Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24415 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/11/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 03/11/2020), n.24415

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33105-2018 proposto da:

S.L., S.A., S.M., SE.AN., in

proprio e nella qualità di eredi di L.E., elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIULIANO FINA;

– ricorrenti –

contro

LO.FE.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 760/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 11/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

MARIA CIRILLO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.L. ed L.E. convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Lecce, Lo.Fe. e, sulla premessa che questi aveva acquistato l’immobile da loro condotto in locazione per l’esercizio di attività artigiana, in violazione del diritto di prelazione di cui alla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 38, chiesero che fosse dichiarata la nullità o l’inefficacia di quell’atto di acquisto, con contestuale riconoscimento della sussistenza del loro diritto di riscatto dell’immobile, ai sensi della L. suindicata, art. 39.

Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda e domandando di essere autorizzato a chiamare in causa altre parti, tra le quali si costituì solo T.G.A., chiedendo pure il rigetto della domanda degli attori.

La causa fu interrotta per la morte di L.E. e riassunta da S.L., Se.An., S.M. e S.A. in qualità di eredi.

Istruita la causa con prova per interpello e per testi e con svolgimento di una c.t.u., il Tribunale rigettò la domanda e condannò gli attori al pagamento delle spese di lite.

2. La pronuncia è stata impugnata in via principale da Se.An., S.M. e S.A. e in via incidentale da S.L. con appello incidentale di contenuto identico all’altro, e la Corte d’appello di Lecce con sentenza dell’11 luglio 2018, ha dichiarato inammissibili entrambi gli appelli per tardività.

Ha osservato la Corte di merito che la sentenza di primo grado era stata notificata al procuratore degli appellanti principali e dell’appellante incidentale in data 28 dicembre 2014, mentre l’appello era stato notificato solo in data 8 giugno 2015, cioè ben oltre il termine di trenta giorni fissato dalla legge. Il fatto che la notifica della sentenza nelle mani del procuratore costituito fosse avvenuta in un’unica copia era irrilevante, alla luce dell’insegnamento di una pacifica giurisprudenza.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Lecce propongono ricorso S.L., Se.An., S.M. e S.A. con unico atto affidato ad un solo motivo.

Fernando Lo.Se. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e i ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3), violazione degli artt. 170,285,325 e 327 c.p.c., sostenendo che l’appello era tempestivo e che, perciò, non avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.

Osservano i ricorrenti che la controparte non avrebbe mai depositato la copia notificata della sentenza di primo grado con l’attestazione dell’avvenuta notifica, per cui la Corte d’appello aveva invertito l’onere della prova, senza contare che il documento mancante non ammette equipollenti.

1.1. Il motivo non è fondato.

La sentenza impugnata è pervenuta alla declaratoria di inammissibilità dell’appello in base al rilievo, considerato decisivo, per cui gli appellanti principale ed incidentale – che sono gli odierni ricorrenti – non avevano contestato il fatto storico che la sentenza fosse stata notificata in data 28 dicembre 2014, limitandosi ad eccepire l’inesistenza di quella notifica in quanto avvenuta con consegna di una sola copia al difensore, anzichè di tante copie quante erano le parti. Confutando tale argomentazione, la Corte d’appello ha dato sostanzialmente per pacifica la circostanza dell’avvenuta notifica in quella data, risultando perciò l’appello inevitabilmente tardivo in quanto proposto con atto notificato il successivo 8 giugno 2015.

A fronte di tali argomenti, gli odierni ricorrenti richiamano nella memoria di cui all’art. 380-bis c.p.c., l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo cui, ai fini della prova del momento di decorrenza del termine breve per proporre impugnazione, la parte che eccepisce la tardività è tenuta a produrre copia autentica della sentenza impugnata corredata della relativa notificazione; produzione, questa, che non ammette equipollenti, al punto che la sua mancanza determina l’impossibilità della decorrenza del termine breve e la conseguente applicazione del termine lungo per impugnare (v. le ordinanze 14 giugno 2016, n. 12177, e 7 dicembre 2016, n. 25062). Ed è evidente che l’appello sarebbe stato tempestivo in caso di applicazione del termine lungo, posto che la sentenza di primo grado era stata depositata il 12 dicembre 2014.

1.2. Osserva il Collegio che l’argomentazione dei ricorrenti, pur meritevole di indubbia attenzione, non è convincente.

La giurisprudenza ora richiamata, alla quale la pronuncia odierna intende dare ulteriore (e convinta) adesione, deve essere compresa nella sua globalità, risalendo alle pronunce che a tale orientamento hanno dato inizio.

Deve essere richiamata, a questo proposito, la sentenza 28 marzo 1990, n. 2543, nella quale il problema è stato affrontato con ampiezza di argomenti. Osserva quella pronuncia che il giudice, tenuto a verificare anche d’ufficio l’ammissibilità dell’impugnazione, deve considerare che la relata di notifica e l’eventuale avviso di ricevimento (in caso di notifica a mezzo posta) sono le uniche prove documentali dalle quali si può trarre la prova che la sentenza assoggettata ad impugnazione sia stata realmente notificata; elemento, questo, che determina l’applicabilità del solo termine breve per l’impugnazione (art. 325 c.p.c.). Con la conseguenza che la mancata produzione di tale documento impone di valutare la tempestività dell’impugnazione facendo applicazione del termine lungo (art. 327 c.p.c.). La sentenza in esame, però, ha avuto cura di precisare che “si potrebbe configurare una deroga alla regola della prova rigorosa per tabular” in caso di “ammissione della parte impugnante dell’avvenuta notifica nei modi e nei termini utili a determinare l’inammissibilità del gravame”. Il che viene a significare che, ove sia lo stesso destinatario della notifica della sentenza ad ammettere, con una esplicita dichiarazione o comunque per facta concludentia, che detta notificazione è avvenuta nella data indicata dalla controparte, la prova documentale può essere sostituita da simile comportamento; il che non va ad alterare la regola generale per cui la produzione di quel documento non ammette equipollenti (affermazione, quest’ultima, che è stata ripetuta nel tempo fino alle due ordinanze del 2016 citate nella memoria degli odierni ricorrenti; v. anche l’ordinanza 5 aprile 2011, n. 7761).

Nel caso in esame, si è verificata proprio tale situazione. Come si è detto, infatti, la Corte d’appello, nel pervenire alla pronuncia di inammissibilità, ha spiegato che nessuna contestazione era stata fatta circa l’avvenuta notifica della sentenza di primo grado nella data del 28 dicembre 2014, avendo gli odierni ricorrenti solo sostenuto l’inidoneità di quella notifica in quanto consegnata in copia unica (anzichè in tante copie). Emerge in modo inoppugnabile dalla lettura della sentenza d’appello – la quale ha in parte trascritto le osservazioni compiute dagli appellanti – che il dibattito processuale svoltosi in quella sede si concentrò esclusivamente sul profilo della validità o meno, ai fini del decorso del termine breve, di una notifica fatta al difensore in un’unica copia; argomentazione, questa, alla quale la sentenza ha dato ampia e corretta risposta. La questione della mancata produzione della copia notificata della sentenza, con conseguente impossibilità di prova equipollente, non fu dunque posta nè discussa in appello, per cui risulta essere un’argomentazione avanzata solo in sede di ricorso per cassazione.

Deve pertanto ritenersi che correttamente la Corte d’appello abbia fatto applicazione, nel caso di specie, del termine breve ai fini della valutazione di tardività dell’impugnazione, il che esclude la prospettata violazione di legge.

2. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.

Sussistono, tuttavia, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

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