Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24419 del 17/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 17/10/2017, (ud. 18/07/2017, dep.17/10/2017),  n. 24419

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16845 – 2015 R.G. proposto da:

G.A., – c.f. (OMISSIS) – rappresentata e difesa in virtù

di procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato Francesco

Caldarella ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via Marianna

Dionigi, n. 43, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Puglisi;

– ricorrente –

contro

N.V., – c.f. (OMISSIS) – S.C. – c.f.

(OMISSIS) – P.G. – c.f. (OMISSIS) – R.C. –

c.f. (OMISSIS) – T.M. – c.f. (OMISSIS) – rappresentati e

difesi in virtù di procura speciale in calce al controricorso

dall’avvocato Carmelo Scarso ed elettivamente domiciliati in Roma,

alla via Tacito, n. 41, presso lo studio dell’avvocato Franco

Moretti;

– controricorrenti –

e

F.E., – c.f. (OMISSIS) – M.M.I. – c.f.

(OMISSIS) – SA.RO. – c.f. (OMISSIS) – GA.EN. –

c.f. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1567 del 24.11.2014 della corte d’appello di

Catania, udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18

luglio 2017 dal consigliere Dott. Abete Luigi.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con atto notificato in data 30.12.2005 N.V., + ALTRI OMESSI

Chiedevano che la convenuta, che aveva realizzato e venduto ad essi attori talune villette in (OMISSIS), fosse dichiarata responsabile, in qualità di costruttrice e venditrice, per i vizi riscontrati.

Si costituiva G.A.. Instava per il rigetto dell’avversa domanda. Eccepiva preliminarmente la decadenza e la prescrizione.

Con sentenza del 14.4.2014 il giudice adito accoglieva la domanda e condannava l’attrice al risarcimento del danno.

Reputava il tribunale, quanto al termine di decadenza di un anno ex art. 1669 c.c., che, in assenza di riscontro della data in cui si erano manifestate le anomalie, doveva assumersi a termine di riferimento la data di deposito dell’elaborato tecnico di parte, datato 15.7.2005, sicchè in considerazione del dì – 30.12.2005 – di notifica dell’atto introduttivo l’azione era stata tempestivamente promossa.

Interponeva appello G.A..

Resistevano gli originari attori.

Con sentenza n. 1567 del 24.11.2014 la corte d’appello di Catania rigettava il gravame e condanna l’appellante alle spese.

Reputava la corte che l’azione era da qualificare ai sensi dell’art. 1669 c.c.; che la conoscenza completa idonea a provocare la decorrenza del doppio termine di cui all’art. 1669 c.c., doveva farsi coincidere con le date del 15.6.2005 e 7.7.2005, allorchè i consulenti officiati dagli appellati avevano consegnato i loro elaborati scritti e ove era evidenziato il nesso causale tra il vizio e le modalità costruttive; che dunque alla data di notifica dell’atto introduttivo del giudizio di prime cure non erano decorsi nè il termine di decadenza nè il termine di prescrizione di cui all’art. 1669 c.c..

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso G.A.; ne ha chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese.

N.V., S.C., P.G., R.C. e T.M. hanno depositato controricorso; hanno chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio

F.E., M.I.M., Sa.Ro. ed Ga.En. non hanno svolto difese.

Con l’unico motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 1669 c.c..

Deduce che ha errato la corte di merito ad elevare al rango di prova piena le consulenze di parte mai asseverate e prive di data certa.

Deduce che viceversa con la produzione della relazione a firma del proprio consulente è stata data la prova del verificarsi della decadenza, giacchè i vizi erano già presenti nell’aprile del 2004.

Il ricorso è infondato e va respinto.

Si premette che il motivo di ricorso si qualifica in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Occorre tener conto, per un verso, che con l’esperito mezzo di impugnazione la ricorrente censura sostanzialmente il giudizio “di fatto” cui il tribunale, dapprima, e la corte distrettuale, poi, hanno atteso in ordine ed ai fini del riscontro del dies a quo dei termini di cui all’art. 1669 c.c.; per altro verso, che è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).

Si premette altresì che, in ossequio al canone di cosiddetta autosufficienza del ricorso per cassazione (cfr. Cass. sez. lav. 4.3.2014, n. 4980), quale sancito all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, ben avrebbe dovuto la ricorrente, onde consentire a questa Corte il compiuto vaglio dei suoi assunti, riprodurre più o meno integralmente nel corpo del ricorso il testo della relazione a firma del proprio consulente.

Ciò tanto più che il vizio di “autosufficienza” è stato espressamente posto in risalto dai controricorrenti (cfr. controricorso, pag. 3).

Si rappresenta in ogni caso che il vizio motivazionale sostanzialmente veicolato dall’esperito ricorso rileva nel segno della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (la sentenza della corte di Catania è stata depositata il 24.11.2014) e nei limiti di cui all’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte n. 8053 del 7.4.2014.

Su tale scorta si rappresenta quanto segue.

Da un canto, che nessuna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia delle sezioni unite teste menzionata, si scorge in relazione alle motivazioni – dapprima riferite – cui la corte territoriale ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte siciliana ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

Dall’altro, che la corte d’appello ha sicuramente disaminato il fatto storico caratterizzante in parte qua agitur la res litigiosa.

Del resto, la ricorrente censura l’asserita distorta ed erronea valutazione delle risultanze di causa (“anzi, con la produzione agli atti della consulenza tecnica di parte (…) è stata data la prova del verificarsi della decadenza (…)”: così ricorso, pag. 4).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte di merito risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed esaustivo.

D’altronde questa Corte spiega che il termine dí un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti nella costruzione di un immobile, previsto dall’art. 1669 c.c., a pena di decadenza dall’azione di responsabilità contro l’appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera, non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti; tale conoscenza deve ritenersi, dì regola, acquisita, in assenza di anteriori ed esaustivi elementi, solo all’atto dell’acquisizione di relazioni peritali effettuate; l’accertamento relativo, involgendo un apprezzamento di fatto, è riservato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto – come nella fattispecie – da motivazione congrua ed esente da vizi logici o da errori di diritto (cfr. Cass. 2.1.2008, n. 2460).

In dipendenza del rigetto del ricorso la ricorrente va condannata a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

F.E., M.I.M., Sa.Ro. ed Ga.En. non hanno svolto difese. Nessuna statuizione va pertanto assunta nei loro confronti in ordine alle spese.

Il ricorso è datato 20.5.2015.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), la ricorrente sia tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma del medesimo D.P.R., art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare ai controricorrenti, N.V., S.C., P.G., R.C. e T.M., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2017

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