Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24423 del 30/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 30/11/2016, (ud. 26/09/2016, dep. 30/11/2016), n.24423

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 18030 – 2012 R.G. proposto da:

GAMBA s.r.l., – c.f. / p. i.v.a. (OMISSIS) – in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa congiuntamente e

disgiuntamente in virtù di procura speciale in calce al ricorso

dall’avvocato Riccardo Conte e dall’avvocato Silvana Bassi ed

elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Gracchi, n. 6,

presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Miani;

– ricorrente –

contro

C.G., – cf. (OMISSIS) – C.S. – (OMISSIS) –

C.E. – c.f. CRELNE64M56A794C – rappresentati e difesi in virtù di

procura speciale a margine del controricorso dall’avvocato Roberto

Pozzi ed elettivamente domiciliati in Roma presso la cancelleria

della Corte di Cassazione;

– controricorrenti –

e

M.M.P.;

– intimata –

Avverso la sentenza n. 321 dei 1.2/8.3.2012 della corte d’appello di

Brescia;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 26

settembre 2016 dal consigliere dott. Luigi Abete;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto in data 10.3.2003 la “Gamba” s.r.l. citava a comparire innanzi al tribunale di Bergamo gli eredi di C.M., deceduto il (OMISSIS), ovvero la vedova, M.M.P., ed i figli, G.F., S. ed C.E..

Esponeva che aveva fornito e posto in opera infissi e serramenti nella villa di (OMISSIS), di cui il de cuius era stato usufruttuario e la cui nuda proprietà il medesimo de cuius aveva, in vita, trasferito al figlio G.F. con atto del (OMISSIS).

Esponeva che M.M.P. aveva rinunciato all’eredità e nondimeno che la rinuncia era inefficace, giacchè costei era rimasta nel possesso dei beni e non aveva tempestivamente espletato le formalità di cui all’art. 485 c.c..

Esponeva che C.G.F., già nudo e poi pieno proprietario dell’immobile, si era in ogni caso arricchito ai suoi danni senza giusta causa.

Chiedeva che i convenuti fossero condannati a pagarle l’importo di Euro 83.865,81, quale residuo corrispettivo della fornitura.

Costituitisi, i convenuti instavano per il rigetto dell’avversa domanda.

Deducevano che erano carenti di legittimazione passiva; segnatamente, che avevano accettato l’eredità paterna con beneficio di inventario e di aver successivamente rilasciato l’eredità ai creditori a norma dell’art. 507 c.c..

Deduceva in particolare C.G.F. che l’azione ex art. 2041 c.c. nei suoi confronti esperita aveva carattere residuale ed al contempo che aveva rimborsato al padre, allorchè era ancora in vita, il costo delle opere commissionate alla s.r.l. attrice.

Con memoria ex art. 170 c.p.c. la “Gamba ” s.r.l., a modifica delle precedenti conclusioni ed in via di riconventio riconventionis, chiedeva che fosse accertata la decadenza dal beneficio dell’inventario pur nei confronti di G.F., S. ed C.E..

Con sentenza n. 2399/2006 il tribunale adito rigettava le domande tutte dell’attrice.

Interponeva appello la “Gamba” s.r.l..

Resisteva M.M.P..

Resistevano G.F., S. ed C.E..

Con sentenza n. 321/2012 la corte d’appello di Brescia accoglieva in parte l’esperito gravame e, per l’effetto, dichiarava l’inefficacia della rinuncia all’eredità di C.M. da parte della moglie, M.M.P., e, conseguentemente, obbligata, quest’ultima, in proporzione alla sua quota ereditaria, al saldo della fornitura e posa in opera per cui era controversia; confermava in ogni altra sua parte la gravata statuizione; condannava l’appellante a rimborsare a G.F., S. ed C.E. le spese del grado; disponeva, come da separata ordinanza, la prosecuzione del giudizio nei confronti di M.M.L. e differiva al definitivo la regolamentazione delle spese di lite nel rapporto tra costei e l’appellante.

