Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24413 del 29/10/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 24413 Anno 2013
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: PROTO CESARE ANTONIO

ORDINANZA
sul ricorso 29004-2011 proposto da:
TOSCANO GIUSEPPE TSCGPP34,-k05C351W, elettivamente
domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato NIORi-kNO CARLO giusta delega
in calce al ricorso;
– ricorrente contro
BUSCIETI GRAZIA, LARDINO DONATELLO, NIIGLIORINI
MARIA;

intimati

avverso la sentenza n. 471/2011 della CORTE D’APPELLO di
TORINO del 4/02/2011, depositata 11 29/03/2011;

‘1392_

Data pubblicazione: 29/10/2013

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
27/09/2013 dal Consigliere Relatore Dott. CESARE ANTONIO
PROTO;
è presente il P.G. in persona del Dott. AURELIO GOLIA.
***

ricorso ha depositato la seguente relazione (in parentesi quadra sono
riportate correzioni di errori materiali di dattiloscrittura, apportate in
sede di stesura di questo provvedimento)
“Osserva in fatto
Secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, con citazione del
15/6/2006 i coniugi Lardino e Buscieti convenivano in giudizio
Giuseppe Toscano e Maria Migliorini chiedendo, in via alternativa,
l’annullamento per vizio del consenso, la rescissione o la risoluzione
del preliminare di vendita 21/12/2005 avente ad oggetto un immobile
ad uso abitazione con box auto che si erano impegnati ad acquistare al
prezzo di euro 185.000.
Gli attori esponevano:
– di avere versato una caparra confirmatoria di curo 22.000 con rogito
da stipularsi entro il 28/2/2006 e con l’impegno dei venditori di
produrre la documentazione necessaria a regolarizzare la situazione
urbanistica e catastale entro e non oltre la data del rogito.
– di avere appreso, nel giorno fissato per il rogito, che la concessione
in sanatoria dell’immobile abusivo era stata rilasciata solo il
10/2/2006, ma mancava il certificato di abitabilità e che il box era
privo di attestazione di conformità alla concessione;
– di avere, pertanto, comunicato ai promittenti venditori la risoluzione
del contratto per inadempimento.
I convenuti asserivano di avere ottenuto l’abitabilità il 9/5/2006.
Ric. 2011 n. 29004 sez. M2 – ud. 27-09-2013
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Ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. il relatore nominato per l’esame del

Il Tribunale di Torino, rilevato che il versamento della caparra
confirmatoria era stato espressamente finalizzato al pagamento degli
oneri e spese di accatastamento, riteneva che la pattuizione di
risoluzione in caso di mancato rilascio della concessione in sanatoria
nel temine fissato per il rogito (28/2/2006), indipendentemente dal

data] anteriore, dovesse qualificarsi come condizione risolutiva
azionata dagli attori e che pertanto il contratto era risolto di diritto
con obbligo di restituzione della caparra.
I convenuti proponevano appello.
Con il primo motivo di appello assumevano che se la clausola di
regolarizzazione urbanistica e catastale fosse stata vincolante avrebbe
dovuto essere diversamente formulata; sostenevano che il
compimento delle pratiche amministrative era una condizione
sospensiva di efficacia e che il termine, ai sensi dell’art. 1457 c.c. non
poteva ritenersi essenziale perché non poteva considerarsi perduta
l’utilità del contratto e l’interesse degli appellati alla sua conclusione:
Con il secondo motivo sostenevano che la concessione in sanatoria
era intervenuta il 10/2/2006, ossia 18 giorni prima della data del
rogito e che, quindi, non poteva operare la clausola risolutiva e i
promissari acquirenti erano inadempienti essendosi rifiutati di stipulare
il contratto pur essendo stato ottenuto il certificato di abitabilità in
data 9/5/2006.
Gli appellati eccepivano che alla data fissata per il rogito non era stata
avanzata alcuna istanza per il rilascio dell’abitabilità (richiesta dai
proprietari tardivamente e solo il 29/3/2006) e che mancava
l’attestazione di conformità del box rispetto alla concessione in
sanatoria.

