a tal fine giocare un ruolo differente il solo fatto che il fondo della intimata sia collocato in prossimità di quello dei ricorrenti.

Nei precedenti citati dai ricorrenti (ad esempio Cass. n. 3273/2005) in effetti il peso che veniva posto a carico del fondo servente, sebbene separato da altro fondo da quello dominante, è quello appunto idoneo a configurare il diritto di servitù oggetto del contendere e che il titolare del fondo servente mira a non subire, laddove, nel caso in esame, il peso che verrebbe ad essere imposto, e di cui si dolgono gli attori, è. del tutto corrispondente a quello che già grava sul loro fondo ed in favore dell’intera collettività, non potendosi quindi distinguere, come correttamente evidenziato dal giudice di merito, tra coloro che si trovino a transitare sulla strada per avere avuto accesso alla stessa a notevole distanza dal fondo degli attori, rispetto a chi invece possa accedervi, ma sempre prima transitando su beni di proprietà pubblica, in prossimità della particella n. (OMISSIS).

Effettivamente a voler seguire la tesi dei ricorrenti si porrebbe poi l’arduo problema di stabilire fino a che distanza l’apertura di varchi sulla strada pubblica, per poi accedere alla porzione di strada insistente sul fondo degli attori, sia o meno idonea a determinare una compressione ingiustificata del diritto di proprietà attoreo.

Peraltro la giurisprudenza di questa Corte, che ha affermato che l’assoggettamento di una strada privata a servitù di uso pubblico in relazione all’interesse della collettività di goderne quale collegamento fra due vie pubbliche non implica la facoltà dei proprietari frontisti di aprire accessi diretti dai loro fondi su detta strada privata, comportando ciò un’utilizzazione del bene più intensa e diversa, non riconducibile al contenuto dell’indicata servitù (cfr. Cass. n. 7156/2004; Cass. n. 21953/2013) fa chiaramente riferimento alla sola ipotesi di apertura di accessi diretti, poichè solo in questo caso l’utilità scaturente da tale attività si presenta come diversa anche qualitativamente da quella che viceversa la strada offre alla collettività.

Ne consegue che una volta ottenuta la possibilità di accesso alla pubblica via tramite varchi aperti sulla proprietà comunale, il peso che verrebbe a subire il fondo privato gravato da servitù di uso pubblico, in quanto nella specie adibito a strada comunale, non si differenzia affatto da quello già normalmente destinato a subire, trattandosi dell’utilizzo del bene uti civis.

I primi due motivi devono pertanto essere disattesi.

Le motivazioni in base alle quali si giustifica l’infondatezza dei primi due motivi, e soprattutto l’impossibilità di poter lamentare un aggravio della servitù in ragione di varchi aperti non direttamente sul fondo gravato da servitù di uso pubblico, rende evidente altresì l’assorbimento o comunque l’infondatezza del terzo motivo di ricorso, volto a contestare, sul piano dell’esaustività e logicità della motivazione, l’affermazione della Corte distrettuale in merito alla significatività delle dimensioni della porzione di strada di proprietà comunale sulla quale si aprono i varchi oggetto di causa, e ciò anche a voler sorvolare circa l’evidente carenza del requisito dell’autosufficienza del motivo, nella parte in cui richiama planimetrie e fotografie allegate alla CTU, senza peraltro riprodurne il contenuto in ricorso.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al rimborso delle spese in favore del controricorrente come liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese in favore del controricorrente che liquida in 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2016

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