Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24429 del 30/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 30/11/2016, (ud. 05/10/2016, dep. 30/11/2016), n.24429

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28908-2012 proposto da:

V.L., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

BANCO DI S. SPIRITO 48, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI

BARDANZELLU, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA STENDARDI;

– ricorrente –

contro

Z.M., B.E., elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA UGO BARTOLOMEI 23, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA

SARACENI, rappresentate e difese dall’avvocato MARCO PAZZINI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3193/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito l’Avvocato BARDANZELLU Giovanni con delega depositata in

udienza dell’Avvocato STENDARDI Luca, difensore del ricorrente che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato SARACENI Stefania, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato PAZZINI Marco, difensore delle resistenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Questa Corte suprema, nell’annullare la sentenza della Corte di appello di Milano n. 2510/2002 che aveva a sua volta rigettato l’appello principale proposto da Z.A.G. alla sentenza del Tribunale di Lecco, che aveva rigettato sia le domande dei fratelli V. di dichiarare prescritto il diritto di servitù facente capo a controparte sia la riconvenzionale del convenuto, accogliendo invece l’incidentale proposto da questi ultimi dichiarando estinta per prescrizione per non uso ventennale la servitù di passo controversa, con inibizione allo Z. al transito, enunciava il principio di diritto nei seguenti termini:

“In ipotesi in cui non si possibile determinare senza alcun dubbio la comune volontà delle parti (interpretazione soggettiva del contratto secondo gli artt. da 1362 a 1365), deve farsi riferimento all’interpretazione oggettiva (artt. da 1366 a 1370 c.c.), prendendo come dati di riferimento la situazione dei fondi, il dato storico desumibile dalle vicende soggettive dei fondi, l’utilità che si voleva trarre dalla costituzione della servitù e, in ultima analisi, il criterio residuale fissato dall’art. 1371, ricercando la soluzione più conveniente rispetto ai contrapposti interessi delle parti”.

Lo Z., appellante in riassunzione chiedeva di localizzare la sede della servitù sopra ed a margine dell’esistente muraglione così come voluta e convenuta dagli originari contraenti e come esercitata in fatto sin dalla costituzione.

L. ed V.E. eccepivano l’inammissibilità dei motivi di ricorso in riassunzione relativi alla ritenuta usucapione ed insistevano per il rigetto delle domande.

La Corte di appello rigettava i profili di inammissibilità e, richiamati il principio di diritto enunciato, gli atti pregressi e la cartografia dei luoghi, concludeva che la servitù poteva esplicarsi lungo la sommità del muraglione, con conseguente accoglimento dell’appello.

Ricorre V.L. con cinque motivi, illustrati da memoria, resistono con controricorso B.E. e Z.M..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo si deducono violazione dell’art. 1362 c.c..

Col secondo motivo si lamenta omessa, insufficiente o illogica motivazione.

Col terzo motivo si lamenta violazione dell’art. 1363 c.c..

Col quarto motivo si denunziano vizi di motivazione sulla ubicazione della servitù.

Col quinto motivo si lamenta violazione dell’art. 1371 c.c..

La prima censura merita accoglimento con assorbimento delle altre.

La Corte di appello, sulla base del principio enunciato, ha fatto una ricognizione degli atti pervenendo al risultato indicato.

Questa Corte non ignora che l’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 c.c. e ss., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi; pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.

Di conseguenza, ai tini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753).

Nè può utilmente invocarsi la mancata considerazione del comportamento delle parti.

Ad ulteriore specificazione del posto principio generale d’ordinazione gerarchica delle regole ermeneutiche, il legislatore ha, inoltre, attribuito, nell’ambito della stessa prima categoria, assorbente rilevanza al criterio indicato nell’art. 1362 c.c., comma 1 – eventualmente integrato da quello posto dal successivo art. 1363 c.c. per il caso di concorrenza d’una pluralità di clausole nella determinazione del pattuito – onde, qualora il giudice del merito abbia ritenuto il senso letterale delle espressioni utilizzate dagli stipulanti, eventualmente confrontato con la ratio complessiva d’una pluralità di clausole, idoneo a rivelare con chiarezza ed univocità la comune volontà degli stessi, cosicchè non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti, detta operazione deve ritenersi utilmente compiuta, anche senza che si sia fatto ricorso al criterio sussidiario dell’art. 1362 c.c., comma 2 che attribuisce rilevanza ermeneutica al comportamento delle parti successivo alla stipulazione (Cass. 4.8.00 n. 10250, 18.7.00 n. 9438, 19.5.00 n. 6482, 11.8.99 n. 8590, 23.11.98 n. 11878, 23.2.98 n. 1940, 26.6.97 n. 5715, 16.6.97 n. 5389).

La sentenza ha concluso, a pagina dodici, statuendo che l’appello incidentale dei V. era infondato in quanto la domanda di accertamento della intervenuta prescrizione si riferisce ad una specifica servitù che, per come è stata descritta e considerata dai predetti, non è mai esistita e, di contro, gli stessi non avevano contestato che Z.A. esercitasse effettivamente la servitù proprio sul crinale discendente dal muraglione ma si è limitata ad applicare il criterio oggettivo mentre questa Corte Suprema ne aveva previsto l’applicazione ove non fosse stato possibile determinare senza alcun dubbio la comune volontà delle parti, aspetto sul quale la sentenza non svolge argomenti.

In definitiva il primo motivo di ricorso va accolto, con cassazione e rinvio.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo, dichiara assorbiti gli altri, cassa sul punto la sentenza e rinvia alla Corte di appello di Milano, altra sezione anche per spese.

Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2016

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