Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24423 del 21/11/2011

Cassazione civile sez. I, 21/11/2011, (ud. 10/10/2011, dep. 21/11/2011), n.24423

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FELICETTI Francesco – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.D.M.G., elettivamente domiciliato in Roma,

via Corsica 6, presso l’avv. Bielli Marco, che lo rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.F., elettivamente domiciliata in Roma, via del Corso

504, presso gli avv. Ielpo Nicola e Antonio Pignatelli, che la

rappresentano e difendono giusta in caso di diffusione del delega in

atti;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Roma emessa nel

procedimento n. 56008/07 in data 12.3.2008;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10.10.2011 dal Relatore Cons. Carlo Piccininni;

Uditi gli avv. Bielli per R. e Pignatelli per I.;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ordinanza del 12.3.2008 la Corte di Appello di Roma dichiarava inammissibile il reclamo proposto da R.d.M.G. avverso l’ordinanza con la quale il giudice istruttore del Tribunale di Roma, nel corso del giudizio di separazione pendente tra il reclamante e la moglie I.F., aveva adottato nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 709 ter c.c., il provvedimento sanzionatorio del pagamento di una somma di denaro respingendo ogni istanza di modifica del regime di affidamento dei figli, avendo ritenuto provata l’inadempienza del padre rispetto alle prescrizioni sul diritto di visita dei figli. La Corte di appello infatti, accogliendo la corrispondente eccezione di inammissibilità sollevata dalla I., aveva ritenuto che il provvedimento in questione non fosse reclamabile, sia perchè il detto rimedio sarebbe previsto esclusivamente nei confronti dei provvedimenti temporanei ed urgenti emessi dal Presidente del Tribunale, sia perchè i detti provvedimenti (sempre modificabili e revocabili) avrebbero natura diversa da quelli presidenziali.

Avverso la decisione R.d.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito la I. con controricorso.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 10.10.2011.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i due motivi di impugnazione il ricorrente ha rispettivamente denunciato:

1) violazione dell’art. 709 ter c.p.c., per la negata reclamabilità davanti alla Corte di appello dell’ordinanza del giudice istruttore presso il tribunale di Roma del 5.6.2007.

Il contestato giudizio era stato infatti emesso sulla base di due presupposti, consistenti: a) nel fatto che il reclamo sarebbe stato previsto esclusivamente per la diversa ipotesi di provvedimenti temporanei ed urgenti emessi dal Presidente del Tribunale; b) nella impugnabilità del provvedimento unitamente all'”impugnazione della sentenza che li ha recepiti o comunque a revisione immediata nei modi ordinari, tra i quali non rientra il reclamo alla Corte d’Appello”.

Entrambi i presupposti sarebbero stati tuttavia erroneamente individuati, e ciò in quanto i provvedimenti adottati dal giudice nel corso del procedimento ex art. 709 c.p.c. avrebbero carattere decisorio e definitivo, e non sarebbero pertanto modificabili o revocabili, mentre l’organo giudiziario deputato alla loro emanazione sarebbe il tribunale in composizione monocratica, anzichè il giudice istruttore, e ciò determinerebbe l’individuazione della Corte di appello quale giudice del reclamo; 2) violazione di legge sotto il profilo dell’assoluta carenza di motivazione che connoterebbe l’ordinanza impugnata, che nulla avrebbe detto “in ordine alle ragioni per le quali i provvedimenti emessi dal giudice istruttore ai sensi dell’art. 709 c.p.c. non sarebbero reclamabili davanti alla Corte”. Il ricorso è inammissibile.

In proposito occorre premettere che la controversia in esame ha la sua genesi nel giudizio di separazione dei coniugi R.d.

M.G. e I.F., instaurato presso il Tribunale di Roma.

Nell’ambito di tale giudizio entrambi i coniugi, con separati ricorsi poi decisi unitariamente, avevano denunciato, ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c., pretese inadempienze dell’altro coniuge, il R. sollecitando inoltre una modifica dei provvedimenti presidenziali in tema di affidamento dei figli, chiedendo dapprima l’affidamento condiviso e quindi l’affidamento esclusivo in proprio favore.

Il giudice istruttore della causa di separazione, con ordinanza del 4.6.2007 decideva nei seguenti termini: riscontrava una grave inadempienza del padre, che per l’effetto condannava al pagamento di Euro 17.000; escludeva inadempienze da parte della madre; respingeva infine la richiesta di modifica delle statuizioni in tema di affidamento.

Ciò premesso occorre rilevare che dalle stesse indicazioni contenute nel ricorso in esame (segnatamente p. 6) si evince che il R. ha proposto reclamo alla Corte di Appello contro la sopra richiamata ordinanza, denunciando l’erroneità del detto provvedimento esclusivamente sotto i due profili della conferma dell’affidamento dei figli alla madre (in relazione al quale veniva rinnovata la richiesta di affidamento condiviso) e della negata pronuncia sanzionatoria nei confronti della moglie, che pure avrebbe tenuto un comportamento contrario ai propri doveri. Orbene, considerato che l’art. 709 ter c.p.c., u.c., stabilisce che “i provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari”, vale a dire in ragione della natura delle misure adottate, e che nella specie il reclamo era stato proposto contro provvedimento privo del carattere della definitività e della decisorietà (specificamente in termini C. 10/21718), ne consegue anche l’inammissibilità del ricorso oggetto di esame, in applicazione del principio secondo il quale la pronunzia sull’osservanza delle norme che regolano il processo ha la medesima natura dell’atto giurisdizionale alla cui emanazione il processo è preordinato, sicchè ad essa pronunzia non può essere attribuita valenza di provvedimento decisorio e definitivo, se di tali caratteri l’atto giurisdizionale sia privo (C. 08/26631, C. 03/11026).

Ne discende, conclusivamente, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2011

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