Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24413 del 21/11/2011

Cassazione civile sez. un., 21/11/2011, (ud. 08/11/2011, dep. 21/11/2011), n.24413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. DE LUCA Michele – Presidente di Sez. –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

sas San Salvatore di Ciaramitaru, elettivamente domiciliata in Roma,

via Val di lanzo 79, presso lo studio dell’avv. Iacono Quarantino

Giuseppe, che la rappresenta e difende per procura in atti;

– ricorrente –

nei confronti di:

Comune di Palermo, elettivamente domiciliato in Palermo, presso

l’Avvocatura Comunale sita in piazza Marina 39, rappresentato e

difeso per procura in atti dall’avv. Provenzani Angela;

– controricorrente –

Spa AMAP, elettivamente domiciliata in Roma, via Giovanni Antonelli

45, nello studio dell’avv. Matteo Mazzone, rappresentata e difesa per

procura in atti dall’avv. Antonino Frenda;

– controricorrente –

Assessorato dei Lavori Pubblici della Regione Siciliana, domiciliato

in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello

Stato, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

per la cassazione della sentenza n. 19/2010, depositata dal Tribunale

Superiore delle Acque Pubbliche il 2/2/2010.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

dell’8/11/2011 dal Relatore Cons. Francesco Tirelli;

Sentiti gli avv Iacono Quarantino, Natale e Frenda;

Udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale dr. GAMBARDELLA Vincenzo il quale ha

concluso per l’accogliemnto del ricorso.

Fatto

LA CORTE

rilevato che per assicurare l’approvvigionamento di acqua potabile della città, il Consiglio comunale di Palermo ha deciso di acquisire la proprietà di alcuni pozzi privati, utilizzati nel passato in virtù di un provvedimento di sequestro e di successivi contratti di affitto;

che in esecuzione di tale delibera, il Sindaco ha chiesto all’Assessorato regionale per i Lavori Pubblici l’emanazione della dichiarazione di pubblica utilità e del decreto di occupazione di urgenza dei predetti impianti, fra i quali anche quello denominato La Russa, appartenente alla sas San Salvatore di Ciaramitaru;

che in data 8/5/2001 il competente capo dipartimento ha provveduto in conformità, disponendo che le espropriazioni avrebbero dovuto iniziare entro un anno e concludersi entro cinque dalla data del provvedimento;

che con successivo decreto del 9/5/2006 tale secondo termine è stato prorogato di due anni e con ulteriore decreto del 6/5/2008 è stata infine disposta l’espropriazione dei pozzi e la costituzione delle necessarie servitù di passaggio e di acquedotto;

che con ricorso al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, notificato l’8/8/2008 al Comune di Palermo, all’Assessorato per i Lavori Pubblici ed alla spa AMAP, che aveva curato l’espropriazione, provvedendo poi alla gestione degli impianti, la sas San Salvatore di Ciaramitaru li ha impugnati entrambi, deducendone in particolare la nullità perchè la proroga era stata disposta quando era ormai già scaduto il termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità; che costituitisi l’Assessorato e l’AMAP, il giudice adito ha però ritenuto che il decreto di proroga fosse stato pronunciato in tempo utile perchè ai sensi dell’art. 155 cod. proc. civ. e art. 2963 cod. civ., il computo dei termini ad anno andava effettuato senza tener conto del giorno iniziale; che per tale ragione ha rigettato la domanda con sentenza depositata il 2/2/2010;

che la sas San Salvatore di Ciaramitaru ha proposto ricorso per cassazione, spedendone in data 14/3/2011 una prima copia a tutte le controparti ed, in data 25/3/2011, una seconda copia al solo Comune di Palermo, cui la prima non era stata consegnata per irreperibilità del domiciliatario avv. Elisabetta Esposito;

che con l’unico motivo la ricorrente ha dedotto la violazione ed erronea applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 13, della L. n. 2359 del 1865, art. 13, art. 155 cod. proc. civ. e art. 2963 cod. civ., perchè in materia di termini costituiva principio pacifico quello secondo il quale il computo seguiva il calendario gregoriano ed operava ex nominatione dierum, con la conseguenza che i mesi e gli anni si calcolavano per intero, passandosi dalla data iniziale a quella corrispondente del mese od anno successivo;

che il Comune di Palermo e la spa AMAT hanno depositato separati controricorsi, con i quali hanno contestato la fondatezza dell’impugnazione avversa, eccependone ancor prima la inammissibilità perchè la stessa era stata notificata soltanto nel marzo 2011 nonostante che la cancelleria del TSAP avesse provveduto fin dal 16/2/2010 a comunicare alle parti la copia integrale del dispositivo, facendo così decorrere il termine breve di 45 giorni, per l’applicabilità del quale risultava del tutto ininfluente che nel caso di specie non vi fosse stato il pagamento della imposta di registro perchè, come chiarito da C. cass. n. 7607 del 30 marzo 2010, tale adempimento non era più necessario ai fini del rilascio di copia della sentenza e, dunque, della sua conoscenza ed impugnabilità;

che il Comune di Palermo ha, per di più, sostenuto che nei suoi confronti non era stato rispettato nemmeno il termine lungo, perchè il ricorso gli era stato notificato il 25/3/2011 e, quindi, a distanza di più di un anno e 46 giorni dal deposito della sentenza del TSAP;

che tale seconda eccezione è infondata perchè trattandosi di azione unica con pluralità di controinteressati, la notificazione del ricorso eseguita contro l’Assessorato e l’AMAP ha impedito ogni decadenza pure nei confronti del Comune di Palermo;

