Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24422 del 21/11/2011

Cassazione civile sez. I, 21/11/2011, (ud. 10/10/2011, dep. 21/11/2011), n.24422

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FELICETTI Francesco – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G., elettivamente domiciliata in Roma, via del

Tritone 106, presso l’avv. D’Avack Lorenzo, che la rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

T.M.M., elettivamente domiciliata in Roma,

via Monte Zebio 30, presso l’avv. Camici Giammaria, che con l’avv.

Alberto Figone la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 45 del

28.6.06.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10.10.2011 dal Relatore Cons. Carlo Piccininni;

Udito l’avv. D’Avack per C.;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza del 16.12.2005 il Tribunale di Genova attribuiva a T.M.M., coniuge divorziato di B. G. deceduto il (OMISSIS), e a C.G., che aveva contratto matrimonio con il B. il (OMISSIS), rispettivamente la quota del 67% e del 33% della pensione erogata a quest’ultimo. La decisione, impugnata dalla C. che era rimasta contumace in primo grado, veniva confermata dalla Corte di appello essenzialmente in ragione della durata dei due matrimoni (il primo ebbe a protrarsi dall'(OMISSIS)), della mancata rilevazione di correttivi della durata legale per effetto di apprezzabili situazioni di fatto, della più favorevole condizione economica dell’appellante rispetto a quella dell’appellata.

Avverso la sentenza C.G. proponeva ricorso per cassazione affidato ad un motivo variamente articolato, cui ha resistito l’intimata con controricorso, con il quale ha denunciato violazione della L. n. 898 del 1970, art. 9, commi 2 e 3 e successive modifiche, sotto i seguenti aspetti: a) la Corte di appello avrebbe utilizzato il calcolo aritmetico della durata legale dei rispettivi matrimoni, escludendo così l’applicazione dei necessari elementi correttivi; b) in particolare la Corte avrebbe omesso di considerare la durata del rapporto prematrimoniale B. – C., che sarebbe risultata da documenti e lettere concernenti la loro vita privata e che avrebbe comprovato una convivenza antecedente al matrimonio, durato quattordici anni (a fronte di quello precedente durato diciotto anni) di nove anni; c) analogamente non sarebbe stato ben applicato il correttivo dato dall’entità dell’assegno di divorzio, la cui consistenza avrebbe legittimato il riconoscimento in favore della T. di una pensione di reversibilità di importo pari al 25% del totale e non, come viceversa verificatosi, della misura del 67% del totale. Per di più l’errata quantificazione avrebbe dato luogo ad un irragionevole squilibrio fra le posizioni di T. e C., venendo quest’ultima a percepire una quota minimale di pensione (Euro 518,43) pur a fronte di un’unione coniugale e di fatto complessivamente di durata maggiore rispetto a quella della prima, e venendo inoltre a subire una notevole contrazione rispetto al tenore di vita goduto in costanza del matrimonio; d) identiche considerazioni andrebbero poi svolte con riferimento al criterio correttivo delle condizioni economiche delle parti. La misura percentuale della pensione di reversibilità dovrebbe infatti consentire di conservare il tenore di vita goduto prima del decesso del dante causa, conservazione che per quanto riguarda l’ex coniuge sarebbe da parametrare all’assegno divorzile.

Nella specie tuttavia tale criterio non risulterebbe rispettato atteso che, come sopra già rappresentato, l’entità della pensione attribuita all’ex coniuge supera di circa tre volte l’assegno divorzile. Sarebbe infine irrilevante sul piano giuridico (oltre che erroneamente apprezzato in punto di fatto) il dato relativo alla consistenza dei cespiti immobiliari della C. (che avrebbero un valore superiore a quelli della T.), dovendosi determinare la quota di pensione di reversibilità in forza del rapporto esistito con il “de cuius” e non in base al rapporto con il coniuge superstite; e) il parametro legato alla durata legale del matrimonio sarebbe errato perchè favorirebbe irragionevolmente la posizione di chi abbia resistito alla domanda di divorzio dilatando i tempi di definizione della controversia rispetto, e ciò in danno delle situazioni di fatto venutesi a creare. Il ricorso è infondato.

Ed invero, sui diversi punti sottoposti all’esame del Collegio si rileva:

a) l’assunto della ricorrente secondo cui la Corte di appello avrebbe deciso utilizzando l’esclusivo parametro della durata legale dei matrimoni contrasta con quanto viceversa stabilito (“… il criterio, della durata legale dei rispettivi matrimoni riveste una valenza centrale ma non comporta automatismi, dovendo il giudice del merito tener conto della durata del rapporto prematrimoniale di ulteriori elementi …”, pp. 9, 10);

b) l’asserita omessa considerazione del rapporto prematrimoniale B. – C. contrasta con l’accertamento compiuto nel concreto dalla Corte di appello, che sul punto ha infatti affermato “che la documentazione prodotta dall’appellante non dimostra assolutamente una situazione di convivenza more uxorio precedente alle successive nozze, nè offre il benchè minimo elemento indiziante in tal senso” (p. 13). La Corte ha dunque compiutamente motivato al riguardo, nè la ricorrente ha indicato elementi non considerati deponenti in senso contrario;

c), d) i due profili possono essere considerati unitariamente perchè riguardano la denunciata sproporzione fra le due pensioni, che non sarebbero rapportate all’assegno divorzile della T., e che sarebbero state a torto determinate anche in base al non consentito raffronto fra le posizioni economiche delle due mogli.

Anche tali rilievi non sono condivisibili. Ed infatti, come questa Corte ha già avuto occasione di chiarire (segnatamente C. 10/25511, con i richiami ivi contenuti), la ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge superstite e l’ex coniuge va effettuata in ragione del “valore preponderante ed il più delle volte decisivo” (Corte Cost., n. 419 del 1999) attribuito alla durata legale del matrimonio, ferma restando la possibilità (ma non la necessità) per il giudice del merito di tener conto di correttivi per assicurare l’equilibrio fra le posizioni delle parti, quali le condizioni economiche dei due ex coniugi, l’entità dell’assegno goduto da quello divorziato, i periodi di convivenza prematrimoniale con carattere di stabilità e realizzazione di una comunione di vita, e comunque ogni altro elemento desumibile dalla L. n. 898 del 1970. Nel caso in esame la Corte di appello ha puntualmente considerato la durata legale dei matrimoni, escludendo poi che fosse ravvisabile la necessità di adottare correttivi di sorta (p. 13) in ragione, in particolare, della consistenza della posizione economica della C..

La Corte ha fatto dunque corretta applicazione dei principi stabiliti da questa Corte ed ha basato la propria decisione su motivazione adeguata immune da vizi logici, che non risulta pertanto sindacabile in questa sede di legittimità.

e) la censura relativa all’erroneità del parametro legato alla sola durata legale del matrimonio, erroneità che sarebbe fra l’altro desumibile dal fatto che la sua applicazione determinerebbe un irragionevole trattamento di favore a vantaggio del convenuto resistente alla domanda di divorzio, è del tutto inconsistente in punto di fatto, perchè la Corte di Appello non solo non ha negato l’applicabilità di correttivi al detto parametro, ma ha addirittura reso affermazione di segno opposto, avendo viceversa ritenuto, sotto il profilo del merito, che nel concreto non fossero ravvisabili le condizioni necessarie per l’applicazione dei detti correttivi.

Conclusivamente il ricorso deve essere dunque rigettato, con condanna della ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2011

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