Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24422 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 03/11/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 03/11/2020), n.24422

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8047/2015 promosso da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

M.F.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4672/2014 della CTR della Lombardia,

depositata il 18/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/07/2020 dal Consigliere REGGIANI ELEONORA;

letti gli atti del procedimento in epigrafe.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 4672/14 della CTR della Lombardia, depositata il 18/09/2014, è stato confermato l’accoglimento del ricorso proposto dalla contribuente contro l’avviso di liquidazione n. (OMISSIS), avente ad oggetto la richiesta di pagamento di Euro 28.562,00 a titolo di imposta sulle donazioni e sanzioni, in relazione all’atto pubblico stipulato in data 23/09/2010, con il quale l’intimata e M.E.M. avevano istituito il “Trust Subaraia”, al fine di estinguere le passività della Subaraia s.r.l., della quale detenevano l’intero capitale sociale, conferendo nel trust le loro partecipazioni sociali e un immobile personale, sito in San Vittore Olona, indicando quali beneficiari le banche creditrici della menzionata società.

In particolare, la CTR ha ritenuto che la costituzione del trust costituisse un atto giuridicamente rilevante, ma fiscalmente neutro, escludendo la possibilità di operare un’applicazione analogica del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47, conv. con modif. in L. n. 286 del 2006.

Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione, formulando un unico motivo di impugnazione.

La contribuente, ritualmente intimata, non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 23 e 53 Cost., degli artt. 12 e 14 preleggi, del D.Lgs. n. 346 del 2000, art. 5, e del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, commi 47-54, conv. con modif. in L. n. 286 del 2006, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la CTR erroneamente escluso l’applicazione dell’imposta sulle donazioni all’atto di costituzione del “Trust Subaraia”, perchè, con esso, si è imposto un vincolo di destinazione ai beni conferiti nel trust.

2. Il motivo è infondato.

Dalle allegazioni contenute nel ricorso per cassazione si evince che oggetto di imposizione è stata la costituzione di un trust, il cui scopo era quello di vendere i beni conferiti per estinguere i debiti di una società, la Subaria s.r.l., mediante la distribuzione ai creditori, specificamente indicati, del ricavato.

Le disponenti, M.F. e M.E.M., detentrici dell’intero capitale della Subaraia s.r.l., hanno conferito nel trust le loro quote di partecipazione nella società (proprietaria di beni immobili) e un immobile personale, perchè fosse venduto insieme ai beni sociali e, con il ricavato, venissero soddisfatti i creditori della società, specificamente indicati (v. p. 2, 8 e 9 del ricorso per cassazione).

2.1. Il D.L. n. 262 del 2006, art. 2, conv. con modif. in L. n. 286 del 2006, al comma 47 ha istituto l’imposta sulle successioni e donazioni “sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54”.

Nel reintrodurre nell’ordinamento la imposta sulle successioni e donazioni (abrogata dalla L. n. 383 del 2001, art. 13) la norma appena riportata ha rimodulato la configurazione del tributo, ampliandone base impositiva con l’inclusione di tutti i trasferimenti a titolo gratuito ed anche degli atti con cui si costituiscono vincoli di destinazione.

E’ evidente che l’estensione dell’imposizione al più ampio genus degli atti a titolo gratuito (rispetto alla species delle sole liberalità previste dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 1) conduce a correlare il presupposto del tributo all’accrescimento patrimoniale (senza contropartita) del beneficiario, anzichè all’animus donandi, che infatti difetta negli atti a titolo gratuito diversi dalle liberalità.

Anche per quanto riguarda la costituzione dei vincoli di destinazione, questa Corte, superando le incertezze interpretative originariamente sorte, è oramai consolidata nel ritenere che l’art. 2, comma 47, cit. abbia mantenuto, come presupposto impositivo, quello stabilito dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 1, e cioè il reale trasferimento di beni o diritti, e quindi il reale arricchimento dei beneficiari, aggiungendo espressamente, tra gli atti suscettibili d’imposizione (oltre ai trasferimenti a titolo gratuito, anche) la costituzione dei vincoli di destinazione, per evitare che un’interpretazione restrittiva, determinata dal rinvio all’abrogato D.Lgs. n. 346 del 1990, potesse portare, in tali ipotesi, all’esclusione dell’imposta, che invece non era contemplata nel D.Lgs. n. 346 del 1990, semplicemente perchè all’epoca non era ancora prevista nel nostro ordinamento (così Cass., Sez. 5, n. 1131 del 17/01/2019; v. anche Cass., Sez. 5, n. 19167 del 17/07/2019 e, in motivazione, Cass., Sez. 5, n. 8082 del 23/04/2020).

