Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24421 del 30/09/2019

Cassazione civile sez. I, 30/09/2019, (ud. 09/09/2019, dep. 30/09/2019), n.24421

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 20184-2018 r.g. proposto da:

O.J., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Luigi

Migliaccio, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in

Napoli, Piazza Cavour n. 139.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro legale rappresentante

pro tempore, rappresentato e difeso, ex lege, dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12, è domiciliato.

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Roma, depositato in data

24.5.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

9/9/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Roma – decidendo sulle domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate da O.J., cittadino nigeriano, dopo il diniego di protezione della commissione territoriale – ha rigettato le domande così proposte dal richiedente.

Il tribunale ha ritenuto non credibile e contraddittorio il racconto della vicenda umana del ricorrente, posta come ragione della decisione di espatriare dalla Nigeria: il richiedente ha infatti narrato di essere cristiano pentecostale, di essere omosessuale da diversi anni e di essere stato scoperto in atteggiamenti compromettenti con il suo amico presso la abitazione di quest’ultimo da un vigilante e di essere stato, dunque, costretto a scappare dalla Nigeria posto che nel suo paese la omosessualità integra un reato molto grave, punito con diversi anni di carcere. Il tribunale ha rilevato che il richiedente era incorso in diverse contraddittorietà nel suo racconto, avendo peraltro cambiato più volte versione dei fatti dopo le contestazioni delle predette contraddizione interne al racconto, così non riconoscendo il richiesto status di rifugiato e la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b. Il tribunale ha inoltre osservato che non ricorrevano neanche i presupposti applicativi della richiesta tutela sussidiaria ex art. 14, lett. c, medesimo Decreto da ultimo menzionato, provenendo il richiedente dall’Edo State, ove non si assiste ad episodi di violenza indiscriminata e generalizzata. I giudici del merito hanno infine escluso anche il riconoscimento dell’invocata tutela umanitaria, non ricorrendo condizioni di vulnerabilità del richiedente e comunque non essendo stata dimostrata una condizione di integrazione socio-lavorativa del ricorrente in Italia.

2. Il decreto, pubblicato il 24.5.2018, è stato impugnato da O.J. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis e art. 737 c.p.c.. Si duole il ricorrente della mancata attivazione del potere di integrazione istruttoria da parte del tribunale giacchè la valutazione di non credibilità espressa da quest’ultimo riguardava in realtà non già la questione dell’orientamento sessuale del ricorrente, quanto piuttosto la vicenda raccontata, con ciò incorrendo il tribunale nelle ricordate violazioni di legge.

2. Con il secondo motivo si articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di un fatto decisivo in relazione al rischio di danne grave alla persona, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b. Si osserva anche in questo caso che la valutazione di non credibilità espressa dal tribunale non involgeva la manifestazione di omosessualità del ricorrente, ma al contrario solo la vicenda personale legata alla sua fuga dalla Nigeria.

3. Con il terzo motivo si articola, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g), artt. 3, 4, 5 e art. 14, lett. b e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

4. Con il quarto motivo si deduce vizio di violazione e falsa applicazione di legge in riferimento al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 2008, art. 5, comma 6, in relazione al diniego di protezione umanitaria.

5. Il ricorso è inammissibile.

6. I primi due motivi di ricorso sono inammissibili essendo invero avvinti dal medesimo profilo di irricevibilità delle relative doglianze.

6.1.2 Occorre premettere che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte di legittimità, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). Più in particolare, è stato precisato che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., sempre Cass. 2019/3340, cit. supra).

6.1.2.1 Ciò posto, osserva la Corte che, quanto al primo motivo, la parte ricorrente tenti di veicolare, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, una richiesta di rivalutazione del giudizio di credibilità del richiedente che può essere censurato, in questa sede, solo nei ristretti limiti del vizio argomentativo, per come, oggi, delimitato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

6.1.2.2 Quanto al secondo motivo, va precisato che la valutazione di non credibilità risulta comunque mal censurata, e ciò sia perchè non corrisponde al vero che l’oggetto della valutazione negativa sul punto qui in esame sarebbe stato solo la vicenda raccontata e non anche la professione di omosessualità posta alla base del racconto sia perchè non è stato neanche enucleato dal ricorrente un fatto storico, nel cui mancato esame sarebbe incorsa la motivazione impugnata.

6.3 Il terzo motivo è anch’esso inammissibile perchè la censura trascura la ratio decidendi posta a sostegno del mancato riconoscimento anche della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 14, lett. b e cioè la non credibilità del racconto del richiedente.

6.4 Anche il quarto motivo di censura non supera la soglia di ammissibilità, posto che, da un lato, anche qui non coglie la ratio della decisione di rigetto della richiesta tutela (nei termini già sopra ricordati) e che, dall’altro, le allegazioni difensive del ricorrente si concentravano, per la richiesta protezione umanitaria, solo sul profilo della dichiarata omosessualità, senza investire gli ulteriori profili, che dunque risultano allegati per la prima volta in questo giudizio di cassazione (si legga, in tal senso, l’integrazione del richiedente nella società italiana).

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 9 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

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