Esplicitava la corte di merito, in ordine alla pretesa decadenza dal beneficio ex art. 484 c.c. in dipendenza dell’asserita omessa indicazione nell’inventario del credito del de cuius – già nudo proprietario – al rimborso del costo dei serramenti forniti dalla “Gamba”, dal momento che in alcun modo risultava che C.G.F. – già usufruttuario – avesse operato il rimborso che pur aveva asserito di aver effettuato, che la questione si poneva solo con riferimento al saldo, “poichè non è contestato che gli acconti sono stati pagati o con assegni tratti da R.M., moglie di C.G.F., o a mezzo di contanti corrisposti da quest’ultimo, con condotte, tali, quindi, da far ritenere accertato che per i pagamenti non era stato utilizzato denaro del de cuius” (così sentenza d’appello, pag. 16); che, in pari tempo, era asserzione del tutto indimostrata che R.M. e C.G.F. avessero agito come meri intermediari di C.M.; che, con riferimento al saldo insoluto, doveva escludersi ogni forma di mala fede, pur intesa in guisa di omissione colpevole, atteso che dalla lettura dell’inventario emergeva che C.E. aveva “dichiarato l’esistenza di una richiesta di pagamento della società Gamba s.r.l. a saldo di una fornitura di serramenti, già a suo tempo contestata” (così sentenza d’appello, pag. 16).

Esplicitava – la corte – in ordine alla censura a tenor della quale il primo giudice non aveva preso visione della documentazione relativa alla vendita di un immobile in (OMISSIS) eseguita dal de cuius un mese prima del decesso ed il cui corrispettivo – pari ad Euro 650.000,00 – non era stato denunziato nell’inventario, che il tribunale aveva correttamente ritenuto che trattavasi di allegazione successiva alla scadenza del termine di cui all’art. 183 c.p.c., comma 5, siccome operata con la memoria ex art. 184 c.p.c., dunque, di allegazione nuova ed inammissibile e, di conseguenza, estranea al thema decidendum; che, al contempo, l’appellante non aveva specificamente contestato che la vendita dell’immobile fosse stata allegata unicamente con la memoria ex art. 184 c.p.c. e la sua prospettazione, a tenor della quale della vicenda aveva trattato in conclusionale, “non fa che confermare il ragionamento del primo giudice” (così sentenza d’appello, pag. 17).

Esplicitava, in ordine alla censura del primo dictum nella parte in cui aveva reputato improponibile la domanda ex art. 2041 c.c., che il primo giudice aveva opinato nel senso che l’actio ex art. 2041 c.c. “non è esperibile non solo quando sussista altra azione tipica proponibile dal danneggiato nei confronti dell’arricchito, ma anche quando vi sia originariamente un’azione esperibile contro persone diverse dall’arricchito” (così sentenza d’appello. pag. 18), ovvero, nel caso di specie, contro M.M.P.; che l’appellante non aveva puntualmente censurato siffatta argomentazione, autonomamente sufficiente a fondare il rigetto della domanda di arricchimento senza giusta causa, sicchè il motivo era inammissibile per difetto di specificità.

Esplicitava, in ordine alla censura del primo dictum nella parte in cui si era fatto luogo alla condanna dell’appellante, originaria attrice, alle spese di lite, ancorchè sussistessero molteplici ragioni per disporne la compensazione, che le ragioni a tal riguardo addotte erano del tutto inconsistenti; che l’esito del giudizio di appello valeva a palesare che G.F., S. e C.E. si erano “legittimamente avvalsi della facoltà di accettare l’eredità con beneficio di inventario e che, quanto al credito delle Gamba, è del tutto indimostrata la mala fede” (così sentenza d’appello, pag. 23).

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la s.r.l. “Gamba”; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

G.F., S. ed C.E. hanno depositato controricorso; hanno chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese. M.M.P. non ha svolto difese.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 494, 527, 1180, 2697 e 2729 c.c. e degli artt. 112, 115, 116 e 210 c.p.c..

Deduce, limitatamente alla dedotta decadenza dal beneficio ex art. 484 c.c. in dipendenza dell’omessa indicazione nell’inventario del credito del de cuius al rimborso del costo dei serramenti, che la motivazione del dictum di seconde cure è in parte qua contraddittoria, giacchè, per un verso, dà atto che C.E. aveva denunziato nell’inventario siccome contestata la ragione creditoria di essa ricorrente, giacchè, per altro verso, allorquando attende al vaglio della “scrittura di verifica e chiusura dei lavori, datata 1.8.2002”, “si dà per pacifico che le contestazioni non avevano alcuno spazio” (così ricorso, pag. 31).

