Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2442 del 03/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 03/02/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 03/02/2010), n.2442

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21994/2006 proposto da:

M.O., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la rappresenta e

difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134,

presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e

difende, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3353/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/07/2005 r.g.n. 1653/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/12/2009 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 27.4 – 28.7.2005, respinse il gravame proposto da M.O. nei confronti della Poste Italiane spa avverso la sentenza di prime cure con la quale era stata disattesa la sua domanda di accertamento dell’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro a termine intercorso fra le parti dal 28.2.2000 al 27.6.2000; la Corte territoriale reputò che doveva ritenersi la legittimità dell’integrazione dell’art. 8 CCNL 26.11.1994 effettuata con l’accordo del 25.9.1997 e che andavano disattesi i rilievi dell’appellata di illegittimità dell’apposizione del termine, sia con riferimento alla mancata specificazione e, comunque, alla carente dimostrazione, del nesso di causalità tra le esigenze riorganizzative e la singola assunzione a termine, sia con riferimento alla data della sua assunzione.

Avverso tale sentenza M.O. ha proposto ricorso fondato su tre motivi e illustrato con memoria. La Poste Italiane spa ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Com’è pacifico la ricorrente è stata assunta con contratto a termine, decorrente dal 28.2.2000, stipulato a norma dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994 e, in particolare, in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione dei progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane.

2. Con il primo motivo la ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto la legittimità dell’accordo del 25.9.1997, sia perchè non costituente un contratto collettivo di lavoro, sia perchè non sottoscritto da tutte le sigle sindacali che avevano stipulato il CCNL. Il motivo è infondato sotto entrambi i profili.

Quanto ai primo perchè l’accordo in parola è anche formalmente integrativo del CCNL del 1994.

Quanto al secondo, perchè la L. n. 56 del 1987, art. 23, richiede la stipula da parte dei sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale (come nella specie è avvenuto), ma non certo l’obbligatoria partecipazione di tutte le sigle sindacali; inoltre, come già rilevato da questa Corte, gli accordi collettivi che, ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23, individuano le fattispecie in cui è legittima l’apposizione al contratto di lavoro di un termine, proprio in virtù del rinvio operato dalla citata disposizione, assumono una portata integrativa della norma e quindi un contenuto precettivo erga omnes, con conseguente efficacia vincolante nei confronti di tutti i prestatori di lavoro cui quell’accordo è riferibile, a prescindere dalla iscrizione del lavoratore ad una delle organizzazioni sindacali che quegli accordi abbia sottoscritto (cfr, Cass., n. 17674/2002).

3. Con il terzo motivo la ricorrente sostiene, con riferimento alla L. n. 230 del 1962, art. 3, che la parte datoriale avrebbe dovuto dimostrare la sussistenza delle condizioni in presenza delle quali, secondo la ricordata previsione dell’accordo del 25.9.1997, era legittima la stipulazione del contratto a termine.

L’assunto contrasta con il costante insegnamento di questa Corte di cassazione (cfr, in particolare, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011; Cass. 7 marzo 2005 n. 4862), specificamente riferito ad assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25 settembre 1997, secondo cui l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra singoli contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato; ed infatti, come ripetutamente affermato da questa Corte Suprema e ribadito da ultimo dalle Sezioni Unite con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588, il legislatore ha conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, svincolata dai limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1.

La decisione della Corte di merito, con riferimento al contratto de quo, è conforme al suddetto principio di diritto e, pertanto, il motivo all’esame va rigettato.

4. Ad avviso della Corte territoriale, premessa la legittimità del citato accordo integrativo, i cosiddetti accordi attuativi costituivano un mero riconoscimento bilaterale, per il periodo preso in considerazione, della sussistenza delle condizioni oggettive legittimanti il ricorso ai contratti a termine; con la conseguenza che anche al di fuori dei periodi considerati dai suddetti accordi attuativi il ricorso alle assunzioni a termine doveva considerarsi del tutto legittimo.

La suddetta impostazione è stata censurata dalla lavoratrice con il secondo mezzo, contestando l’interpretazione data dalla Corte di merito al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997 ed ai successivi accordi, e, in particolare, alla tesi che questi ultimi avrebbero avuto natura meramente ricognitiva. Questa Corte (cfr, ex plurimis, Cass., n. 18272/2006), decidendo su fattispecie sostanzialmente analoghe a quella in esame (contratto a termine stipulato ai sensi dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 dopo la data del 30 aprile 1998), ha cassato le sentenze di merito che avevano affermato la legittimità del termine apposto a tale contratto.

Deve premettersi, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 4588/2006), e che, in forza della sopra citata delega in bianco, le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997.

Partendo da questo principio, la ricordata giurisprudenza, dopo aver ribadito la legittimità della formula adottata nell’accordo integrativo, caratterizzata, in particolare, dalla mancata previsione di un termine finale, ha ritenuto tuttavia viziate quelle decisioni dei giudici di merito nella parte in cui hanno affermato la natura meramente ricognitiva dei cosiddetti accordi attuativi e conseguentemente il carattere non vincolante degli stessi quanto alla determinazione della data entro la quale era legittimo ricorrere a contratti a termine, atteso che con tale interpretazione dei suddetti accordi si sono discostate da chiaro significato letterale delle espressioni usate – ed in particolare di quella secondo cui “…per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30/4/98” (cfr accordo del 16 gennaio 1998); ciò, fra l’altro, in violazione del principio secondo cui, nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 12245/2003; 12453/2003). La stessa giurisprudenza ha ritenuto inoltre la sussistenza, nelle suddette sentenze, di una violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c., a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello per cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la statuizione secondo cui le parti non avevano inteso introdurre limiti temporali alla previsione di cui all’accordo del 25 settembre 1997 implica la conseguenza che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (così, testualmente, Cass., n. 2866/2004).

La giurisprudenza di questa Corte (cfr, ex plurimis, Cass., n. 18378/2006) ha, per contro, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo circa due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, anche ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione doveva comunque ritenersi conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass., n. 5141/2004).

Il sopra ricordato orientamento di questa Corte deve essere pienamente confermato, atteso che le tesi difensive che si sono confrontate nelle fasi di merito, quelle oggi proposte all’attenzione della Corte e, infine, le ragioni esposte nella sentenza impugnata, non sono sorrette da argomenti che non siano già stati scrutinati nelle ricordate decisioni o che propongano aspetti di tale gravità da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti. Il motivo all’esame deve essere pertanto considerato fondato per le ragioni sin qui esposte.

5. In definitiva il ricorso merita accoglimento nei limiti anzidetti e, conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio della causa al Giudice indicato in dispositivo, che procederà a nuovo esame tenendo conto dei principi sopra affermati e provvederà altresì sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2010

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