che a proposito della prima, giova invece rammentare che proprio con riferimento al mutamento di giurisprudenza operato dalla citata C. cass. n. 7607 del 2010, queste Sezioni Unite hanno in via generate stabilito che le preclusioni o le decadenze derivanti da “overruling” non operano nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente nella precedente interpretazione della norma (C. cass. n. 15144 del 2011);

che in applicazione di tale principio sono pertanto passate all’esame del merito di un ricorso che secondo la nuova lettura del R.D.L. n. 1765 del 1933, art. 202 avrebbe dovuto essere dichiarato tardivo perchè proposto nel termine lungo d’impugnazione anzichè in quello di 45 giorni, già interamente decorso prima che venisse data sufficiente notizia del superamento del precedente indirizzo, secondo il quale la comunicazione in forma integrale del dispositivo faceva decorrere il termine breve solo se preceduta dal pagamento dell’imposta di registro;

che alla medesima conclusione deve pervenirsi anche nel caso di specie in cui la comunicazione del dispositivo è avvenuta prima dell’overruling ed i 45 giorni dalla sua effettuazione sono scaduti il 3 aprile 2010 e, cioè, dopo soli tre giorni dal deposito di C. cass. n. 7607 del 2010 che, a quel momento, poteva essere, perciò, ancora incolpevolmente ignorata dalla società ricorrente;

che deve pertanto concludersi per rammissibilità del ricorso della San Salvatore cui, decorso senza sua colpa il termine breve, non residuava ulteriore obbligo se non quello di rispettare l’unico altro termine previsto dalla legge, ovverosia quello lungo di un anno e 46 giorni di cui all’art. 327 cod. proc. civ. (nel testo applicabile ratione temporis); che non varrebbe in contrario replicare che una volta concretatasi la possibilità di prendere conoscenza della novità introdotta dalla citata C. cass. n. 7607 del 2010, la San Salvatore avrebbe dovuto comunque attivarsi e notificare il ricorso nel termine di 45 giorni perchè la tutela dell’affidamento non potrebbe spingersi fino ad esonerare l’onerato dai prescritti incombenti, ma soltanto fino a giustificarne la precedente omissione, con la conseguenza che se gli stessi sono ancora attuabili, la parte non se ne può disinteressare come se nulla fosse accaduto, ma deve curarne l’adempimento a partire dal momento in cui ha saputo od avrebbe potuto oggettivamente sapere del cambiamento di giurisprudenza;

che una conclusione del genere non sarebbe, invero, condivisibile non soltanto perchè si tratterebbe, in definitiva, di un adempimento diverso da quello originario, ma soprattutto perchè, secondo i principi, la decadenza presuppone l’inosservanza di oneri certi e conoscibili in anticipo e non di obblighi non ancora noti perchè ricavati a posteriori in via di ricostruzione adeguatrice del sistema, nell’ambito del quale non sembra, inoltre, assolutamente certa la possibilità di predicare un dovere di monitoraggio continuo della giurisprudenza al fine di verificare la perdurante validità di scelte processuali che al momento in cui avevano dovuto essere fatte, risultavano in linea con una consolidata interpreta zio-ne pluriennale;

che tanto puntualizzato, rimane unicamente da aggiungere che per giurisprudenza consolidata, i termini a mese o ad anno scadono con lo spirare del giorno corrispondente a quello iniziale (v. fra le ultime in tal senso C. cass. nn. 23479 del 2007 e 8791 del 2009);

che essendo stata emessa l’8/6/2001 ed avendo fissato in cinque anni il termine per il compimento delle espropriazioni, la dichiarazione di pubblica utilità di cui si discute è divenuta inefficace il 8/6/2006, essendo al riguardo ininfluente che a tale data non fosse ancora scaduto il periodo di occupazione legittima (C. cass. nn. 20459 del 2005, 10024 del 2007 e 9370 del 2011);

che i controricorrenti hanno, però, contestato la possibilità di una simile conclusione, sostenendo che l’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità conseguirebbe soltanto all’inutile scadenza del termine per il compimento dei lavori, che nella specie non era stato fissato perchè non occorreva eseguire alcuna opera, ma soltanto acquisire la proprietà di quelle già esistenti; che l’obiezione non può essere condivisa in quanto, come già rilevato da C. cass. n. 9266 del 1994, l’inefficacia deriva dal decorso dell’ultimo termine, che normalmente è quello per il compimento dei lavori, ma potrebbe anche essere quello relativo alle espropriazioni;

che tale principio appare ancor più condivisibile nel caso di specie in cui, diversamente opinando, dovrebbe finire con l’ammettersi che non essendo stato fissato alcun termine per il compimento dei lavori, la proprietà privata era rimasta indefinitivamente esposta al rischio di espropriazioni; che un’eventualità del genere non può essere ammessa perchè in netto contrasto col sistema, che proprio per scongiurarla prevedeva (e prevede tuttora) la fissazione in via generale o per atto particolare dell’Amministrazione di un termine massimo di efficacia oltre il quale la dichiarazione di pubblica utilità avrebbe cessato di produrre i suoi effetti; che nel caso di specie, tale termine massimo è stato fissato a (lunedì) 8/6/2006;

che la proroga intervenuta il 9/6/2006 deve, pertanto, ritenersi tardiva, con conseguente nullità del decreto di esproprio successivamente emesso;

che in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata dev’essere quindi cassata senza, però, necessità di un rinvio degli atti, perchè non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con l’accoglimento, sotto l’anzidetto profilo, della impugnazione proposta dalla sas San Salvatore di Ciaramitaru; che sussistono, tuttavia, giusti motivi per dichiarare compensate le spese dell’intero giudizio fra le parti.

P.Q.M.

LA CORTE A SEZIONI UNITE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’impugnazione proposta dalla sas San Salvatore di Ciaramitaru, compensando le spese dell’intero giudizio fra le parti.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2011

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