Deduce che la corte distrettuale avrebbe “dovuto dare, inoltre, una motivazione del rigetto delle richieste istruttorie formulate dall’appellante Gamba fin dal primo grado (…) e richiamate in appello” (così ricorso, pag. 32).

Deduce che la corte territoriale senza motivazione alcuna ha respinto l’istanza di esibizione “degli estratti conto del de cuius presso la Banca San Paolo I.M.I. (…), delle dichiarazioni dei redditi” (così ricorso, pag. 35).

Il motivo è destituito di fondamento.

Si evidenzia in primo luogo che per nulla si ravvisa il profilo di contraddittorietà che la ricorrente ha inteso scorgere nella motivazione dell’impugnato dictum.

Si evidenzia in particolare che è ben vero che nella scrittura di verifica e chiusura dei lavori si è dato atto, da parte di R.M., nuora dell’originario committente, che la posa in opera dei serramenti era stata eseguita a regola d’arte e che il loro funzionamento era senz’altro regolare. E, tuttavia, siffatta circostanza non esclude, di per sè, la possibilità che in precedenza la prestazione della “Gamba” e, correlativamente, il suo credito al residuo corrispettivo fossero state oggetto di contestazione, sì che appieno si giustificasse la rappresentazione, quale creditoria contestata, che C.E. ne aveva operato allorchè aveva denunziato nell’inventario la pretesa vantata dalla s.r.l. ricorrente.

Si badi che la corte bresciana ha puntualmente rimarcato che la scrittura di verifica e chiusura dei lavori dava conto della sistemazione di due tapparelle e della regolazione di quattro serramenti; il che, verosimilmente, in epoca antecedente alla sistemazione – regolazione ben può esser stato motivo di disputa tra le parti e, propriamente, di contestazione da parte della committenza.

Si evidenzia in secondo luogo che la motivazione di rigetto di un’istanza di mezzi istruttori non deve essere necessariamente data in maniera espressa, potendo la stessa ratio decidendi, che ha risolto il merito della lite, valere da implicita esclusione della rilevanza dei mezzi dedotti ovvero da implicita ragione del loro assorbimento in altri elementi acquisiti al processo (cfr. Cass. 16.6.1990, n. 6078).

Al contempo, correttamente la corte d’appello non ha dato seguito all’istanza ex art. 210 c.p.c., atteso che l’esibizione di documenti non può essere chiesta a fini meramente esplorativi – è esattamente il caso di specie (“il che avrebbe permesso di ricostruire la consistenza patrimoniale All’asse di C.M. e gli atti dispositivi effettuati poco prima della morte”: così ricorso, pag. 35) – allorquando neppure la parte istante deduca elementi sulla effettiva esistenza del documento e sul suo contenuto per verificarne la rilevanza in giudizio; e ciò in quanto potrebbe determinarsi una protrazione della fase istruttoria priva di qualsiasi utilità, anche per la stessa parte istante, a danno del principio di ragionevole durata del processo (cfr. Cass. sez. lav. 20.12.2007, n. 26943).

Si evidenzia infine che il motivo in disamina si risolve nella censura del giudizio “di fatto” operato dalla corte di merito (la corte bresciana “non ha indagato il titolo per cui il resistente ( G.F.) C. e la moglie abbiano talvolta provveduto a pagare essi il debito del de cuius -.. così ricorso, pag. 41).

Più esattamente con il motivo in disamina la ricorrente null’altro prospetta se non un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti (“indizi gravi precisi e concordati, rilevanti ai sensi dell’art. 2729 c.c., deponevano nel senso di comportamenti intesi a pregiudicare le ragioni creditorie della Gamba. In nuce, atteso che: (…) “: così ricorso principale, pag. 32).

Il motivo, dunque, involge gli aspetti del giudizio – interni al discrezionale ambito di valutazione degli elementi di prova e di apprezzamento dei fatti – afferenti al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di siffatto convincimento rilevanti nel segno dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Il motivo, pertanto, si risolve in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e, perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 26.3.2010, n. 7394; Cass. sez. lav. 7.6.2005, n. 11789).