Ric. 2011 n. 29004 sez. M2 – ud. 27-09-2013
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fatto che la richiesta di concessione fosse stata presentata, dalla [in

La Corte di Appello di Torino con sentenza del 29/3/2011 rigettava
entrambi i motivi dell’ appello principale.
La Corte di merito riteneva infondato il primo motivo confermando
l’interpretazione del primo giudice secondo la quale la pattuizione
integrava una clausola risolutiva essendo stato imposto a carico della

catastale entro la data del rogito; la data del rogito costituiva il termine
ultimo per l’adempimento dell’obbligazione dedotta nel contratto,
comprensiva del certificato di abitabilità e proprio a tal fine le parti
avevano previsto il versamento della somma di euro 22.000; era,
d’altra parte, pacifico che alla data fissata per il rogito non era stata
prodotta né la concessione in sanatoria, tanto che per il rogito fu
indicata una data successiva e che non era stato neppure richiesto il
certificato di abitabilità, rilasciato solo il 9/5/2006 quando ormai la
condizione risolutiva si era verificata.
La Corte di merito riteneva infondato anche il secondo motivo perché
la produzione dei documenti dopo il termine fissato per il rogito non
poteva assumere alcuna rilevanza essendosi già verificato l’effetto
risolutivo per l’avverarsi della condizione risolutiva.
Toscano Giuseppe ha proposto ricorso affidato a quattro motivi.
Gli intimati non hanno svolto difese.

Osserva in diritto
1. Preliminarmente si rileva l’inammissibilità del ricorso per la
mancanza del requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa ex
art. 366 n. 3 c.p.c.
L’art. 366 c.p.c. prevede, in caso di mancanza dei requisiti di forma e
di contenuto, l’inammissibilità del ricorso; questa previsione deve
essere valutata come una indicazione di “sistema” per la quale i
requisiti del ricorso sono stabiliti anche perché la funzione di
Ric. 2011 n. 29004 sez. M2 – ud. 27-09-2013
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parte venditrice l’onere di produrre la documentazione urbanistica e

legittimità possa essere esercitata nelle condizioni ottimali e in modo
tale da perseguire l’obiettivo della ragionevole durata del processo di
Cassazione, da rendere più funzionale e rapido il giudizio proibendo
superfetazioni, digressioni, ampliamenti tali da rendere (per riprendere
l’espressione di Cass. S.U. 16228/2009 che in ciò detta una linea

della materia del contendere”; tali obiettivi sono compromessi allorché,
come nella fattispecie, alla Corte si imponga l’integrale lettura degli atti
di causa, trascritti in ricorso.
Nella giurisprudenza di questa Corte, anche a SSUU. questi principi
sono stati costantemente affermati: già Cass. SSUU n. 16628/2009 cit.
aveva affermato che la prescrizione contenuta nell’art. 366, primo
comma, n. 3 c.p.c.., secondo la quale il ricorso per cassazione deve
contenere, a pena d’inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di
causa, non può ritenersi osservata quando il ricorrente non riproduca
alcuna narrativa della vicenda processuale, né accenni all’oggetto della
pretesa, limitandosi ad allegare, mediante “spillatura” al ricorso per
cassazione, l’intero ricorso di primo grado ed il testo integrale di tutti
gli atti successivi, rendendo particolarmente indaginosa
l’individuazione della materia del contendere e contravvenendo allo
scopo della disposizione, preordinata ad agevolare la comprensione
dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata in
immediato coordinamento con i motivi di censura.
Successivamente il principio è stato ribadito, affermandosi che è
inammissibile il ricorso nel quale l’esposizione sommaria dei fatti sia
compiuta attraverso la integrale trascrizione degli atti del giudizio di
merito; tale modalità, infatti, equivale, nella sostanza, ad un mero
rinvio agli atti di causa (Cass. S.U. 19255 del 09/09/2010; Cass.

Ric. 2011 n. 29004 sez. M2 – ud. 27-09-2013
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gravida di utili applicazioni) “particolarmente indaginosa lThdividiiaione

9/2/2012 n. 1905 che ha valorizzato la funzione riassuntiva sottesa
alla previsione della sommarietà dell’esposizione del fatto).
Da ultimo, è nuovamente intervenuta questa Corte a sezioni unite
(Cass. SS.UU. 11/4/2012 n. 5698) affermando espressamente che in
tema di ricorso per cassazione, ai fini del requisito di cui all’art. 366, n.

contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua,
non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i
momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso,
è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti,
in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a
leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta
di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso.
Questa Corte, di recente, ha messo in evidenza come la finalità
dell’esposizione sommaria sia quella di una sommaria enunciazione di
quanto è necessario per comprendere sia la vicenda oggetto del
giudizio sia la vicenda dello svolgimento del giudizio, cioè sia il fatto
sostanziale, sia quello processuale; l’esposizione sommaria del fatto
serve alla Corte di cassazione per percepire con immediatezza il fatto
sostanziale e lo svolgimento del fatto processuale e, quindi, serve per
acquisire l’indispensabile conoscenza, sia pure sommaria, del processo,
in modo da potere procedere alla lettura dei motivi di ricorso in
maniera da comprenderne il senso (Cass. 11/1/2013 n. 593 Ord.).
Nel caso di specie nel ricorso i quattro motivi di ricorso sono
precedeuti da una parte intitolata “svolgimento del processo”
costituita:
– dall’integrale riproduzione dell’atto di citazione del primo grado, con
il mandato, l’autentica di firma, le richieste istruttorie con i nominativi