Tale soluzione risponde alla necessità di operare una lettura costituzionalmente orientata della normativa in esame (artt. 53 e 23 Cost.), attribuendo giusto rilievo al fatto che l’imposta prevista dal D.Lgs. n. 346 del 1990, richiamato dall’art. 2, comma 47, sopra riportato, non può non essere posta in relazione con “un’idonea capacità contributiva”.

Pertanto, nell’ambito concettuale dei negozi costitutivi di vincoli di destinazione sono senza dubbio compresi gli atti di destinazione di cui all’art. 2645 ter c.c. ed anche qualsiasi atto volto alla costituzione di patrimoni vincolati ad uno scopo, e dunque anche l’istituzione di un trust (v. infra), ma ciò non è sufficiente a giustificare l’applicazione dell’imposta in questione, perchè deve operarsi un effettivo trasferimento di ricchezza, che sia indice di un’acquisita maggiore capacità contributiva.

Come più volte evidenziato da questa Corte (v. da ultimo Cass., Sez. 5, n. 8082 del 23/04/2020), ferma restando l’indubbia discrezionalità del legislatore nell’individuare i presupposti del tributo, quest’ultimo deve pur sempre muoversi in un ambito di ragionevolezza, e di non arbitrio (Corte Cost. n. 83 del 2015), perchè la capacità contributiva, in ragione della quale il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese, esige l’oggettivo e ragionevole collegamento del tributo ad un effettivo indice di ricchezza (così Corte Cost. n. 394 del 2008).

2.2. Secondo l’art. 2 della Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, ratificata con la L. n. 364 del 1989, per trust s’intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente – con atto tra vivi o mortis causa – ponendo dei beni sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato.

Tale figura assume connotazioni diverse a seconda delle modalità con cui viene istituito, delle finalità che persegue e dei soggetti che assumono i diversi ruoli.

Vi sono però alcuni elementi caratterizzanti comuni, i quali possono essere individuati: 1) nel nucleo causale unitario costituito dalla combinazione dello scopo di destinazione con quello, ad esso strumentale, di segregazione patrimoniale; 2) nell’attuazione del vincolo di destinazione mediante intestazione meramente formale dei beni al trustee ed attribuzione al medesimo di poteri gestori e di disposizione circoscritti e mirati allo scopo; 3) nell’attribuzione al beneficiario (ove esistente) di una posizione giuridica che non è di diritto soggettivo, ma di aspettativa o di interesse qualificato ad una gestione conforme alla realizzazione dello scopo (così, in motivazione, Cass., Sez. 5, n. 16699 del 21/06/2019).

Il trust non è dotato di una propria personalità giuridica e il trustee è l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi, non in qualità di legale rappresentante del trust, ma come colui che dispone dei beni e dei diritti in esso conferiti in conformità alle istruzioni e in coerenza con lo scopo a cui il patrimonio è destinato (così, in motivazione, Cass., Sez. 3, n. 3128 del 10/02/2020; v. anche Cass., Sez. 1, n. 25800 del 22/12/2015).

E’ pertanto evidente il carattere fiduciario del rapporto fra disponente e trustee, il quale acquista la proprietà dei beni o dei diritti conferiti nel trust, non a proprio vantaggio – perchè non incrementano il suo patrimonio personale, ma restano separati e segregati – ma per compiere gli atti di gestione (e, se previsto, di disposizione), che consentano di realizzare lo scopo per il quale il trust è stato istituito, non nell’interesse proprio, ma di terzi.

Come emerge da quanto appena evidenziato, l’istituzione del trust e la destinazione ad esso di beni o diritti non implicano, da soli, un effettivo incremento di ricchezza in favore del trustee, nei termini sopra evidenziati, e pertanto non possono costituire un indice di maggiore forza economica e capacità contributiva di quest’ultimo.

I beni e i diritti non sono attribuiti definitivamente al trustee, che è solo tenuto solo ad amministrarli e a disporne (se richiesto), in regime di segregazione patrimoniale, in vista del trasferimento che dovrà poi compiere.

La strumentalità dell’atto istitutivo e di dotazione del trust ne giustifica pertanto, nei termini indicati, la neutralità fiscale, tenuto conto che l’indice di ricchezza, al quale deve sempre collegarsi l’applicazione del tributo, non prende consistenza prima che il trust abbia attuato la propria funzione (v. da ultimo Cass., Sez. 5, n. 8082 del 23/04/2020).