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 183, 184 e 153 c.p.c. nel testo precedente alla “riforma” del 2005 nonchè del combinato disposto degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Deduce, limitatamente all’omesso esame della documentazione relativa alla vendita di un immobile in (OMISSIS) eseguita dal de cuius un mese prima del decesso ed il cui corrispettivo non era stato indicato nell’inventario, che si tratta di “un ulteriore elemento di prova” (così ricorso, pag. 42), cosicchè il termine di decadenza non era quello di cui all’art. 183 c.p.c., sibbene quello – senza dubbio rispettato – di cui all’art. 184 c.p.c..

Il motivo non merita seguito.

E’ innegabile che la “vendita della villa in (OMISSIS) un mese prima della morte del dott. C.M.” (così ricorso, pag. 42) non costituisce un mero profilo del thema probandum, ma, invero e prim’ancora, un aspetto del thema disputandum.

E d’altronde è significativo che la ricorrente spenda al riguardo l’espressione “vicenda”, allorchè si duole della circostanza per cui la corte territoriale non avrebbe inteso prenderla in esame (cfr. ricorso, pag. 42).

In questi termini, contrariamente all’assunto della ricorrente, la corte lombarda ineccepibilmente ne ha rifiutato la delibazione, giacchè la relativa allegazione era stata operata con la memoria ex art. 184 c.p.c. (nella formulazione applicabile ratione temporis), successivamente alla scadenza del termine di cui all’art. 183 c.p.c., comma 5 (del pari nella formulazione applicabile ratione temporis) e, quindi, al momento ultimo per la definizione del thema decidendum.

Si tenga conto che, al di là del rilievo per cui la corte distrettuale avrebbe erroneamente assunto che essa ricorrente aveva confermato la tardività dell’allegazione, in questa sede “Gamba” s.r.l. non ha disconosciuto di aver operato l’allegazione de qua con la memoria ex art. 184 c.p.c..

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. in relazione all’art. 112 c.p.c..

Deduce che la corte d’appello ha erroneamente assunto che non avesse “censurato la sentenza di primo grado in punto di natura sussidiaria dell’azione di ingiustificato arricchimento” (così ricorso, pag. 46).

Deduce che al riguardo la corte di merito ha motivato in modo non pertinente e, dunque, ha omesso la motivazione.

Il motivo è immeritevole di seguito.

Propriamente il motivo de quo agitur non si correla puntualmente alla ratio decidendi.

La corte distrettuale ha evidenziato che il primo giudice aveva opinato per l’improponibilità dell’azione di arricchimento “anche sotto diverso profilo di sussidiarietà, ovvero che essa non è esperibile (…) anche quando vi sia originariamente un’azione esperibile contro persone diverse dall’arricchito (nel caso di specie, la M.)” (così sentenza d’appello, pag. 18).

In tal guisa la ricorrente avrebbe dovuto censurare specificamente siffatta affermazione, ossia dedurre che aveva gravato il primo dictum non già semplicemente in punto di sussidiarietà tout court dell’actio ex art. 2041 c.c., quanto piuttosto con precipuo riferimento al diverso profilo di sussidiarietà evidenziato dalla corte bresciana.

In ogni caso la disamina del motivo d’appello, quale riprodotto alle pagine da 23 a 27 del ricorso, univocamente avvalora l’affermazione, in parte qua agitur, della corte territoriale.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 91 c.p.c..

Deduce che l’accoglimento del ricorso importa annullamento della sentenza di seconde cure nella parte in cui ne ha disposto la sua condanna alle spese e ha confermato parimenti la sua condanna alle spese di primo grado.

Evidentemente l’esito infausto dei precedenti motivi di ricorso assorbe la disamina del motivo de quo.

Il rigetto del ricorso giustifica la condanna della ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

M.M.P. non ha svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso, perciò, nessuna statuizione nei suoi confronti va assunta in ordine alle spese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, “Gamba” s.r.l., a rimborsare ai controricorrenti, G.F., S. ed C.E., le spese del giudizio di legittimità che si liquidano nel complesso in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 26 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2016

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