Ric. 2011 n. 29004 sez. M2 – ud. 27-09-2013
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3, cod. proc. civ., la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale

dei testi (assolutamente irrilevanti sia in relazione alla decisione
impugnata, sia in relazione ai motivi di ricorso),
– dall’integrale riproduzione della comparsa di costituzione e risposta
nel giudizio di primo grado con il mandato e le richieste istruttorie;
– dall’integrale riproduzione dei motivi della decisione del primo grado

– dall’integrale riproduzione della citazione in appello, con il mandato e
la relata di notifica;
– dall’integrale riproduzione della comparsa di costituzione con appello
incidentale
– dall’integrale riproduzione della motivazione della sentenza della
Corte di Appello con il relativo dispositivo (adempimento del tutto
inutile, atteso che la copia autentica della sentenza impugnata deve
essere depositata).
In analoga fattispecie questa Corte ha affermato che il ricorso per
cassazione, confezionato mediante la riproduzione degli atti dei
pregressi gradi di giudizio e dei documenti ivi prodotti con
procedimento fotografico o similare e la giustapposizione degli stessi
con mere proposizioni di collegamento, è inammissibile per violazione
del criterio di autosufficienza, in quanto detta modalità grafica viola il
precetto dell’art. 366, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., che impone
l’esposizione sommaria dei fatti di causa, e grava la Corte di un
compito che le è istituzionalmente estraneo, impedendo l’agevole
comprensione della questione controversa, nonché rimettendo alla
discrezionale valutazione della stessa la verifica del contenuto degli atti
del processo; né l’indicata forma espositiva può essere giustificata
dall’esigenza di consentire la verifica degli atti, poiché questa attiene ad
una fase successiva e può essere assolta attraverso l’allegazione, di

Ric. 2011 n. 29004 sez. M2 – ud. 27-09-2013
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e il dispositivo della sentenza;

seguito al ricorso, di copia degli atti ritenuti strumentali allo scopo
(Cass. 12/10/2012 n. 17447 Ord.).
Nella fattispecie è del tutto mancato il momento di sintesi funzionale
di cui s’è detto, è mancata quella attività di elaborazione richiesta dalla
norma, sostituita dalla pedissequa riproduzione degli atti processuali

fare acquisire con immediatezza l’indispensabile conoscenza, sia pure
sommaria, del processo nelle sue varie fasi.
In definitiva, il ricorrente si è sottratto al compito di selezione e di
sintesi, rimettendolo alla discrezionale valutazione della Corte, ossia
imponendole un’attività che le è istituzionalmente estranea (così Cass.
12/10/2012 n. 17447 Ord.).
Nè potrebbe sostenersi che la riproduzione integrale dei menzionati
atti processuali svolga la funzione dell’assolvimento del principio di
autosufficienza perchè, come già rilevato da questa Corte (Cass.
11/1/2013 n. 593 Ord. cit.) nella struttura del ricorso per cassazione
dopo la riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 il principio di
autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione
(anteriormente elaborato ed allora in funzione della idoneità al
raggiungimento dello scopo dell’atto processuale costituito dal ricorso,
quale “domanda di impugnazione rivolta alla Corte di cassazione”, in
un processo privo sostanzialmente di attività istruttoria e di sede di
interlocuzione fra il giudice e le parti, al di fuori della pubblica udienza,
o della particolare struttura del procedimento in camera di consiglio)
trova già la sua collocazione nell’art. 366 c.p.c., n. 6, che prescrive
l’indicazione specifica dei documenti e degli atti processuali su cui il
ricorso si fonda.
In conclusione non è stato rispettato il requisito dell’esposizione
sommaria dei fatti di causa e il ricorso deve essere dichiarato
Ric. 2011 n. 29004 sez. M2 – ud. 27-09-2013
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con l’inserimento di proposizioni di collegamento del tutto inidonee a

inammissibile non rilevando, per i motivi esposti in esordio, la
circostanza che dal ricorso si possano comprendere le ragioni per le
quali la sentenza è censurata.