L’apposizione del vincolo sui beni conferiti nel trust, inòquanto tale, determina l’utilità rappresentata dalla separatezza dei beni (limitativa della regola generale di cui all’art. 2740 c.c.), la quale non concreta, di per sè, alcun effettivo e definitivo incremento patrimoniale in capo al trustee, ma soltanto al beneficiario finale, quando il trust abbia raggiunto lo scopo per cui è stato costituito. Prima di questo momento, l’utilità, insita nell’apposizione del vincolo, si risolve, dal lato del conferente, in un’autorestrizione del potere di disposizione, mediante la segregazione e, dal lato del trustee, in un’attribuzione patrimoniale meramente formale, separata dai beni personali, transitoria e strumentale.

Come sopra evidenziato, tenendo come parametro l’art. 53 Cost., occorre circoscrivere l’applicazione dell’art. 2, comma 47, cit., correlandola, in senso restrittivo, al rilievo della capacità contributiva comportata dal trasferimento del bene, sicchè, quando il conferimento costituisce un atto sostanzialmente neutro, che non arreca un reale e stabile incremento patrimoniale al beneficiario meramente formale della attribuzione, resta esclusa la ricorrenza di un trapasso di ricchezza suscettibile di imposizione indiretta (così da ultimo Cass., Sez. 5, n. 1131 del 17/01/2019).

Pertanto, in materia di trust, nè l’istituzione del trust e nè il conferimento in esso dei beni che ne costituiscono la dotazione integrano, da soli, un trasferimento imponibile, costituendo invece atti neutri, che non danno luogo ad un passaggio effettivo e stabile di ricchezza in favore del trustee.

In questi casi, l’imposta sulle successioni e donazioni, prevista dall’art. 2, comma 47, cit. è dovuta non al momento dell’istituzione del trust o in quello di dotazione patrimoniale dello stesso, fiscalmente neutri, ma semmai in seguito, al momento dell’eventuale trasferimento dei beni o dei diritti a terzi, perchè, come sopra evidenziato, solo tale atto costituisce un effettivo indice di ricchezza ai sensi dell’art. 53 Cost. (così Cass., Sez. 5, n. 19167 del 17/07/2019; Cass., Sez. 5, n. 16699 del 21/06/2019).

2.3. Non si perviene a diverse conclusioni guardando alla fattispecie concreta oggetto di giudizio, riconducibile alla figura del trust liquidatorio so/vendi causa.

Come sopra evidenziato, le disponenti hanno istituito, e dotato, il trust perchè il trustee potesse vendere i beni in esso conferiti (per effetto della segregazione, protetti da eventuali azioni esecutive di terzi) e distribuire il ricavato a determinati creditori della società dalle medesime partecipata.

Questo Collegio ritiene di confermare l’orientamento da ultimo maturato da questa Sezione (v. Cass., Sez. 5, n. 19167 del 17/07/2019; cfr. in precedenza Cass., Sez. 5, n. 13626 del 30/05/2018), secondo il quale, anche in questi casi, l’istituzione e la dotazione del trust devono ritenersi fiscalmente neutri.

Non si dubita infatti della effettività del trasferimento al trustee dei beni da liquidare, ma ciò non esclude che tale trasferimento sia lo strumento attraverso il quale è ottenuto l’effetto di segregazione e di destinazione.

Ancora una volta, si tratta di individuare e tassare gli atti traslativi propriamente detti (che sono quelli di liquidazione del patrimonio di cui il trust sia stato dotato), non potendo assurgere ad espressione di ricchezza imponibile, nè l’assegnazione-dotazione di taluni beni alla liquidazione del trustee in funzione solutoria e nemmeno la ripartizione del ricavato ai beneficiari a dovuta soddisfazione dei loro crediti. Ove, infatti, si dovesse individuare, con la costituzione del trust, un effetto traslativo immediato propriamente detto, realizzato in via diretta e senza alcuna volontà di segregazione o destinazione, si dovrebbero escludere gli elementi che connotano il trust in quanto tale, ponendosi conseguentemente, non un problema di fiscalità del trust, quanto, semmai, di diversa qualificazione dell’atto compiuto, secondo l’intrinseca natura ed effetti giuridici prodotti (così da ultimo, in motivazione, Cass., Sez. 5, n. 8082 del 23/04/2020; Cass., Sez. 5, n. 22758 del 12/09/2019; per un precedente specifico, v. Cass., Sez. 5, n. 19167 del 17/07/2019).

3. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, tenuto conto del mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.

4. Non trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, essendo la parte soccombente ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, quale Amministrazione pubblica, difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso.

Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, tenutasi con modalità “da remoto” come da decreti del Primo Presidente nn. 76 e 97 del 2020, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

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