***
Ove si ritenga superabile il preliminare rilievo di inammissibilità, il

le ragioni qui di seguito esposte.
1. Nel primo motivo si deduce la violazione dell’art. 1456 c.c.; si
sostiene che gli attori non hanno mai inteso invocare l’esistenza e
l’operatività di una clausola risolutiva espressa e che quindi la Corte
territoriale, riconoscendo l’esistenza della clausola risolutiva si sarebbe
pronunciata ultra petitum.
1.1 Il motivo è inammissibile in quanto la qualificazione della
domanda di risoluzione sulla base della clausola risolutiva espressa ha
costituito il nucleo fondamentale della decisione del primo grado
senza che questa attività ermeneutica abbia formato oggetto di un
motivo di appello; il potere-dovere del giudice di qualificazione della
domanda nei gradi successivi al primo va coordinato con i principi
propri del sistema delle impugnazioni, sicché deve ritenersi precluso al
giudice dell’appello di mutare d’ufficio – violando il principio della
Corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato – la qualificazione
ritenuta dal primo giudice in mancanza di gravame sul punto ed in
presenza, quindi, del giudicato formatosi su tale qualificazione (Cass.
1/12/2010 n. 24339); la questione della qualificazione della domanda
non può, dunque, essere proposta in questo giudizio di legittimità
dopo il formarsi del giudicato per le ragioni sovra esposte.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce nuovamente la
violazione dell’art. 1456 c.c. e sostiene che le parti non avevano mai
inteso avvalersi di una clausola risolutiva espressa, in quanto con una
Ric. 2011 n. 29004 sez. M2 – ud. 27-09-2013
-9-

ricorso deve comunque essere rigettato per manifesta infondatezza per

lettera del 27/2/2006 i promissari acquirenti avevano solo chiesto la
risoluzione del contratto per colpa dei prominenti venditori.
2.1 Il motivo è inammissibile perché introduce questioni di mero fatto
che non hanno formato oggetto del giudizio di appello, nonché per le
ragioni già espresse in merito al primo motivo.

dell’art. 1456 c.c. e sostiene che il presupposto per l’operatività della
clausola risolutiva era costituito dall’accertamento di un
inadempimento imputabile, mentre non poteva essere ravvisato un
inadempimento imputabile nel comportamento dei promettenti
venditori i quali si erano immediatamente attivati per ottenere la
regolarizzazione dell’immobile, non essendo responsabili dell’iter
amministrativo e dei tempi burocratici.
3.111 motivo è inammissibile in quanto nelle fasi di merito non è stata
dedotta l’incolpevolezza dell’inadempimento; in ogni caso il motivo è
manifestamente infondato in quanto la Corte di merito ha
implicitamente ravvisato l’inadempimento colpevole laddove ha
osservato che “comunque il certificato di abitabilità fu richiesto solo in data

29 / 3 / 2007 — dunque dopo la data fissata per il rogito .”
4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce nuovamente la violazione
dell’art. 1456 c.c. , nonché la violazione dell’art. 1218 c.c. e sostiene
che la motivazione della Corte di appello è illegittima perchè nella
condotta dei promittenti venditori non sarebbe stato ravvisabile alcun
inadempimento in quanto:
– l’irregolarità edilizia era nota ai promissari acquirenti;

il termine previsto per la regolarizzazione non era essenziale e

comunque era stato rispettato con l’ottenimento della concessione in
sanatoria, mentre la certificazione di abitabilità era atto consequenziale
e dovuto.
Ric. 2011 n. 29004 sez. M2 – ud. 27-09-2013
– 10-

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce nuovamente la violazione

4.1 Il motivo è manifestamente infondato perché la violazione dell’art.
1456 c.c. non sussiste essendo stata motivamente ritenuta prevista e
applicabile la clausola risolutiva espressa; la violazione dell’art. 1218
c.c. non sussiste in quanto la corte di appello ha ritenuto
motivatamente che l’inadempimento fosse imputabile ai promittenti

illogicità perché la Corte di Appello ha correttamente motivato
rilevando che alla data fissata per il rogito doveva essere documentata
la regolarità urbanistica e catastale dell’immobile, mentre tale obbligo
di documentazione non era stato adempiuto e mancava anche la
richiesta del certificato di abitabilità che era onere dei prominenti
venditori richiedere.
4. In conclusione, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in
applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., per essere dichiarato
inammissibile o per essere rigettato per manifesta infondatezza”

***
Considerato che il ricorso è stato fissato per l’esame in camera di
consiglio, che sono state effettuate le comunicazioni alle parti costituite
e la comunicazione al P.G;
Rilevato che il ricorrente non ha depositato memoria e nulla ha
opposto alla relazione;
Considerato che il collegio, condivide e fà proprie le argomentazioni e
la proposta del relatore, ma tenuto conto del carattere assolutamente
preliminare della rilevata inammissibilità del ricorso, in tal senso e con
riferimento a tale motivazione definisce il presente procedimento;
Considerato che nulla deve disporsi in punto spese in quanto gli
intimati non hanno svolto difese,
P. Q. M.
La Corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso.
Ric. 2011 n. 29004 sez. M2 – ud. 27-09-2013
-11-

venditori; la motivazione è immune dalle censure di insufficienza o

Così deciso in Roma il 27 Settembre nella camera di consiglio della

sesta sezione civile.

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